Il 25 Aprile e il mago che riduce tutto (Il Duro del weekend)

Luciano Duro

Narratore e Sognatore

 

Luciano Duro
di LUCIANO DURO
Narratore e Sognatore

 

Io sono nato che la guerra era finita da tre anni ed i miei primi giochi sono stati dietro piazza SS Triade tra le case sventrate dalle bombe.

Ricordo che se si avvertiva il rombo di un aereo che attraversava il cielo, tutti volgevano lo sguardo verso l’alto, adulti e bambini e con il dito puntato ripetevano in continuazione come una cantilena: “Apparecchiè americane jètta bombe i se ne ua’” per noi era un gioco, un ritornello scherzoso ma negli occhi dei grandi, di quelli che la guerra l’avevano vissuta davvero si leggeva la paura per una tragedia ancora viva.

Ci sono avvenimenti che colpiscono la sensibilità di un bambino e te li porti dietro per tutta la vita.

All’età di sette anni, tornò ad Isola del Liri zio Ettore, non vivo certamente perchè era caduto in battaglia nell’isola di Rodi.

Mia madre mi aveva spesso parlato di lui descrivendolo come un ragazzone alto e forte e quando fu possibile chiese il trasporto della salma ad Isola del Liri. Mia nonna lo aveva atteso a lungo ma di lui tornò solo il portafoglio, con gli effetti personali dal Ministero della Difesa, tre anni dopo la sua morte. La nonna nel frattempo aveva lasciato le quattro ragazze e suo marito, colpita da una malattia incurabile e nell’attesa di riabbracciare quel figlio.

Poi questa mattina da una vecchia valigia della zia è comparsa questa foto e finalmente ho incontrato lo zio Ettore. Un ragazzo di vent’anni con i baffi da uomo, fiero nella sua divisa militare ma con gli occhi tristi di chi sapeva di partire senza la certezza di tornare. Mi sono chiesto come sarebbe stata la sua vita, aveva una fidanzata che lo attendeva? Per sopravvivere alla chiusura delle fabbriche avrebbe realizzato sigarette di contrabbando come tutti facevano? Avrebbe certamente lavorato in una di quelle tante cartiere che mani operose stavano riallestendo o forse sarebbe emigrato come i suoi cugini per un paese straniero alla ricerca di fortuna?

Non saprei e chi potrà mai dirlo? Resta una vita spezzata a vent’anni, quella foto che ha subito l’ingiuria del tempo e che mia nonna di sicuro avrà stretto al cuore nella speranza di un ritorno. Voglio pensare che lei lo abbia riabbracciato in un luogo lontano, a noi sconosciuto, dove non c’è il buio della notte e le angosce della guerra, ma solo la pace eterna…

Zio Ettore arrivò in un freddo pomeriggio autunnale su un camion militare scoperto, accompagnato da un drappello di soldati in alta uniforme.

Fui subito affascinato dalle divise, dai fucili portati a spalla e da una tromba così lucida da sembrare d’oro. Mentre il camion percorreva , con incedere lento, via Cascata seguito da un corteo di familiari ed amici, da una finestra si affacciò una anziana signora che piangendo urlò, disperata: “Tu siè reunute, figlieme andò sta, ‘nen sacce manche andò mette ne lemine” fu una scena straziane, quella madre aveva perso il figlio in guerra e sebbene avesse certezza della sua morte, non ritrovava più i resti mortali ed andava ogni settimana al ministero. In futuro vidi spesso quella signora vestita di nero, sempre più vecchia, attendere il pullman per Roma di fronte all’edicola “Costantini”.

La cerimonia funebre si tenne a San Lorenzo, i resti erano in una piccola cassa, avvolta in un drappo tricolore, così minuta che mi sembrò impossibile che dentro ci fosso lo zio Ettore, grande e grosso come era.

Chiesi a mia madre dove fosse e lei quasi sorpresa mi indicò quel piccolo baule portato senza nessuna fatica dai soldati. Pensai allora, che la guerra fosse un mago cattivo che riducesse con una perfida magia tutto molto piccolo. Sono cresciuto nell’infanzia con l’immagine del “mago cattivo”.

Poi da grande ho maturato l’idea che davvero la guerra sia una grande catastrofe che riduce tutto molto piccolo, distrugge ogni cosa, mortifica i sogni e i desideri. E’ il sibilo di un vento freddo che gela i cuori, logora l’anima e spazza via dagli uomini la ragione.