È la storia di Anthony e Antonio, il Capitano e il Testimone: eroi a modo loro, che il destinò volle unire anche nel nome. C'erano anche gli aborigeni del Canada tra gli Alleati. Pofi fu difesa con il fuoco: soprattutto le sue donne, dagli stupri di guerra. Anche Cassino e Roccasecca devono tanto alle truppe canadesi. Le hanno commemorate con la pittoresca banda musicale della Polizia di Edmonton: fiato alle cornamuse e rullo di tamburi.
C’erano anche gli Aborigeni canadesi tra gli arruolati con gli Alleati per la Campagna d’Italia. Sbarcarono in Sicilia il 10 luglio 1943. L’anno dopo, tra 24 e 25 maggio, le divisioni canadesi combatterono la Battaglia del Melfa: per la liberazione di Roccasecca dal nazifascismo.
A fine mese però sarebbero diventati eroi anche oltre la Linea Gustav ormai sfondata. Salvarono Pofi, soprattutto le sue donne, dalle orde di marocchini e altri nordafricani inquadrati nelle truppe coloniali francesi. Diventati famosi questi per i loro stupri sulla popolazione civile: bambini, uomini e in alcuni casi anche animali. I canadesi, guidati dal capitano Anthony Joseph Scotti, intervennero e li fermarono: furono avvisati da un giovane cassinate.
Si chiamava Antonio Grazio Ferraro e corse come un matto dal casolare in cui era sfollato. Andò a dire al Capitano che stavano per iniziare saccheggi e stupri di guerra. Lui, malgrado qualche tentennamento iniziale, decise di schierare la sua truppa a bordo fiume. E difese i pofani col fuoco. Mentre tutti ripetevano: «C’est la guerre, c’est la guerre». È la guerra: è la normalità.
«C’est la guerre, c’est la guerre»
Ma per i canadesi non poteva e doveva essere normale. Attesero e mitragliarono verso le truppe coloniali ‘in libera uscita‘ che volevano passare dalla riva destra a quella sinistra del fiume Sacco: per l’appunto, sulla strada per Pofi. Gli eroi di questa storia sono due anziché uno: Anthony e Antonio, come se il destino volesse unirli anche nel nome oltre che nella virtù.
Salvarono Pofi da un migliaio di diavoli. Allora la cittadina ciociara aveva oltre cinquemila anime, più di adesso. Andò diversamente da altre parti: il sindaco di Esperia raccontò che nel suo Comune furono stuprate più o meno 700 donne. Allora gli abitanti erano appena 2.500, meno di adesso.
Non tante vittime ebbero il coraggio di denunciare lo stupro. Gli hater del tempo, in caso contrario, le avrebbero disprezzate. Ancora oggi, del resto, si cercano sempre attenuanti per tentare di giustificare l’ingiustificabile: la violenza sessuale.
Quei pellerossa dal Canada
Ne morirono seimila di canadesi nella Campagna d’Italia. Anche a Cassino, Roccasecca e Pofi, ottant’anni dopo, sono stati commemorati con le cornamuse ed i tamburi della pittoresca banda musicale della Polizia di Edmonton. È il capoluogo della provincia dell’Alberta: ai piedi delle Montagne Rocciose.
Tra di loro ce n’era qualche centinaio che apparteneva alle tribù native del Canada: Irochesi, Oijbwa, Cree, Secpwepemc e Metis. Non lo fecero tutti per l’ideale, ma ne uscirono tutti come degli eroi. «Chi per denaro, chi per un sogno di giustizia e libertà che sognavano per i loro popoli», racconta Matteo Incerti nel libro romanzato “I pellerossa che liberarono l’Italia”: dalla Sicilia a Ortona, passando per Cassino, fino ad arrivare in Emilia-Romagna.
Quel sedicenne Antonio Ferraro, nato a Cassino da genitori epurati dalla Calabria, sarebbe diventato tre volte sindaco della Città Martire e pure Presidente della Provincia. Oltre che insegnante, medico veterinario e vero uomo delle istituzioni. Agli inizi insegnava anche Scienze naturali nella scuola media di San Vittore del Lazio. Se n’è andato nel novembre 2015, all’età di 88 anni, tanti trascorsi a raccontare gli orrori della guerra.
