Piange il telefono: Biden non chiama subito Meloni e Renzi ne approfitta

La premier tra bisogno di rendere l'Italia credibile nel mondo e "docce fredde". Sulle quali forse aleggia lo spettro di un Berlusconi poco atlantico

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

Tutta colpa del golpe mancato. Non è la prima volta che nel mondo succedono cose importanti e che il mondo mette l’Italia in seconda fila rispetto a ciò che su quelle cose va fatto. O che quanto meno riserva a Roma il timing delle seconde scelte. Tutti ricorderanno la famosa cena europea che segnò uno dei periodici “strappi” tra Roma e l’asse Parigi-Berlino. Giorgia Meloni è dal canto suo una che se mastica amaro non lo fa vedere.

La premier sa fin troppo bene che se ti trovi nella sua posizione devi essere più bravo ad ingoiare rospi che a sudare indignazione conclamata, perciò vai di sordina e zitti tutti. E come se non bastasse ci si è messo anche quel maledetto di Eugenio Prigozhin a complicare la posizione funambola di una leader occidentale che vive di europeismo ed atlantismo spinto. Ma lo fa nella amara e periodica pienezza degli sfigati che a calcetto vengono chiamati in campo solo se uno dei bulli di ghenga si sfascia un piede. In caso contrario si resta a bordo campo a vedere gli altri che giocano, applicano schemi e si passano la palla.

Il golpe di “Junio Valerio Prigozhin”

E’ accaduto di nuovo e dopo il golpe mancato di “Junio Valerio Prigozhin” contro la Mosca di Vladimir Putin l’Occidente ha iniziato a peppiare come un ragout napoletano. E come in ogni cucina che si rispetti lo chef stellato (di stelle ne ha 50) ha chiamato i sottoposti ed ha fatto il punto. Punto monco, a considerare che Joe Biden ha telefonato al prezzemolino Emmanuel Macron, al cancelliere tedesco Olaf Scholz e al primo ministro britannico Rishi Sunak per discutere della situazione in Russia. Ma non a Giorgia Meloni.

Ed ha realizzato uno sgarro tondo, comunque la si voglia pensare. Lo ha fatto perché l’Italia è paese centrale nelle strategie Nato, perché è paese Ue ed i cambialoni Ue all’atlantismo Usa neanche si contano più. Poi perché i “cugini” del Regno Unito saranno pure i partner storici nel “panbullismo” anglosassone sulla geopolitica che conta. Tuttavia oggi di quel bullismo planetario e sul tema della guerra di Mosca a Kiev Giorgia Meloni è forse l’esecutor più fedele e pignolo.

Il dato politico interno è evanescente e partigiano ma se ne può imbastire una menzione in azzardo. E da una sua lettura emerge ad esempio che secondo alcuni esponenti dell’opposizione, che sulla cosa ci sono calati come falchetti, quello che penalizza la Meloni è una costante carenza di considerazione estera a cui invece fa da contrappunto la lettura governativa.

La centralità marginale dell’Italia

Mario Draghi e Joe Biden

Quella per la quale, nei peana di Palazzo Chigi, la Meloni è colei che avrebbe restituito all’Italia ruolo centrale, dignità di interlocuzione e prestigio a tutto tondo nello scacchiere internazionale. E non si riesce a capire il senso di quel verbo, “restituire”, cioè riprendersi dopo penuria palese, dato che prima della Meloni a Palazzo Chigi c’era uno come Mario Draghi. Uno che chiama Kissinger “Henry” e che ha più maniglie e Bruxelles e Washington che Ikea in magazzino.

Ma il dato resta e la lettura dello “sgarro” da parte della politica italiana anche. In certe situazioni la verve “analitica” di Matteo Renzi ad esempio diventa il top di gamma delle sue uscite su stampa. Il leader di Italia Viva e direttore de Il Riformista si è scapicollato a farsi intervistare da Repubblica ed ha sciorinato i punti chiave in eziologia.

