Lanifici e cartiere della Valle del Liri: dopo l’unità il crollo

Passa Garibaldi ed unisce l'Italia. Ma uccide in un attimo la ricchezza della Manchester del Regno di Napoli: il polo industriale tra Sora - Isola - Carnello - Arpino. Leggi fatte per favorire cartiere e lanifici del nord. L'urlo dell'onorevole Polsinelli contro Cavour

Fernando Riccardi

Historia magistra vitae

Un tempo neanche troppo lontano Sora, Isola del Liri, Carnello e Arpino godevano di una prosperità economica invidiabile e molto difficile da immaginare al giorno d’oggi.

Una relazione sullo “spirito pubblico”, stilata dalle autorità di Pubblica Sicurezza nel 1856, parla di uno stato di “agiatezza quasi generale” mentre “la miseria non domina più che nelle contrade più lontane dai centri dell’operosità commerciale e industriale”.

Lanifici e Cartiere

Le Cartiere Meridionali di Isola del Liri

Lanifici e cartiere: da qui derivava l’agiatezza di cui sopra. Quel quadrilatero, non a caso, era considerato la Manchester del Regno di Napoli o, se volete, la Brianza del meridione.

Nella sola Valle del Liri lavoravano ben 12 mila operai, il 25% dell’intera forza lavoro del settore industriale e manifatturiero regnicolo. Ad Arpino c’erano 25 fabbriche di grosse dimensioni, 57 medio-piccole e un numero enorme di aziende a conduzione familiare. Ecco perché, nel 1850, giunse a contare 12.699 abitanti, quasi duemila in più (10.845) di Caserta, capoluogo di Terra di Lavoro.

E i prodotti sfornati erano di eccellente qualità: basti pensare al “panno rubio”, la stoffa utilizzata per confezionare i pantaloni dell’esercito borbonico (Lanificio Zino) oppure alla carta sul quale veniva stampato il “Daily Telegraph di Londra (Cartiera del Fibreno).

Improvvisamente, però, nel 1860, tutto si arrestò e la prosperità lasciò il posto alla miseria. Non si può certo dire che l’unità d’Italia per Sora, Isola Liri e dintorni sia stata un grande affare.

Le fabbriche della media Valle del Liri, private dello scudo protezionistico e stritolate dalla spietata concorrenza delle aziende del nord, sulle quali si riversarono tutti i favori del nuovo governo unitario, l’una dopo l’altra, chiusero i battenti.

La fine improvvisa

Il deputato Giuseppe Polsinelli

Giuseppe Polsinelli di Arpino, proprietario di uno dei più grandi lanifici della valle, fervente liberale, fu nel 1861 eletto nel collegio di Sora e andò a sedersi sugli scranni del Parlamento italiano a Torino. Prima di essere un politico, però, era un industriale e pertanto non poteva chiudere gli occhi di fronte a una situazione che si faceva, giorno dopo giorno, sempre più critica. E non certamente per colpa di quei malandrini dei Borbone che lui tanto aveva combattuto e che ormai erano usciti di scena.

Fu così che, preso il coraggio a due mani, nella seduta del 25 maggio 1861, tenne un memorabile discorso davanti alla Camera dei Deputatifra la generale incomprensione e ostilità” come attestano le fonti parlamentari. “Sa il signor presidente del Consiglio (si trattava di Camillo Benso conte di Cavour, alla sua ultima apparizione in Parlamento prima dell’improvvisa dipartita) i dolori e le perdite che hanno subite gl’industriali delle province meridionali?… Sa il signor presidente del Consiglio quante centinaia di migliaia di persone sono a languire dalla fame per quelle modificazioni? Quando non lo sappia, glielo dico io, e glielo posso provare”.

Il Polsinelli si riferiva alle nuove tariffe doganali varate dal governo unitario che stavano mettendo in ginocchio le industrie del sud Italia. La cosa, però, non turbò più di tanto il serafico Cavour che tirò dritto per la sua strada e nell’intervento di replica difese a spada tratta quelle “modificazioni” tariffarie. Anche perché aveva visto aumentare vertiginosamente i traffici commerciali nel porto di Genova. Ma non si era peritato di andare a vedere cosa stava accadendo in quello stesso lasso di tempo nei porti di Napoli e di Palermo. D’altro canto lui non era mai sceso oltre Firenze…

E anche Biella ringrazia

Il feltrificio Binet sul Liri

E così non fu certamente un caso che il polo laniero di Biella, oggi tra i più importanti del continente europeo, abbia iniziato a prosperare dopo che gli stabilimenti del sorano furono depotenziati e costretti fatalmente alla resa.

Da allora è iniziato, lento ma inesorabile, il crollo. “Nel Comune di Arpino fiorivano un ventennio addietro molte fabbriche di panni ed in esse erano occupate circa cinquemila operai del luogo. Ma non basta. Era sorta in quasi tutte le famiglie una industria di ramo sussidiario, la quale consisteva nella cardatura e filatura della lana, lana che poi veniva venduta alle fabbriche di panni. E’ ovvio dire che le condizioni finanziarie di Arpino erano allora floridissime e la classe operaia in ispecie godeva un benessere fino a quel tempo insperato. Ma vennero dei giorni funesti… Gli stabilimenti locali, a poco a poco, vennero chiusi, ed i numerosi operai rimasero sul lastrico, senza speranze di occupazione nel paese”: così nel 1899 scriveva il sottoprefetto di Sora.

Oggi del vecchio polo industriale e manifatturiero è rimasto solo un ricordo pallido e indistinto. Le imponenti cartiere e i vecchi opifici, persa l’originaria destinazione d’uso, sono stati adibiti, quasi tutti, ad altre funzioni. Va molto di moda il termine “riconversione” in virtù del quale sono stati varati i progetti più disparati e a volte stravaganti. I risultati, però, sono stati modesti. Della prosperità di un tempo è rimasto poco e niente.

Errori antichi e recenti

L’antica Macchina continua nelle ex Cartiere Boimond di isola del Liri

Il sorano continua a vivere una situazione di grave marginalità economica, sociale e occupazionale che non si discosta troppo dal “profondo sud”. Si è riusciti nella non facile impresa di dilapidare un tesoro d’inestimabile valore. Agli errori antichi, poi, si sono aggiunti quelli recenti, e così la situazione si è incancrenita e il “malato” è giunto alla fase terminale.

Per realizzare la netta inversione di tendenza da troppo tempo auspicata occorre una programmazione oculata e responsabile. Ma all’intero sistema – Paese manca una pianificazione industriale. E se si lascia ai francesi di Stellantis l’intero polo dell’Automotive nazionale senza battere colpo, poco c’è da auspicare per il Sorano. Servirebbe, anche e soprattutto, una classe amministrativa competente, lungimirante, seria e all’altezza della situazione.

Un tempo il sorano era “il Nord del Sud”, un territorio ricco dove non esisteva disoccupazione e miseria. Adesso è una terra pencolante tra un processo d’industrializzazione brutalmente arrestato e un’agricoltura di tipo arcaico che continua a rifiutare qualsiasi forma associativa e di cooperazione.

Anche ciò, a ben vedere, fu una diretta conseguenza di quella che in molti hanno iniziato a chiamare la “mala unità d’Italia”. Ma di questo, come di tante altre cose “scomode”, chissà perché, nei libri di storia non si trova traccia.