Anthony & Antonio, due Eroi
Ferraro fu testimone del bombardamento angloamericano dell’Abbazia di Montecassino. E assistette a saccheggi e violenze del Corpo di spedizione francese in Italia. Era formato in gran parte da goumiers, marocchini di origine berbera, e altri tribali nordafricani. A loro, urlanti con mantello e turbante, il generale Alphonse Juin concesse 50 ore di “libertà”: «Per cinquanta ore sarete i padroni assoluti di ciò che troverete al di là del nemico». Quelle ore tragiche ancora oggi vuole farle pagare care alla Francia, in termini di giustizia e risarcimenti, l’Associazione nazionale delle vittime delle Marocchinate. (Leggi qui: Ci voleva un porno per ricordare la tragedia delle 60mila ciociare violentate).
Ad Anthony & Antonio, il Capitano Scotti e il Testimone Ferraro, è stato ora dedicato un cippo commemorativo a Pofi nel corso di una cerimonia partecipate da autorità civili e militari. È intervenuta, nell’occasione, la figlia dell’eroico Testimone: Emilia Ferraro. «Abbiamo narrato attraverso le sue parole – così il sindaco Angelo Mattoccia – la storia di due eroi e di come salvarono la popolazione civile durante la seconda guerra mondiale».
Ma in qualche modo c’era anche il Capitano: attraverso le parole scritte da Carol Kohler per suo padre Anthony Scotti. Fondamentale l’apporto dell’Associazione Battaglia di Cassino, eccellente centro di studi e ricerche. Ha presenziato anche l’associazione Crossroads Ortona. «Grazie alle famiglie Scotti e Ferraro – conclude il primo cittadino di Pofi -. Oggi, come 80 anni fa, unite indissolubilmente a Pofi».
Roccasecca, Cimitero, Montecassino
Ancor prima, però, sono passati per Cassino e Roccasecca. La “Edmonton police service pipes and drums” ha suonato anche nel cassinate “Cimitero di guerra del Commonwealth” e nell’Abbazia di Montecassino. Ha sfilato per le vie roccaseccane e si è esibita nella Chiesa di Santa Margherita. Poi il passaggio per Largo Mahony e la deposizione di una corona di fiori nella chiesa di San Vito, accanto al fiume Melfa, dove i canadesi combatterono contro i nazifascisti.
Quel largo di Roccasecca è intitolato dal 2019 al Maggiore John Keefer Mahony. Contribuì in maniera decisiva alla liberazione della cittadina del Cassinate. Con la Compagnia A del Westminster Regiment diede man forte alla sezione Stathcona’s Horse nel corso della Battaglia del Melfa. Anche in questo caso sulla riva opposta del fiume.
Il sindaco Peppe Sacco, nell’occasione, ha ricordato che la guerra c’è ancora oggi. «In questi giorni in cui è entrata ancor più prepotentemente nelle nostre vite con le immagini da Gaza e da Israele, dire no ad ogni forma di violenza è un dovere civile – ha detto il primo cittadino di Roccasecca -. Soprattutto per quei territori come il nostro che la guerra l’hanno subita. Ancora adesso a 80 anni di distanza, il nostro grazie ai liberatori canadesi che a Roccasecca saranno sempre i benvenuti».
Quando ci salvarono con le bombe
A Roccasecca sarà ancora tempo di Memoria. Domattina alle ore 10, in piazza Risorgimento allo Scalo, sarà commemorato l’ottantesimo anniversario del bombardamento della stazione di Roccasecca. «Coltivare la memoria, per costruire un futuro diverso – così Sacco -. Tutti dobbiamo sentirci coinvolti in questo obiettivo».
Il 23 ottobre 1943, verso le quattro e mezza del pomeriggio, i caccia americani bombardarono la stazione per via della presenza dei convogli che rifornivano le armi ai tedeschi. Furono bombardate anche tutte le case del circondario. Si rifugiarono sulle montagne. Lo ricorderà il Comune assieme a Battaglia di Cassino, Cassino Città per la Pace e Italy War Route. Lo faranno con una mostra documentale e i gonfaloni in piazza.