L’analisi di Renzi e il “sovranismo che non paga”

Matteo Renzi (Foto: Sara Minelli © Imagoeconomica)

Per lui a non pagare è il sovranismo che, sottocutaneo ed infido, marchia il vissuto politico della Meloni. E che spesso la fa mettere all’angolo perché considerata una con un piede a Visegrad ed un altro a Strasburgo. Dove l’economia impone la premier è soft e “strusciona” col Ppe, ma dove l’ultradestra domina, come in Grecia con Mitsotakis, la stessa gongola. Ma se c’è una cosa che Renzi sa fare meglio e con più curaro di tutte è affondare il coltello nella piaga. E girarlo, come fanno gli ex spetznats che Prigozhin ha mandato in scampagnata pubblicistica dalle parti di Rostov.

Perciò il secondo attacco è arrivato alla Farnesina, nella fattispecie al titolare Antonio Tajani che a suo parere sullo sgarro di Biden dovrebbe farsi sentire. E soprattutto che dovrebbe “pensare di meno a Forza Italia”. Qui Renzi si è dato di sgambetto da solo e lo sa. Ma lui sa anche che ormai parlare degli azzurri non è più come prima, quando farlo significava addentare i polpacci al suo defunto leader e fondatore.

Attacco a Tajani: “Pensi di meno a Forza Italia”

E ha volutamente omesso di incamminarsi su quella che ad oggi appare la lettura più probabile dello “sgarro” di Biden a Roma ed a colei che oggi di Roma rappresenta istanze, peso e dignità. Quale? Quella per cui il vigore in panegirico con cui Silvio Berlusconi era stato salutato, zuccherato e beatificato dopo la sua morte è ancora una “macchia” per Palazzo Chigi.

Il Cav era il meno atlantista del bigoncio ed aveva più volte criticato esattamente la linea mastina che Joe Biden aveva imposto all’Europa, specie all’Italia, nel condurre la politica sulla guerra a Kiev. Al funerale del Cav il leader più importante convenuto era stato Orban e nessuno di quelli chiamati al telefono da Biden era andato in Duomo a Milano. Non sono pochi quelli che perciò inquadrano la mancata telefonata nell’ottica dell’ennesima “punizione”. Un castigo per aver beatificato un po’ troppo un politico “amico di Putin” e soprattutto censore dei suoi nemici acerrimi.

Joe tarda ma ci mette rimedio

A dire il vero il capo della Casa Bianca ha rimediato in tempo non proprio reale ma in scia con le reazioni ala gaffe. E dopo 24 ore pare abbia telefonato a Meloni, mettendo la classica pezza peggiore del buco secondo protocollo diplomatico, ma sanando almeno formalmente la faccenda. Ne scrive Dagospia oggi e ce ne ha scritto in tempo reale, quello realissimo, Francesco Storace. Tuttavia resta tutto il cascame di una faccenda gestita male. E che non toglie certezze sul grado di considerazione “ex post” di cui gode la premier in certi ambienti. Chiamare gli altri a caldo e Meloni quando il caso Prigozhin è già mezza macchietta o dossier da barbe finte non è il top della sinergia sincera.

L’acqua sul fuoco di Fazzolari

Antonio Tajani e, sullo sfondo, un'immagine di Silvio Berlusconi

Perciò quando Renzi critica Tajani e lo esorta e farsi valere con i comprimari del mondo va un po’ in ossimoro. Ci va a contare che di Berlusconi proprio lui era stato esegeta blando ed apologeta massimo. E sul fronte interno? Meloni, che ha tenuto conclave con Aise e ministri, si appresta a riferire alle Camere tra 24 ore. Lo farà forte dello “specchietto per le allodole” della vittoria facile facile alle Regionali in Molise. E il suo uomo di fiducia per quando “mala tempora currunt”, il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Giovanbattista Fazzolari, l’ha messa giù blanda.

“Chiamare due stati membri del Consiglio di sicurezza Onu, come Inghilterra e Francia e il principale paese europeo per dimensione e popolazione non è uno sgarbo all’Italia. Non farei alcuna polemica su questo…”. Tutto in eziologia piaciona, come a dire che l’Italia ha perso diritto di interlocuzione per una manciata di milioni di cittadini in meno rispetto a Berlino e maledetta denatalità. Come a dire che se Parigi valeva bene una messa, Bruxelles, il Pnrr e la ricostruzione in Ucraina valgono bene uno sgarbo. L’ennesimo.