Salvini tra il ponte di Topolino e la polpetta avvelenata di Le Pen

Prima il depistaggio, poi la soluzione. L'incontro in masseria tra Meloni e Salvini. Che vorrebbe una Lega sovranista in purezza. Ma la Lega che deve spingere è costretta a fare i conti con il Ppe. E con il Partito della premier.

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

Dicono che si siano visti nelle ore scorse: nella masseria Beneficio a Ceglie Massapica dove sta trascorrendo le sue vacanze blindate. E che forse fosse proprio per tenere ancora più riservato quell’incontro che Giorgia Meloni abbia depistato i reporter appostati in attesa di uno scatto ‘rubato‘ la premier ha cambiato idea. Lascia circolare la voce che andrà a Polignano, ma poi ci ripensa; dopo un po’ la aspettano a Locorotondo, zoom e teleobiettivi si spostano. A sera si scopre che Matteo Salvini ha raggiunto la premier nella masseria per un incontro riservato durato diverse ore.

Indispensabile. Perché passato il ponte di Ferragosto a Matteo Salvini è rimasto il Ponte sullo Stretto in doppia versione. Quello reale che per lui è spot e quello di Topolino che non gli ha fatto la migliore delle pubblicità. Il leader leghista, nonché vicepremier e ministro di Infrastrutture e Trasporti appartiene alla schiera di gaffeur degna di Filippo di Edimburgo e spesso paga pegno. Quella di coloro che non solo “non ci prendono” ma che spesso e volentieri incappano nelle magagne perché sono social-compulsivi. Perciò negli scivoloni ci cadono in maniera seriale.

E’ questione di statistiche più che di carenze. Se sei sempre su Fb, Twitter ed Instagram a postare anche sui criteri di accoppiamento dei koala prima o poi una cappellata la prendi. E se sei un politico di maggioranza in una democrazia logorroica come la nostra fra la tua cappellata e il dileggio per averla fatta è un attimo.

Quel ponte crollato ma solo nei fumetti

Matteo Salvini (Foto: via Imagoeconomica)

Ma al segretario leghista la questione del Ponte citato su Topolino come esempio di opera “necessaria” senza sapere che lo storyboard finiva male e col ponte crollato ha fatto male relativo. Primo perché non è certo da uno scivolone fumettaro che si giudica un ministro, poi perché sulla griglia che sta infuocando il didietro di Salvini ci sono ben altre “fiamme”.

La prima e la più vivida è la Fiamma che campeggia sullo stemma degli alleati di Fratelli d’Italia, che sperano di cuocere Salvini a fuoco lento in occasione delle Europee 2024. Serve una premessa e servirà fino all’anno prossimo, perché è la chiave di lettura su cui si decifrerà ogni azione partitica a venire in Italia. La Lega è in palese credito di iscritti e ci sono dati che lo confermano. Nel “fortino” Lombardia e nel 2022 ha perso il 44%. In Veneto il 26 ed in Piemonte il 28, In Emilia addirittura il Carroccio è andato giù del 43%. Repubblica cita i “23 bilanci del 2022 delle varie ramificazioni territoriali del Partito, sotto la voce di ‘quote associative annuali’”.

Il voto europeo sarà quindi importante come non mai perché potrebbe essere il primo con esito destrorso in purezza. Tuttavia una vittoria troppo netta delle destre Ecr o targate Visegrad metterebbe in serissimo imbarazzo il delicato gioco di equilibri che Giorgia Meloni sta tessendo da mesi. La premier è una sovranista prestata al governo di un sistema complesso che non è solo nazionale.

Il Capitano “grigliato” a Fiamma molto lenta

Manfred Weber (Foto: Philippe Buissin © Eu Press Service)

E in quel sistema complesso il compromesso a denti stretti con l’identità di Fratelli d’Italia non è un’opzione, è un obbligo. L’Italia è paese in perenne debito di deroghe dal rigido sistema normativo Ue: ha quel signor debito pubblico, ha bisogno di un Pnrr “settato” e non può fare a meno della robusta presenza dei liberali moderati. Se a Roma costoro contano ormai pochissimo con Forza Italia comprimaria già da molto prima della morte del Cav, in Europa sempre costoro sono fortissimi, con il Ppe di Manfred Weber.

Perciò a chi volesse restare a Palazzo Chigi senza ulteriori pensieri conviene più puntare ad un blocco tra Ppe e conservatori non troppo spinti che ad un monolite destrorso modello Polonia-Ungheria. Quello scenario in cui Meloni sarebbe costretta ad inseguire la scalmane di Paesi recalcitranti alla più parte delle regole Ue proprio mentre lei in Ue vuole accreditarsi come perno non può verificarsi.

Ecco perché da mesi ormai il gioco di FdI e FI è quello di “stuzzicare” la Lega salviniana esattamente dove il Carroccio è politicamente più “permaloso”. Lo scopo è spingere la Lega ad una battaglia solipsistica e mezza suicida da cui, dato che alle Europee ognuno corre per sé, Salvini ne esca isolato.