Ci sarebbe andato anche Antonio Grazio Ferraro. È scomparso il 29 novembre 2015, lasciando un grande vuoto colmabile soltanto con i suoi ricordi lasciati in eredità. Era il figlio di un dipendente delle Ferrovie che il Fascismo mandò via dalla Calabria per le sue idee politiche: socialiste. La sua viva testimonianza la riportano Angelino Loffredi e Lucia Fabi nel loro libro “Il dolore della memoria”.
Uno stupro davanti ai suoi occhi
Le truppe francesi avevano già invaso Castro dei Volsci, che della violata “Mamma Ciociara” ne ha fatto un Monumento che piange il suo sacrificio e onora il suo coraggio da quasi sessant’anni. «Guadano il fiume in un punto dove era possibile – ha raccontato Ferraro – e penetrano nella nostra abitazione, oltre a commettere atti di violenza in tutta quella zona. Alla stazione di Castro-Pofi c’era qualche gendarme canadese ma non si accorsero di nulla».
Nel luogo dello sfollamento c’era due donne affette da scabbia: fu la loro salvezza, neanche sfiorate proprio perché ricoperte di lesioni e bolle. «I “marocchini”, con la minaccia delle armi, ci portarono in un altro luogo: una baracca lunga e bassa. Esercitarono davanti ai nostri occhi violenza su una adolescente».
Dopo una decina di giorni, il 9 giugno, avrebbe compiuto 17 anni. Ma la sua adolescenza finì quando vide stuprare una “Figlia Ciociara”. Gli animali scapparono quando sentirono arrivare una camionetta militare. Ma erano francesi. E, sentito cos’era successo, risposero: «Monsieur, c’est la guerre. C’est la guerre». È la guerra. Non per lui. Andò a dirlo al comando canadese, nel centro di Pofi. Sulla scrivania lesse “Capt. Anthony J. Scotti”: un Capitano di chiare origini italiane.
La “Messa urlante” del diavolo
Li aspettarono fino all’indomani: «Scesero di nuovo dalla montagna su cui è adagiata Castro. Il ponte della Madonna del Piano era danneggiato ma a fatica poteva essere attraversato, passando sui suoi ruderi. Essi comunque preferirono guadare il fiume. Mi impressionò questa massa urlante che come un’orda si preparava all’assalto, abbigliata ed equipaggiata in modo inconsueto. Mi ricordava molto le scene con gli indiani dei film western».
I canadesi strapparono Pofi alla tragedia: come non fecero tanti altri nel circondario. Lasciando sventrare le donne nel corpo e nell’anima, accanendosi anche su bambini e anziani. Sono le “Marocchinate” per cui si fatica a istituire una giornata commemorativa a livello nazionale.
Sono passate alla storia così, restando perlopiù nell’ombra come chi le subì. E il problema è proprio il nome: che si rifà alle origini dei goumiers, non alla loro condotta. Oggigiorno potrebbe innescare tensioni diplomatiche con il Regno del Marocco.
Il fiume Sacco si colorò di rosso
«Mi rimane impresso il particolare che tutti brandivano un’arma bianca dalla lama molto larga – li ricorda Antonio Grazio Ferraro -. Dovevano essere circa un migliaio. I canadesi mitragliarono prontamente i marocchini che avanzavano e alcuni di loro rimasero a terra. L’acqua del fiume Sacco si colorò di rosso e i corpi dei militari uccisi non furono mai recuperati ma abbandonati alla corrente che li trascinò via».
Aspettarono lungo la riva del fiume e fecero cadavere il loro nemico. Anthony e i suoi pellerossa furono avvisati da Antonio: perché in questa storia, ormai si sa, ce ne sono due di eroi.
Ci fu chi andò a denunciare il pericolo, anche a costo della sua giovane vita. E chi non si voltò dall’altra parte, ma disse: «Ce n’est pas la guerre». Quella, Monsieur, non è guerra. E quante Marocchinate si sarebbero evitate altrove, se solo ci fossero stati sempre due Antonio così.