Dagli Anni di Piombo a quelli del Disimpegno. Degli altri. Dalla segreteria del Fuan fascista alle manifestazioni pro Palestina con i comunisti. La storia di Biagio Cacciola, filosofo, arrestato negli anni Settanta. Che ora crede negli angeli.
Su di lui c’è una scritta su un muro di Frosinone: quando, qualche tempo fa, hanno pensato di cancellarla, si è creato un movimento di opinione per impedirlo. È stato in carcere, non c’è stato poco, c’è stato con accuse gravissime. Il penitenziario era di massima sicurezza, come si conviene a quelli sospettati di essere gli ideologi di una banda di terroristi. Ne è uscito pulito ma quell’esperienza gli ha insegnato tantissime cose. In tempi più recenti è stati assessore comunale a Frosinone. Scomodo era prima, scomodo è stato dopo. La scritta è ancora al suo posto. È quella che chiede di liberare il professor Biagio Cacciola.
*
Professor Cacciola, cominciamo dalla scritta: ‘Cacciola Libero’.
“Rappresenta un pezzo della storia di Frosinone. Forse è per questo che, senza dire niente, ancora è rimasta lì…”
Sono gli anni ‘70, Biagio Cacciola è uno studente universitario ma non uno qualsiasi: è il segretario del Fuan cioè il fronte universitario dell’allora Movimento Sociale Italiano Destra Nazionale. In pratica, gli eredi del disciolto partito Fascista.
“C’era quel clima degli Anni di Piombo che ormai si conosce solo attraverso i libri e qualche film. Siamo nel 1977 e alla Balduina c’è un volantinaggio fatto da alcuni ragazzi di sinistra, denunciavano un agguato e dei colpi di pistola esplosi contro alcuni loro compagni a Monte Mario. Qualcuno ritiene che quel volantinaggio sia una provocazione perché la Balduina è in quel momento il fortino della Destra più radicale. Basta poco per innescare un nuovo scontro. E questa volta ci rimette la vita un ragazzo di Lotta Continua. La reazione della sinistra fu quella di dare l’assalto e di incendiare le sedi del Msi, del sindacato Cisnal a noi vicino, del Fuan e del Fronte della Gioventù.
In questo clima, Cacciola deve andare a Napoli per partecipare ad una manifestazione contro le violenze. Accompagna un giovane dirigente, l’allora segretario del Fronte della Gioventù, Gianfranco Fini.
“C’era evidentemente una situazione quasi da frontiera. All’epoca non c’erano i cellulari e mentre scendevamo verso Napoli sentivamo alla radio che a Roma c’erano stati altri incendi, tra cui quello della sezione Prati. Noi andavamo ad un’incontro, mi sembra al Maschio Angioino, proprio per dire che la soluzione non era la lotta armata…”
La Cinquecento non era il massimo della comodità
“Infatti rientrammo verso le 22.30 – 23. Stanchi, andiamo a dormire: Fini abitava a Monteverde, io dormivo invece in via Siena, al Fuan. Era un appartamento ampio: lo usavamo per le riunioni e per l’attività politica; c’era però anche una stanza con il letto, il bagno… così mi ero trasferito lì. Era un modo di vivere la militanza e anche per risparmiarmi l’affitto a Roma».
Non riesce a dormire.
“Accadde una cosa strana. Poco prima della mezzanotte mi sveglio all’improvviso. Non sentivo più la stanchezza. Eppure, normalmente quando iniziavo e quando inizio a dormire è difficilissimo che mi alzi. Sta di fatto che mi siedo sul letto e e mi dico ‘Fammi andà a vedé che succede a piazza Risorgimento’‘. Mi alzo e prendo la circolare che passava a Viale Regina Margherita…Vado a Piazza Risorgimento. Lì vedo questa sezione che brucia – c’era un falò enorme – stavo là, con i pompieri già sul posto, poi gente…”
Si sente toccare una spalla…
“… e mi sento dire ‘Ne guagliò e tu che stai a fà qua? Riconosco il mio amico Gigino Neglia, il ristoratore più famoso di Frosinone. Insieme al compianto Franco Arcese una persona in gambissima, direttore alla Winchetser ad Anagni. Hanno raggiunto Roma con la Fiat 1500 mi sembra di Giggino… A quel tempo il traffico non era quello di oggi, spesso a fine giornata i commercianti di Frosinone andavano a Roma per fare quattro passi in centro, prendere un caffè….
Loro comprendono subito la serietà della situazione.
