Il tabacco di Braccio di Ferro che fece folli i coresi

Storia dell'erzegovina, il tabacco che fece geni (o folli) i coresi. Ed ispirò, forse, Braccio di Ferro

Lidano Grassucci

Direttore Responsabile di Fatto a Latina

Stava nascosta negli archivi più profondi della memoria di Neno Cecinelli, corese doc. La storia è balzata fuori da quei ricordi nel corso di una conversazione pubblica: una di quelle che si fanno al bar, all’osteria, al caffè. Paradossale il tema della discussione: l’assunto che i coresi siano geni.

 Mi interrogavo sul genio dei coresi (dopo la sapienza dei miei setini) che è una caratteristica antropologica evidente. Cosa rende evidente che quelli di Cori siano dei geni? Un corese, Alessandro Marchetti si è inventato gli aerei (anzi lui è l’aviazione italiana di gran parte del secolo scorso); Cesare Chiominto se non fosse limitato l’uso della lingua corese sarebbe come Dante o giù di lì. I coresi hanno sempre sofferto di non avere un santo ma solo un beato, Tommaso; mentre quelli di Sezze avevano San Carlo. Ma ora Santa Romana Chiesa ha “sanato” elevando a santità il corese. Ed hanno anche un arcivescovo, Felice Accroca che sta a Benevento.

E per dirla tutta: mai incontrato un corese tonto. Mai.  

Il tabacco dei coresi

Ma perchè sono geniali i coresi? Il nodo resta. E la soluzione sta nell’erzegovina. Cos’è? Una pianta di tabacco che insieme al pregiatissimo Moro, si coltivava tra le colline coresi. Roba che nemmeno nella vicina Pontecorvo coltivavano, nonostante anche lì tirassero su un tabacco d’eccellenza: Kentuky, Moro e Burley. Ma non l’Erzegovina. Roba per intenditori: il Moro è quello che ci fai i migliori Toscani, sapore forte, intenso, morbido a differenza di quello usato per il Garibaldi.

Leggenda vuole che alle Manifatture di Livorno il Toscano Originale arrotolato a mano venisse formato rollando la foglia non già sul banco da lavoro ma sulla coscia della sigaraia. Per questo, generazioni di fumatori hanno ammezzato il Toscano osservando se nel mezzo vi fosse il proverbiale pelo della sigaraia. Leggende da marketing dell’altro secolo.

Del tabacco corese invece ci si “tabaccavano” i preti di Roma: dal Moro e dell’Erzegovina si producevano tabacchi da fiuto, ad esclusivo uso dei preti che forse così sentivano di più il profumo di Dio.

Ma il corese è scaltro. E il tabacco che i preti volevano tutto, “na cica” invece se lo tenevano per se. La foglia va essiccata e per farlo a nascuce (di nascosto) la mettevano nei sottotetti, sotto i coresi dormivano. A forza di sentirne l’aroma hanno fatto effetto Obelix a cui non danno più la pozione magica perché c’è caduto dentro da piccolo. I coresi non dovevano più fiutare il tabacco lo avevano già fatto e questo ripetuto per secoli ha creato genialità, unicità, superiorità.

L’altra faccia del genio

Leggo un bellissimo articolo di Patrizia Chiarucci che spiega l’altra faccia della medaglia del genio corese: la follia. Sì, strani sò strani ma lei trasforma questa caratteristica in “pseudofollia”.

Narra: Nelle camere dove il tabacco è lasciato ad essiccare l’aroma è fortissimo, impregna le narici e la gola provocando una certa ubriachezza. E pare che ciò sia stata la causa della “pseudofollia” per la quale sono rinomati i coresi, per lo meno a quei tempi.

Pare, ma dico pare, che da questo rapporto tra genio corese e tabacco corese gli americani abbiamo preso spunto per creare Braccio di ferro: gli spinaci sono l’erzegovina. Il genio (gli americani sono pragmatici) è la forza del marinaio che, non a caso, fuma la pipa.

(Foto di copertina: © DepositPhotos.com).