L’agenda Draghi si sdoppia con quella Letta: quel che serve a Frosinone

Mario Draghi ed Enrico Letta stanno lavorando per disegnare un'Europa adatta ai bisogni dei territori in affanno, come la Provincia di Frosinone. Propongono un approccio di "Smart Deal" efficace, con norme agili e investimenti in innovazione, per fronteggiare la burocrazia e favorire la competitività e il mercato unico.

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

Ormai li chiamano “i due saggi”, un po’ perché la definizione calza benissimo al primo e pare non stonare addosso al secondo, un po’ perché fa tanto tecnici imperturbabili ai marosi della politica. Non è proprio così, perché Mario Draghi ed Enrico Letta non sono affatto immuni alle lusinghe del consenso, semplicemente le sanno far retrocedere.

Il dato tecnico è che i due stanno disegnando un’Europa che sembra, almeno così come è concepita in ipotesi, esattamente settata per i bisogni di quei suoi territori dove planano crisi industriale e burocrazia. Territori come la Provincia di Frosinone. Spieghiamola partendo dal “dove eravamo rimasti” dalle nostre parti. Il recap è semplice, ed agghiacciante.

I casi Reno De Medici e Stellantis

La deindustrializzazione è un rischio una costante ciociaro e cassinate a tutto tondo. Vincoli burocratici clamorosi, soprattutto esclusione di Frusinate e Pontino dalle Zes e logiche di profitto tra legittimo e bucaniere minacciano di depauperare un territorio se non crea alternative valide di sviluppo.

Ci sono eccellenze che quelle alternative provano a svilupparle. A Piedimonte San Germano Stellantis ha investito miliardi di euro per trasformare le vecchie linee dei tempi di Marchionne con le moderne basate sulla piattaforma Stla Large sulla quale nasceranno le auto del futuro imminente. (Leggi qui: Stellantis, la rivoluzione premium in Europa parte da Cassino).

A Villa Santa Lucia la Reno de Medici hanno sviluppato una tecnica di produzione del cartoncino che ricicla una parte degli scarti di lavorazione. L’interpretazione della norma è sub judice. Il provvedimento di sblocco annunciato da Daniele Maura con cui si ventilava la risoluzione del famoso paradosso fanghi-rifiuti-materia prima ha trovato una quadra, ma dopo settimane horror. La Pisana non poteva intraversarsi su quello che ha delineato la magistratura se non ridefinendo il parametro di prodotto enucleandolo da quello di rifiuto. Che significa? Che ci sono territori europei ed italiani che chiedono a gran voce uno “Smart Deal” definitivo. (Leggi qui: Reno de Medici, i fanghi non sono rifiuto: si torna a produrre).

Puntare allo “Smart Deal”, subito

In pratica? Un’impostazione dell’Unione che crei presupposti di sviluppo agile, invece di deprecare l’assenza degli stessi con l’avvicendamento delle varie ricette politiche. Il senso è che serve un organismo grande per semplicità e non un grande organismo che dalla semplicità abdichi, sennò saranno guai. Anzi, già lo sono. Servono poche regole e certe, norme duttili e tali “da adattarsi a una innovazione tecnologica che corre alla velocità della luce”.

Lo spiega Il Foglio. Che con Stefano Cingolani incalza: “Accesso comune ai capitali, una sorta di eurobond tecnologici; partnership pubblico-privato perché né un singolo stato né un superstato possono colmare il gap con gli Usa e sostenere la sfida cinese”. E ancora: “Non più solo moneta, occorre creare una Unione vera anche sull’ambiente, il digitale, l’energia”. Il senso è che più che una nuova velocità su quello che c’è serve una nuova posta su cui correre, con meno curve, dossi e con un asfalto diverso, da grip assoluto.

Ecco, Mario Draghi ed Enrico Letta starebbero lavorando esattamente su quello.

I due cardini: competitività e marcato

Mario Draghi

Gli ambiti sono disegnati: l’ex premier e master della Bce si arrovella sulla competitività, l’ex premier e docente parigino lavora sul mercato unico. Cioè su una serie di regole che una volta per tutte equalizzino i bisogni di realtà nazionali eterogenee con il denominatore comune di un interesse plastico ed ecumenico. Da quanto si apprende “Letta, su mandato della Commissione, presenterà il suo rapporto al Consiglio europeo di aprile”. Ed il già “Supermario” dimenticato dagli italiani sull’onda del ciclone Meloni che poi alla fine è roba più draghiana di Draghi?

