Conte, conte Tacchia e conte vero: mentre Gentiloni si conta

Le possibili conseguenze politiche dell'imminente fine mandato di Paolo Gentiloni. C'è chi vede all'orizzonte una collaborazione con Macron e Draghi. Chi dice no sostiene che così la Francia potrebbe beneficiare di un primo ministro italiano incline ai suoi desideri, mentre l'Italia potrebbe ritornare, attraverso Draghi, ad un "draghismo light". Un ruolo potrebbe anche essere giocato da Renzi

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

Ringrazio il presidente del Consiglio Giuseppe Conte per l’incarico conferito. E’ una responsabilità che mi onora. Cercherò con tutte le forze e con il mio lavoro di contribuire a una nuova stagione positiva per l’Italia e per l’Europa“. Da conte a Conte e nel 2019. Cioè quando il premier italiano a trazione Cinquestelle indicò il Commissario europeo all’Economia con una lettera ufficiale post Consiglio dei Ministri. Fu un atto più epocale di quanto non si creda, perché con quella scelta Giuseppe Conte, leader pop, scelse di fatto la linea che sarebbe stata e che è di Ursula von der Leyen, che è istituzionalista.

Consegnò l’Italia ad una condotta ortodossa la cui eco suona ancora oggi che a Palazzo Chigi c’è Giorgia Meloni. Fu un passaggio epocale anche perché da allora il M5s si spogliò dei toni urlati e andò in sartoria per passare da Movimento a Partito.

Giuseppi che non ha fatto il tonfo

Giuseppe Conte

Non è vero che non ci guadagnarono: a leggere i sondaggi il tanto proclamato tonfo di Giuseppi non solo non c’è stato, ma non ci sarà affatto. Le Europee 2024 saranno una cartina di Tornasole con cui confermarlo: cosa possibile grazie a qualche aiutino e non certo dei riottosi Verdi. La chiave di lettura è Il conte Tacchia, con un insuperato Enrico Montesano attorniato da una manica di mostri sacri del cinema nostrano. All’epoca l’avvocato del popolo fece transumare il movimento dalla modalità borgatara “A’ Fernà!!!”, con cui Checco Puricelli chiamava la sua bella da sotto la finestra a quell’altra. Quella affettata, cantata e da generone con cui il nome dell’amata era quasi sussurrato e mai con un’ottava in più.

E Paolo Gentiloni, che conte lo è per davvero e che è stato pure premier, quelle regole non se le deve imporre. No, lui, sussurratore seriale per natali, battage e formazione, sa bene come tornare alla ribalta. Quando? A brevebrevissimo, visto che il suo mandato come Commissario europeo all’Economia è in scadenza. E qui scatta il disegno possibile, che chiama in causa Germania e, soprattutto, Francia.

Nel film un immenso Paolo Panelli vede il figlio con in testa un casco da schermidore, non lo riconosce e candidamente asserisce: “Perché lei è tedesco no?”. A conferma che dove ci sono cose d’uniforme per mascherare magagne ci sono quelli di Berlino, che sui conti pubblici hanno fatto come Toni Binarelli e nessuno li ha cazziati più di tanto. Nessuno tranne noi che ci vediamo tirare le orecchie da Bruxelles praticamente una volta a settimana.

Il ruolo di Macron e la regola di Zingaretti

Nicola Zingaretti (Foto: Andrea Panegrossi © Imagoeconomica)

Ma il segreto vero sta a Parigi, dove potrebbe andare a massa critica quello che Il Tempo chiama un “nuovo triumvirato”: “Gentiloni, Draghi e Macron. L’Italia non ha nessuna intenzione di farsi stringere nella morsa del nuovo patto di stabilità e del Mes al quale ha però già da tempo versato oltre 14 miliardi di euro e che ad oggi ha una capacità di prestito residua di oltre 400 miliardi”. Che significa?

Che il commissario europeo in scadenza ha messo in conto la possibilità che il governo Meloni faccia la fine di quello famoso di Berlusconi. E che si sbricioli sotto i colpi dello spread giusto dopo le Europee. Lo scenario è scarso in rating ma non del tutto fantascientifico. E Gentiloni? Incassata la buon’uscita (etica) andrebbe a fare come fece Romano Prodi e come ha fatto in tempi più recenti Nicola Zingaretti alla Pisana.

Cioè si metterebbe a capo di un campo larghissimo, una “coalizione tra il Movimento 5 Stelle, il Pd” e cespugli centristi eventuali. A quel punto e con la benedizione di una Francia che deve rintuzzare il sovranismo, il gioco sarebbe fatto. Perché? Per i contrari, l’Eliseo “in questo modo, si ritroverebbe un primo ministro italiano prono ai voleri della Francia. Basti pensare che il conte, quello autentico, Gentiloni Silveri, ai tempi in cui era presidente del Consiglio, arrivò persino ad inviare 500 militari italiani nelle caserme della Legione Straniera in Niger”.

Come ti rimetto in sella Supemario

Mario Draghi

E’ vero, il nostro nucleo addestrativo che ha provato (invano) a rintuzzare il recente golpe che ha dato scacco matto a Macron (come, a ditate negli occhi?) porta la firma decisoria di Gentiloni premier. Sì, ma manca un tassello, anzi no. Perché il disegno che potrebbe riconsegnare l’Italia al draghismo light passa proprio ed anche per lui, per Mario Draghi.

Per colui il quale cioè dentro i nostri confini ha preso scoppole immeritate da partiti ex sodali e da quelli di opposizione in purezza. Cioè Lega e Forza Italia (molto più di M5s) e Fratelli d’Italia con una Meloni che poi Super Mario se lo è imbarcato per avere foglio rosa e patente di europeista conversa bene. Gentiloni è l’uomo perfetto: non è un amico dei conti autonomi dell’esecutivo di destra centro e sul Patto di Stabilità non cede ed è fantaccino di lusso dell’asse Berlino-Parigi. Se a sua surroga come Commissario andasse Matteo Renzi, che a quello punta e che si sta lisciando Charles Michel come un soriano, l’equazione sarebbe risolta al 90%.

Con Mario Draghi piazzato in casella Ursula grazie alle manovre di Macron il cerchio sarebbe chiuso. Perché a quel punto ci sarebbero addii forti: addio linea meloniana e dell’Ecr contro l’asse franco-tedesco e addio sogni di gloria per gente come Matteo Salvini e Marine Lepen.

L’Europa “più europea” che vede Draghi

Enrico Montesano nei panni del Conte Tacchia

E Draghi? Lui sta, immoto o quasi come suo solito, ma qualche segnale lo manda anche lui, anche se concettuale e da maitre a penser alla finestra che se chiamasse dall’oltretomba Kissinger per la ricetta del coniglio in porchetta lui risponderebbe “prendi carta e penna, Henry”.

Fa capire che all’Europa del futuro servono ulteriori poteri in delega dagli Stati e attende che Gentiloni de(cada). E che si rialzi nella sua Roma, lo salvi dalle sabbie mobili da vecchio saggio in cui sta e si avvi con lui per un nuovo cimento.

Come Checco Puricelli, che si buttò nel fiume per salvare una contessina e dalle acque del Tevere uscì come Conte Tacchia, e che poi duellò di spada con un francese e sbancò il casinò.