Inertizzato in Europa e “potato” a Roma

E con un bel po’ di ambizioni interne “potate”, visto che oggi a Palazzo Chigi l’insider più pericoloso per Meloni è proprio lui. Da qui l’esca avvelenata della questione Le Pen. Che significa? Che anche solo nominare a Salvini soluzioni mediate che includano anche scampoli dell’Europa “banchiera” e occhieggiante ai social democratici significa mandarlo ai pazzi.

E lui non ci ha messo molto, a farlo sapere. “Io chiederò agli amici del centrodestra che il centrodestra si impegni a governare in Europa solo con il centrodestra”. Dalla Versiliana il leader-ministro ha squadernato subito le carte sul tavolo, tanto per capirsi prima e del tutto. Ma su cosa? Sul fatto che Fratelli d’Italia e Forza Italia avevano espresso cautela in questi giorni, sull’alleanza con la dama Nera francese Marine le Pen.

Tra essere cauti ed essere contrari la distanza non è poi così tanta, perché in politica conta più quello che sta dietro il linguaggio cifrato dei simboli che quel linguaggio lo disegnano. Perciò Salvini aveva capito dove volevano andare a parare Meloni e Antonio Tajani ed ha abboccato all’amo. “Ogni voto che verrà alla Lega non andrà mai a Bruxelles a governare con la sinistra, mai, perché abbiamo già visto di che pasta sono fatti”.

Polemica ma senza spingere troppo, per ora

Poi l’auspicio che, sempre in virtù di quel teorema sul linguaggio, significa minaccia. “Spero che nel centrodestra nessuno faccia l’errore di inseguire qualcuno di sinistra nel dire ‘mai con quelli là’, perché la Le Pen è il primo Partito in Francia. E i tedeschi a cui dicono no sono il secondo partito in Germania, gli austriaci a cui dicono di no sono il primo partito in Austria”.

La summa è truce: “Se inizi a mettere dei veti nel campo del centrodestra, apri la strada all’unica alternativa che è un accordo con la sinistra. Salvini finge di non aver capito che nessuno vuole fare accordi con la sinistra, ma tutti vogliono prospettare che quell’accordo ci possa essere e per uno scopo preciso. Portare Salvini a due esiti: o accodarsi e scegliere il “meno peggio”, andando supino ad ormeggiarsi nell’hub del Ppe, oppure ballare da solo e bruciarsi nel calderone dei sovranisti. E perciò ritrovarsi a Palazzo Chigi del tutto disallineato dalla rotta europea della Meloni ma senza innescare crisi di governo.

Le contromosse laziali del Carroccio

E proprio dal Lazio sono arrivate le avvisaglie della strategia di assestamento della Lega salviniana. Quella con cui il Carroccio ha “terminato” la stagione del consociativismo con la linea draghiano-meloniana ed ha messo in campo uomini nuovi per nuovi progetti. A giugno erano cambiati i coordinatori regionali, con Claudio Durigon, alla cui successione era stato individuato il consigliere e segretario capitolino del Partito Davide Bordoni. E da effetto domino alla segreteria di Roma era arrivato un “osso duro” come Angelo Valeriani.

Claudio Durigon (Foto: Vincenzo Livieri / Imagoeconomica)

Costui, come ricorda Agenzia Nova, era stato “già candidato del Carroccio alle elezioni amministrative di Roma nel 2021 e membro del direttivo locale del partito”. A Valeriani era arrivato l’appoggio di Pasquale Ciacciarelli, che a proposito della sua avventura amministrativa scrisse: “Finalmente si respira aria nuova per la nostra capitale”. A lui la “grande responsabilità”. Quale? “Traghettare il coordinamento cittadino verso una nuova fase, di rilancio e di ripresa per rispondere alle sfide che attendono la Capitale. Guardiamo ai grandi appuntamenti internazionali, come il Giubileo ed Expo2030.

La mossa d’anticipo: inserire il Ppe nell’equazione

Per Salvini si prefigura una trappola insomma, e trappola sopraffina. Tanto sopraffina che Salvini ha colto l’usta ed ha giocato d’anticipo. Come? Inserendo lui per primo i Popolari nell’equazione per evitare che qualcuno ce li mettesse a forza e lo facesse passare per uno che subisce la linea invece di (co)dettarla. “Tutte le elezioni in Europa stanno virando verso il centrodestra”.

Pasquale Ciacciarelli con Matteo Salvini

Poi lo scenario pacificatorio: “Se saremo abbastanza forti proporrò un accordo con centristi, popolari e conservatori. Tra Macron e Le Pen scelgo tutta la vita Le Pen. Se dici ‘non voglio Le Pen’ dici ‘voglio i socialisti’”.

Il che significa dire tutto per non dire ancora nulla. E che per ora la partita intera è rimandata. Per ora, perché una cosa è cadere su Topolino, un’altra è fare la figura di Pippo.