Rivoluzionari di carta: quelli che si disimpegnano dalla battaglia politica

L’Aventino è stato condannato dalla storia, che invece dimostra che le “battaglie” vanno combattute indipendentemente dall’esito finale. Nei partiti provinciali invece assistiamo al disimpegno, che è cosa diversa dall’esilio nobile dei vinti.

In Forza Italia c’è un solo dominus, il consigliere regionale Mario Abbruzzese. E’ lui che deciderà dove candidarsi (Camera o Regione Lazio), è lui che ha scelto Pasquale Ciacciarelli come segretario provinciale, è lui che tiene i rapporti con Antonio Tajani (lasciando capire ai suoi stessi fedelissimi che su questo aspetto non intende essere scavalcato), è sempre lui che ha messo nel mirino il posto più ambito: il coordinamento regionale. Ebbene sì, quello finora ricoperto dal potentissimo Claudio Fazzone. Abbruzzese intende spodestare il “console” confidando direttamente nel “principe” (Antonio Tajani). Augurandosi che il Re (Silvio  Berlusconi) e soprattutto la Corte (capitanata dalla Pascale) non se ne accorga.

Ma intanto gli oppositori interni che fanno? Antonello Iannarilli continua a sfogliare la margherita ad Alatri: lista di FI o civica? Mi candido o non mi candido? Provo a vincere o mi disimpegno? Alessia Savo, vicesindaco di Torrice e vicecoordinatore provinciale, è letteralmente scomparsa dalla scena. Vittorio Di Carlo e Gianluca Quadrini hanno smesso di urlare ma non si sono allineati. Silvio Ferraguti mantiene un profilo diverso, ma di fatto non partecipa alle riunioni del partito. Come pensano, tutti, di provare a mettere in discussione l’egemonia di Mario Abbruzzese?

Il quale non si scompone perché sa che quando metterà in moto la macchina elettorale centrerà la conferma (Regione) o effettuerà il salto (Camera). Con buona pace degli avversari interni.

Nel Nuovo Centrodestra situazione simile: il consigliere provinciale Massimiliano Mignanelli e l’ex consigliere regionale Annalisa D’Aguanno masticano amaro per la leadership di Alfredo Pallone. Ma cosa hanno fatto per contrastarla nel Partito? Niente.

Nel Partito Democratico poi la situazione è perfino più imbarazzante. Quando non ci sono, critiche irripetibili a Francesco Scalia e Francesco De Angelis. Poi, quando appaiono, tappeti rossi, genuflessioni che farebbero impallidire un plotone di penitenti e peana intonati al cielo con una passione che sconfina nella… possessione.

Capito perché non cambia mai nulla?