“Dicono: ‘Bià, tu adesso ‘te ne torni’ con noi a Frosinone che qui non è aria’. Mi ricordo ancora questa 1500 marrone… Io risposi: ‘Ma domani debbo stare qua’, c’ho lezione all’università, i camerati del Fuan mi aspettano’. “Dicevano ‘No, devi tornare con noi e basta’ e mi imposero questo fatto, alla fine tornai con loro. Fui lasciato sotto casa mia, all’epoca abitavo in una zona di Frosinone che si chiama Madonna della Neve. Entrai – mia madre stava dormendo di certo, mio padre credo non vi fosse perché al lavoro, né mio fratello – e andai finalmente a dormire. Di soprassalto fui svegliato da mia madre che mi diceva che una persona insisteva per avermi al telefono.”
Gigi Serafini…
“Che faceva Ingegneria a Roma, alla Sapienza… Anche lui iscritto al Fuan. Abitava lì vicino, era uno dei dirigenti. Volle sapere per forza da mia madre se fossi in casa o meno. Poi quando assonnato andai all’apparecchio pretendeva che gli dicessi la mia data di nascita e la facoltà che frequentavo. Io, che avevo sonno, credendo che fosse uno scherzo lo presi a male parole. Lui invece continuò ad insistere fino a quando non gli dissi quando ero nato e cosa studiavo. Solo a quel punto Gigi mi disse: ‘stamattina alle 5 i compagni hanno fatto saltare la sede del Fuan e io sto vedendo il tuo pigiama a brandelli che brucia. La tua branda è volata fuori per strada’ ”
Se non fosse stato per Gigino Neglia e Franco Arcese…
“Ecco perché sono convinto che gli angeli esistano”.
E si presentano in modo inatteso. Uno lo mandò anche il ministro dell’Interno Francesco Cossiga, che per fermare lo scontro decise di arrestare tutti.
“La repressione… Mise tutti dentro senza troppi complimenti e senza prendere bene le misure a ciascuno… Era il ‘Metodo Cossiga’. Anni dopo, a casa di mio suocero, Francesco Cossiga era stato eletto presidente della Repubblica ed andò a fargli visita. C’ero anche io a quell’incontro e ricordai cal presidente he ero una delle vittime della sua repressione. E lui mi rispose candidamente: ‘Tommaso Moro avrebbe fatto molto peggio’”.
Quando la arrestano?
“Diciamo che siamo intorno a sette mesi dopo il fallito attentato. Al mattino la polizia bussa a casa. Ad arrestarmi viene il dottor D’Onofrio poi diventato dirigente dell’Anticrimine con il maresciallo Chiapparelli papà di una cara amica, l’ottima dirigente di polizia Antonella Chiapparelli. Il padre mi conosceva benissimo. ‘Biagio qua c’è un mandato di cattura ci devi seguire’. Io dico: ‘Ma qual è questo ordine di cattura, cosa c’è scritto sopra marescià?’. Mi rispose: ‘Non c’è, dobbiamo soltanto portarti a Roma a San Vitale”.
A San Vitale c’è una scena quasi… messicana
“C’era gente arrestata dappertutto… Attaccata ai termosifoni… A Roma mi si presenta davanti un commissario, quando è il mio turno. Sembrava… hai presente il tenente Sheridan?”.
In impermeabile…
”Mi fa vedere l’ordine di cattura e quando ho visto scritto ‘associazione sovversiva’ da un lato mi sono preoccupato, perché era un reato che prevedeva 20 anni di carcere.Però dall’altro lato ho anche pensato che se si trattava di una congettura ideologica. Alla fine poteva anche essere smontata, perché nei confronti anche del terrorismo, della lotta armata le mie posizioni erano state molto chiare fin dall’inizio. Per cui il fatto stesso di ipotizzare l’associazione sovversiva, volta cioè a sovvertire lo Stato – perché questa era l’accusa – era un reato specioso, tra l’altro di origine fascista, per cui era paradossale…”
Per un fascista essere arrestato…
“Per una forma di Nemesi. E da quel momento ho capito che forse, durante il Fascismo, sarei stato antifascista, come durante un certo tipo di antifascismo mi sono beccato quel tipo di reato”.
Non è facile portarla in carcere.
“Ah, si… episodio tragicomico mentre mi traducono al carcere di massima sicurezza di Terni. Dentro il famoso monastero di San Francesco. Vengo caricato su una Fiat 127, un’auto civetta con due poliziotti in borghese dai capeòlli e la barba lunghi.
“Mi dicono che non mi avrebbero messo le manette. Tra l’altro si erano fatte anche le 5.00 del pomeriggio, non avevo mangiato niente dalla mattina, dissi perciò una cosa del tipo ‘Prendiamo qualche banana’, e loro ‘no, mangerai lì a Terni’. Schizziamo quindi con questa macchina a velocità sostenuta sulla Tiburtina.
