Qualcuno le diede della "folle" quando propose che Azione appoggiasse Mastrangeli ma il pionierismo di Alessandra Sardellitti non trovò sponde
Le elezioni regionali in Molise, stravinte dal destra-centro di oggi, parlano la lingua mediana ma non mediocre del centro-destra di ieri. Quella e un (bel) po’ di ciociaro, a ben vedere. Ma procediamo per gradi, con calma e gesso.
In Molise ha vinto il già sindaco di Termoli Francesco Roberti. Presidente che ha dato a Berlusconi l’aura del nume tutelare in nuvoletta di affaccio. E che ha riportato il 62,2% contro il 36,3% di preferenze che sono andate invece all’uomo della crasi sghemba tra centrosinistra e M5s, il pentastellato Roberto Gravina. Il civico Emilio Izzo non è stato praticamente mai in partita. In Molise ha vinto anche il solito astensionismo, con l’affluenza definitiva al 47,94%, in calo di oltre 4 punti percentuali rispetto al 2018.
I rinforzi di Custer che non arrivarono mai
Una diserzione dalle urne che da dato organico su cui riflettere diventa troppo spesso cerotto da zigomo indomito. Lo diventa quasi sempre per un Partito Democratico che, suonato su tutti i ring possibili, continua ad urlare che quelli mancati sono quasi tutti voti suoi. E che una volta arruolati di nuovo ed in mood più pop quei renitenti, allora il cielo tornerà a sorridere al Nazareno. Insomma, succede un po’ come quando a Little Big Horn George Custer invocava il battaglione montato Benteen pur sapendo benissimo che non sarebbe arrivato in tempo. E sperando tuttavia che un qualche biografo untuoso gliene desse merito.
Il merito non ci fu e qualora ci fosse stato sarebbe stato postumo, perché Custer non la potè riscrivere la storia. Ne divenne semplicemente parte, ridotto come un puntaspilli ed amen.
Ma in Molise si è registrato anche un alto dato politico di ampio respiro, quello dei “due laboratori”. Il primo, saltato in aria per eccesso di provette in mix e zelo sperimentale, è quello che avrebbe potuto-dovuto consacrare il campetto largo tra Pd e M5S. Le prove di struscio di Elly Schlein e la passiva pomiciabilità di Giuseppe Conte hanno prodotto un ibrido che non ha convinto una regione con troppi totem.
Patriciello pigliatutto e FdI quadriplicato
Regione dove un proconsole come Aldo Patriciello è più forte di Tigellino con l’Enobarbo. E dove da un lato la morte di Silvio Berlusconi sembra aver dato birra multipla e Forza Italia, che con il suo 12% regionale fa le pernacchie elle percentuali azzurre nazionali. Una terra dove Fratelli d’Italia è passato dal 4,4% di cinque anni fa al 19% circa di oggi.
Ma a fare la differenza, più nelle convergenze che nei numeri, è stata la scelta del Terzo Polo di Matteo Renzi e Carlo Calenda di andare con Roberti, e qui veniamo al secondo laboratorio. Pare restio ad usare già questo termine un soddisfatto e sornione Ettore Rosato, ma quello che declina cauto e sazio è già un mezzo scenario su quello che non ammette. “Se vogliamo fare il centro, è naturale che Italia viva supporti quelli che ritiene i candidati migliori. Non necessariamente quelli di centrosinistra. Altrimenti, che centro sarebbe?”.
Un quadro roseo, anzi, Rosato
L’esponente di Italia Viva ha giocato di tacco: “Abbiamo fatto una scelta partendo proprio dai candidati in campo. Roberti è un buon amministratore, moderato. E ha messo in campo una proposta alternativa a quella del centrosinistra, in cui il Pd ha lasciato campo libero al Movimento 5 Stelle nella scelta della leadership”.
