Il pennacchio (Il Duro del weekend)

Luciano Duro

Narratore e Sognatore

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Luciano Duro
di LUCIANO DURO
Narratore e Sognatore

 

Percorreva senza interruzione un breve tragitto, avanti e indietro e sembrava avere sempre un riflettore puntato su di sé. Passeggiava con passo felpato ed elegante simile a quello di un giaguaro. Il suo era l’atteggiarsi di chi aveva una vasta platea che lo osservava ammirata e pronta a scatenarsi in applausi scroscianti come la pioggia di marzo. Aveva comprato uno stravagante cappello con un vistoso e colorato pennacchio affinché fosse ancor più visibile agli occhi di coloro che per strada lo incrociassero. Con quel buffo copricapo appariva a se stesso imponente e bello come la ruota del pavone.

Dopo anni di mediocre anonimato, finalmente aveva raggiunto lo scopo della sua vita: aveva un pennacchio, un elemento distintivo e riconoscibile, come i gradi di un alto ufficiale dell’arma.

Prima di uscire di casa, si guardava allo specchio, indossava il cappello con il pennacchio, lo aggiustava leggermente di sbieco, allo stesso modo dello sceriffo del West rispettoso della legge.

Aveva tanto penato per una visibilità che lo rendesse importante e sembrava aver risolto i suoi problemi.

Capì, che era giunto il momento di “contare”, era troppo lontano dai “traffici politici e intellettuali” ed aprì al mercato della politica, allestendo un proprio personale banco del consenso: invalidità pensionistica… accompagno per gli anziani… posti di lavoro… case popolari… permessi a costruire… incarichi… concorsi… appalti, con discrezione elargiva anche somme in danaro sonante. In quella fiera espositiva l’uomo col pennacchio prometteva di tutto; “A buon rendere” diceva. Si costruì così un ampio e consolidato seguito che si accresceva di anno in anno.

Ma, nonostante l’impegno, era ritenuto dai piani alti della politica solo un gregario e, quando c’era da prendere decisioni o sedersi al tavolo buono delle spartizioni, il suo parere era pressoché ininfluente, doveva sempre vendere a terzi il consenso così faticosamente acquisito. In effetti non riusciva mai a nuotare al di là della tinozza di casa, nessun convincente ristoro da coloro che comandavano, a loro doveva render conto e da loro dipendeva. Non riusciva a scalare la montagna del successo che credeva di meritare, che so io, una candidatura alla Regione, tanto agognata! Quando sembrava aver raggiunto la cima, scivolava da quell’altura rovinosamente, come una saponetta sotto la doccia. Nulla che lo affrancasse dai suoi affanni, neanche “una carica nel consiglio di amministrazione di una una società partecipata”, di quelle ben remunerate, nella quale una quota di capitale sociale è di proprietà del pubblico. Indispettito e sconvolto aveva bussato a più porte ma solo promesse per appropriarsi del suo consenso così faticosamente costruito, senza tuttavia mantenerle. Ciò che incuteva rabbia e toglieva il sonno era che trattavano lui come egli stesso si comportava con gli altri, promesse e solo quelle, di concreto nulla di nulla.

È la metafora dei politici ignoranti, mediocri che vivono di luce riflessa, gli straccioni della politica, quelli che trovato un osso, non lo mollano più, anche se di ciccia ne è rimasta poca, per i quali non è importante ciò che veramente si è, ma come si appare. È gratificante avere il pennacchio e dare agli altri la sensazione di contare; non possono chiedere di più, non vanno oltre. L’importante, è essere al centro della ribalta, con trucchi e travestimenti e dare agli altri la certezza di essere qualcuno di peso.

Quale esempio hanno i giovani di integrità morale e di sobrietà se questa società è basata soltanto sull’apparenza?