Lì ricordo che c’era il cinema Argo, c’era stata una mezza specie di incendio, era passato senz’altro un camion dei Vigili del Fuoco, aveva spento l’incendio ed era rimasta della schiuma sulla strada. Questa macchina, nel passare su quel cavalcavia a velocità sostenuta, prende in pieno questa chiazza di schiuma, si gira e va a sbattere…”
Quindi incidente stradale…
“Incidente stradale con il poliziotto che si ruppe la testa. E da lì tutto il casino… La gente accorsa pensava che i due poliziotti fossero dei delinquenti ed io fossi il poliziotto. Dicevano “il delinquente si è fatto male’. E io a dirgli ‘No signò, adesso non è il caso di andare a specificare chi è il delinquente, vediamo di aiutare sto poraccio’. Però alla fine è arrivata dopo mezz’ora un’altra vettura e ci ha portati a Terni. Ma la musica non è cambiata, perché durante il viaggio per Terni anche questo secondo poliziotto metteva il lampeggiante, per superare tipo una Jaguar, e faceva fermare praticamente il guidatore della Jaguar, ridendo e poi ripartendo. Quindi a me sembrava un film di Mash, sembrava un film americano, una cosa di questo genere”.
Di fatto in quel penitenziario a Terni quanto ci è stato?
“Alla fine e grazie a Dio ci sono stato solo tre mesi, e… sono uscito il 24 giugno del 1981, che paradossalmente è il primo giorno delle apparizioni di Medjugorje”.
Sono i tre mesi nei quali lei si salva la vita per la seconda volta perchè, come hanno poi ricostruito gli storici, tutti volevano ammazzare Cacciola: era finito nel mirino sia dei comunisti che dei fascisti.
“I miei non sopportavano il mio no alla lotta armata. Ero un ostacolo alla diffusione della cultura del terrore e della violenza. I Tar mi avevano messo nell’elenco dei bersagli,. E dall’altra parte alcune frange brigatiste”.
Cosa aveva detto di tanto grave?
“In un convegno che avevamo fatto al teatro Valle io dissi pubblicamente – e forse quella era una firma – che la lotta armata era una via inutile e senza ritorno”.
Cosa le ha insegnato però il carcere?
“Il carcere mi ha insegnato la grande solidarietà che c’è fra le persone precarie, fra le persone che non devono difendere niente. Io sono stato al super carcere di Terni e quando ne sono uscito ho pianto, perché tutte quelle persone che mi stavano vicino, abbracciandomi, si commuovevano, e io paradossalmente dissi al secondino: ‘Vorrei finire di mangiare qua la pasta e fagioli’. Mi rispose che non era possibile e che dovevo uscire. ‘Almeno voglio salutarli’, dissi allora. E andai in ogni cella a salutare tutte le persone.
Quindi il carcere mi ha insegnato queste grande umanità e questo non voler credere che la delinquenza stia dietro un muro, perché evidentemente è trasversale”.
Passano gli anni e Cacciola attraversa un po’ tutte le frontiere della politica. Come se non esistessero steccati ideologici: si ritrova a fare l’assessore in una giunta di centro sinistra nel comune di Frosinone.
“Dopo che fai certi tipi di esperienze non puoi senz’altro essere maestro di nessuno, ma neanche puoi ricevere lezioni. Le appartenenze sono legate inevitabilmente a rendite di posizione, che non mi appartenevano e non mi appartengono. Per cui ho detto: ‘Lì dove c’è la vita e lì dove stimo le persone io vado’. Non c’è alcun tipo di preclusione nei confronti di nulla. Io ho fatto manifestazioni con Rifondazione Comunista, col Psiup e cose del genere per la Palestina. La preclusione per me è stata sempre qualcosa da scartare a priori, e chi la opera ha una forma di prevenzione legata alla frustrazione interna e soprattutto intellettuale”.
Com’è stato fare l’assessore con un sindaco di spessore ma si sinistra, come Memmo Marzi?
“Ho fatto anche il Presidente del Consiglio Comunale con lui. Io per esempio dissi a Memmo, dopo aver fatto per anni l’assessore alla Cultura, così come con Fanelli: ‘Memmo, noi da Frosinone dobbiamo lanciare un progetto regionale, perché la validità delle persone deva avere anche una chance ed un panorama, una platea diversa’.
Memmo fu tentato da questa cosa, soltanto che credendo di poter andare a ricoprire un ruolo al Senato o alla Camera con quello che al momento era il suo Partito, il PDS, abdicò da questa mia richiesta, non la accettò. A quel punto dissi che non conveniva ancora una volta mettermi a fare l’assessore o il consigliere, ma che i progetti dovevano essere più ampi”.
Perché, a proposito di progetti ampi, da assessore alla Cultura non ha proposto un dibattito che chiudesse i conti con il passato?
“A modo mio l’ho fatto. Quando ho presentato da assessore il libro di Anna Laura Braghetti delle Brigate Rosse, e di Francesca Mambro dei Nar. A Frosinone – venne la Braghetti ma Mambro non potè venire non ricordo per quale motivo, era in carcere, non s. Io ho preso questa iniziativa a livello istituzionale proprio per dare un segnale forte, di chiusura di quella stagione.