Ecco le due parole chiave: “moderato” e “alternativa”. Il primo rimanda ad uno scenario politico che da tempo è in divenire. E’ quello per cui il Terzo Polo, quello del “fare”, che non urla e che ha ancora troppa carne al fuoco per cadere nella trappola delle recenti liti tra i leader, si è candidato da tempo. A far cosa? Ed ecco lo scenario due: a calamitare i voti non sovranisti del destra-centro e ad accogliere i “riformisti erranti” del Pd a trazione Schlein.
E’ gente che nel massimalismo ci va col fegato grosso e che il “bonaccinismo” lo vorrebbe subito in auge. Poi, ove capitasse ché non si sa mai, a vampirizzare una eventuale diaspora da Forza Italia dopo la morte del Cav. Diaspora che, non essendo imminente ed essendo roba da harakiri in casa di Patriciello, conveniva cassare, sperimentando però un modello politico tutto sommato congruo.
Calenda e il “bipolarismo improduttivo”
A dire il vero il giudizio di Carlo Calenda su quello che ha definito “bipolarismo improduttivo” e sul caso Molise è netto. Netto e parrebbe foriero di una realtà diversa. Azione non avrebbe concorso alla vittoria del centro destra. L’imbeccata in punto di verità storica, che sa tanto di precisazione, arriva ex post dalla segreteria provinciale frusinate di Azione. A domanda precisa di Maria Teresa Meli del Corsera il leader di Azione ha glorificato il “draghismo di ritorno” che del suo partito è stella polare. Poi ha chiosato con un “nessuna delle due coalizioni era convincente”. Solo merito, nessuna ideologia e strategie settate su chi offre le migliori prospettive di incarnare quel pragmatismo che di Azione è il fulcro. Ma che è fulcro anche del Terzo Polo e, per proprietà transitiva in odor di equivoco, anche di Italia Viva.
Lo sfizio di Alessandra che sfizio non è
Un modello innovativo ma non del tutto nuovo, quello molisano. Anche a fare la tara alla sua veste indicata come “monca” di uno degli attori da Azione versante ciociaro. Perché quel modello di “convergenza ideale e strategica” era in predicato di applicabilità in Ciociaria, a Frosinone. Lo ha ricordato una sulfurea Alessandra Sardellitti con uno dei suoi post social al curaro. Quelli a cui di solito obiettare è difficile perché non hanno la tigna della rivalsa sciapa, ma la verve di un pionierismo cartesiano che sarebbe ora di passare sotto lente critica, invece che su graticola sardonica.
“In Molise stravince il cdx con l’appoggio di Azione e Italia Viva”. Il dato è crudo, poi parte la “riflessione. A settembre 2022 ho dovuto abbandonare Azione perché rea di aver appoggiato, al ballottaggio, il mio sindaco Riccardo Mastrangeli, sindaco di cdx nelle amministrative di Frosinone”.
Messa la freccia in cerbottana, la Sardellitti soffia forte sui prosciutti dei tapiri: “Oggi Azione appoggia e vince con il cdx in Molise, mentre allora con Mauro Vicano e Andrea Petrucci non eravamo del tutto folli”.
La “follia” di Sardellitti, Vicano e Petrucci
L’avvocatessa in giunta frusinate ha un mood senza il colesterolo dell’epos, però alla fine non resiste. E su ciò che analizza ci mette un piattone di lama in punto di morale agra. “La miopia di piccoli personaggi politici che non sanno leggere la Politica. La vita mi ha insegnato ad attendere sulla riva perché il cadavere arriva sempre”.
La chiosa è fluviale ma con la corrente poco placida e torrentizia dello sfizio tolto: “Nel frattempo mi sono fatta qualche bagnetto”. Perché non tutte le provette esplodono, e a volte in quelle giuste ribolle e balena il futuro. Solo che per vedere il futuro devi scordarti il presente, e a Frosinone pare proprio che qualcuno non lo fece. E chiamò follia la lungimiranza.