Il gregge, il lupo, il pastore che fugge e quello che resta

La dimensione della responsabilità che tutti quanti noi abbiamo nella nostra vita. Nel momento in cui arriva il lupo il mercenario fugge e il buon pastore, invece, si erge a difesa delle sue pecore. 

Pietro Alviti

Insegnante e Giornalista

Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore. (Gv 10, 11-12)

Quando si leggono questi versetti dell’evangelista Giovanni il pensiero va immediatamente a tutte quelle situazioni in cui ciascuno di noi è chiamato ad essere pastore di qualcun altro.  In tanti sono stati nostri pastori, sin dal momento in cui siamo stati concepiti, siamo stati cresciuti nelle nostre famiglie, siamo andati a scuola, abbiamo avuto rapporti di lavoro, ci siamo confrontati in organizzazioni sociali:  in tutte queste occasioni siamo stati o parte del gregge o, noi stessi, pastori del gregge

Certamente, l’evangelista Giovanni non fa riferimento a questo ragionamento. Anzi situa il discorso di Gesù nell’ambito della presenza della dinamica “pastore gregge” all’interno di tutta la scrittura.  Israele è il gregge di Dio e Dio ne è il pastore.  Ma al di là di questa dimensione propriamente biblica, al cui interno Giovanni estrapola il ragionamento di Gesù, c’è la dimensione della responsabilità che tutti quanti noi abbiamo nella nostra vita in ogni momento in cui siamo, comunque, chiamati a indicare la strada, a preservare la vita, a condurre in salvo altre persone. 

Pastori per le pecore e non per i soldi

Monsignor Oscar Romero, ucciso per essere rimasto accanto al suo gregge

È quello che fa il pastore. Ma, come dice Gesù, il pastore può essere buono o può essere un mercenario. Buono è il pastore che si prefigge il bene delle pecore. E non quello, invece, di percepire il salario che il padrone gli darà. Nel momento in cui uno è pastore soltanto per salario, in quel momento, come dice l’evangelista Giovanni, non gli importa più delle pecore.

Ecco, dovremmo ciascuno di noi ragionare sulle esperienze che abbiamo avuto nella nostra esistenza, nel momento in cui ci siamo trovati ad essere pastori, ma anche nel momento in cui ci siamo trovati ad essere pecore, per imparare a distinguere il buon pastore dal mercenario. In questo modo possiamo imitare, nei nostri comportamenti,  quelli del Buon Pastore  e al contrario cercare di evitare quelli del mercenario.

La condizione di discrimine, dice Gesù, sta nel confronto con il lupo: nel momento in cui arriva il lupo, infatti, il mercenario fugge e il buon pastore, invece, si erge a difesa delle sue pecore

Il pastore ucciso per il gregge

Tornano alla mente tante figure di preti che hanno dato la loro vita per il loro gregge. Giovanni Paolo II ha chiamato il secolo XX “Il Secolo dei Martiri”, intuendo che la testimonianza della fede è molto più richiesta oggi piuttosto che nei primi secoli del Cristianesimo, quelli a cui noi siamo abituati a collegare il termine “martiri”. 

In questi giorni ricordiamo gli 80 anni della II Guerra Mondiale: dal dicembre del 1943 al maggio del 1944 la nostra terra fu il fronte, sei mesi di sofferenze, di fame, di distruzione, di stragi e di violenze efferate.  Ebbene in quelle settimane, in quei mesi terribili,  brillano le figure di alcuni parroci che rimasero al loro posto, accanto alle persone, abbandonate dalle altre autorità. Invece di fuggire anche loro, rimasero insieme con le loro pecorelle di fronte al lupo. 

Sarebbe davvero il caso di ricordare quanti di questi uomini difesero le popolazioni abbandonate da ogni altra autorità.  Sono l’esempio di quella forza buona dei Cristiani che proprio nella figura del pastore, che si erge a difesa delle pecore, ha la sua rappresentazione icastica.  Da quelle figure di preti tra la loro gente dobbiamo anche noi imparare che possiamo essere chiamati a difendere le pecore che ci sono affidate in qualunque momento della nostra vita,  indipendentemente dalle nostre funzioni specifiche e dalle nostre responsabilità derivanti dalla professione, dal ruolo, dalla posizione che occupiamo nella società.