Un poliziotto mi si è avvicinato e mi ha detto: ‘Cacciola, io ti ammiro perché sei stato uno dei pochi a dare un segnale forte’. L’ho fatto nonostante quelle situazioni di conflitto addirittura mi riguardassero, dato che una di queste persone mi ha sparato. Era un mio dovere farlo. Perché se di fronte a queste cose non ci metti la faccia e stai sempre dietro all’indice accusatore del tipo ‘voi siete comunisti, voi siete fascisti’ e cose di questo genere tu una memoria condivisa in questo paese non ce l’avrai mai”.
E’ un paese che non sa perdonare questo? Prima ha fatto due citazioni legate a due date, tutte e due le citazioni erano a carattere religioso…
“È poco cristiano, indubbiamente. Potrebbe essere apparentemente cattolico ma è poco cristiano. È un paese che si fregia di quello che Moras chiamava un ‘cattolicesimo ateo’ ma rifiuta il messaggio cristiano della misericordia. Vuole sempre far finta, dalla mattina alla sera, di essere duro, conti tutti”.
Lei a quanti ha teso la mano per aiutarli a reinserirsi, tra quelli che ha conosciuto ai tempi della lotta armata?
“Tanti, quando ho potuto l’ho fatto tranquillamente. Io credo che… chi mi conosce lo sa, alla fine conta la possibilità di salvare l’anima, e questo a mio avviso si ottiene soprattutto con la misericordia e la solidarietà”.
Quando le hanno detto ‘Cacciola, sai che eri nel nostro mirino?’.
“Qualcuno me lo ha detto, io ho risposto ‘Diciamo che il mio scudo stava un po’ più in alto del vostro mirino’.
Perché a Frosinone in questo momento governa il centrodestra dopo gli anni di Memmo Marzi, che comunque sono stati anni pieni di crescita e di progettualità?
“Perché Memmo non è andato al ballottaggio con Ottaviani. Perché se Memmo fosse arrivato al confronto diretto con Nicola, avremmo avuto un’altra stagione Marzi”.
Cosa pensa del centrodestra di oggi? Perché lei frequenta molto più la sinistra oggi…
“Infatti abbiamo fatto con l’amico Luigi Vacana una lista Provincia e Comune che ha dato la possibilità a lui di essere eletto; con lui c’erano altri rappresentanti che erano dichiaratamente socialisti. Il centrodestra per me, rispetto al passato, ha perso questa capacità di moderazione e di rappresentanza di un’Italia media; rappresenta soltanto l’Italia che grida, l’Italia che si impaurisce e l’Italia che non ha progetti. Perché parlare soltanto di migrazioni, parlare contro il Papa, io credo non sia un progetto politico, ma soltanto una fase isterica”.
Dove ha sbagliato Matteo Salvini?
“Per me ha sbagliato a non fare il proprio mestiere e a sposare completamente la causa prima del Presidente del Consiglio israeliano Netanyau e dopo di Trump”.
Dove sta sbagliando invece Giorgia Meloni?
“Per esempio, il fatto di non aver aderito al Partito Popolare Europeo da parte della Meloni è un errore storico”.
E’ un errore anche avere appoggiato Bannon? E averlo portato come ideologo ad una delle feste ad Atreju?
“Oltretutto un grande autogol. Quello che è successo a Trisulti è legato al fatto che Bannon voleva realizzare lì la scuola del Sovranismo mondiale. Ora in realtà la certosa non ha più servizi religiosi. E questa sarebbe la destra dei valori, la destra della religione?”.
Quanto è scomodo avere come suocero Romano Misserville?
“Mah, io sono stato sempre contento di averlo accanto. Perché anche quando non eravamo d’accordo – e ci sono stati tempi in cui non eravamo d’accordo – c’è stata sempre la possibilità di un confronto leale. Non c’era nessuna forma di ossequio, né di piaggeria. Anzi, c’era la capacità di cercare di comprendere quello che pensava l’altro”.
Quanto le manca la figlia di Romano, la sua ex moglie Fiammetta che non è più da qualche anno?
“Credo che queste mancanze siano continue, permanenti e irreparabili”.
E’ vero che di fronte a una lacerazione del genere si sente l’altro sempre vicino?
“Io, che credo sempre e l’ho sempre sostenuto, credo che l’assenza sia più presenza in certi momenti di quando si è presenti, sostengo che tutto questo è vero”.
Quanto aiuta la fede?
“Io credo che senza fede l’uomo non sia integrale, per cui non facciamo degli sforzi ad aver fede, ma abbiamo la grazia di essere investiti da questo dono che ci viene inevitabilmente da Cristo”.