Per lui vige la regola del “lasciamolo lavorare” fissata da chi lo aveva nominato, Ursula von der Leyen. Ad Elezioni Europee cassate si capirà poi se la sua azione debba essere di spalla tecnica a chi andrà a guidare Bruxelles o se potrà addirittura costituire programma a sé qualora Draghi tornasse in arcione politico in purezza in Ue. La “capa” uscente si ricandiderà, questo pare certo, ma lo scenario è ancora composito.

Il Foglio cita un episodio che sarebbe la “prova provata” di questa manovra sotterranea ma non troppo, lontana dai clamori incipienti della campagna elettorale ma forse molto più cruciale.

La Tavola Rotonda dei big a Bankitalia

Enrico Letta (Foto: Alessia Mastropietro © Imagoeconomica)

Il giorno era quello in cui, da noi in Italia, Giulia Bongiorno annunciava che la Commissione Giustizia aveva dato disco verde alla discussione sull’abrogazione dell’abuso d’ufficio. Cioè il 10 gennaio. Nella sede di Bankitalia erano arrivati i capoccia a 24 carati delle imprese europee.

Tra loro “il presidente di Investor AB Jacob Wallenberg numero uno in Svezia, il presidente del gruppo Vodafone, Jean-Francois van Boxmeer. Il ceo di Syensqo Ilham Kadri, il presidente di Titan Cement Dimitri Papalexopoulos”. E ancora: “Il presidente della Siemens Jim Hagemann Snabe”.

Sono i Cavalieri della tavola Rotonda dello sviluppo, la Tavola rotonda europea per l’industria, l’Ert. E da Milano era partita la road map, quella vera e concreta, per rimettere l’Europa in arcione ai suoi interessi economici senza sbalzare di sella nessuno. Come? Con una deregulation concreta: nuove norme e più collaborative. Con la piena standardizzazione dei protocolli per lavorare davvero in comune.

Stellantis e l’elettrico: il caso scuola

(Foto: Sergio Oliverio © Imagoeconomica)

E con l’aumento degli “investimenti ad alta intensità d’innovazione attraverso una partnership pubblico privato che riduca il rischio”. Il problema è che ricerca e sviluppo per “noi europei” sono ancora una chimera e lo sviluppo passa da lì. Ce lo ricorda l’elettrico per l’automotive e la riottosità nel farlo diventare cardine in tempo con Stellantis, che a Cassino adesso lo ha in spunta. Ma perché investiamo poco? La spiegazione sta tutta in quello che andrebbe attuato: il de-risking.

Rispetto ad Usa e Cindia l’Ue “investe troppo poco in ricerca e sviluppo anche perché il suo bizantino sistema regolatorio è costruito per esaltare se stesso non per favorire l’innovazione”. Si torna quindi agli Stati generali della Provincia di Frosinone indetti da Luca Di Stefano ed alla necessità di spazzar via le ragnatele di una burocrazia asfittica. Un sistema di regole inattuali che per esempio hanno fatto dell’antitrust una diga testarda e talebana, non un legittimo filtro di congruità.

Meno rischi e fiscalità agile

Come lo attui, il Green Deal, se non inizi a rilasciare permessi più veloci, se non accompagni le fusioni e se non lo fai su un mercato che sia davvero unico? Idem dicasi per la fiscalità europea, terreno su cui sta lavorando Letta. Il capo economista della Bce Philip Lane, già governatore della Banca d’Irlanda, ha detto che va favorito “un meccanismo di allocazione delle risorse a livello europeo”.

Il senso generale è quello di creare davvero una macchina che metta ogni suo meccanismo a servizio delle parti, e non più di proclamare la sola necessità di crearla indicando le cupe vicende esemplari che quella necessità la qualificano.

Perché se ad esempio con la Reno De Medici si fosse capito in tempo che per far quadrare tutto ci sarebbe voluto un immenso “giro di Peppe” fra Tar, Regione, Rdm e Governo si sarebbe capita una cosa. Che lo sviluppo, il lavoro e il progresso passano per le cose semplici.

E che semplificare non può essere più uno slogan, ma deve diventare un obiettivo e poi una condotta. Condotta europea.