Il 2 agosto del 1980 la strage di Bologna e l'orrore definitivo del terrorismo attraverso la storia di due vittime che erano in stazione
Onofrio proprio non riusciva a togliersela dalla testa, Ingeborg. La sua attenzione presa al laccio era andata ben oltre l’apprezzamento tutto carnale per la svedesona bionda e alta. Alta una spanna in più di ogni maschio bruno e stortignaccolo che lui conoscesse. E, a ben vedere, anche ben oltre quel nome androgino e sinceramente bruttino. Nome che necessitava di un diminutivo pena l’impressione di trescare con Beowulf.
Anche perché quello stereotipo non avrebbe funzionato per una falla incolmabile. Inge era danese, non svedese. Il che ad Onofrio, che a 27 anni amava pensare a se stesso come ad un saggio uomo fatto e finito, sembrava un suggello in più. Un pezzo di ceralacca su mistica e profondità di quello che provava. Caduto il mito sessuale della vichinga con le puppe da castigare in Riviera restava altro.
Quel non ben definito altro che lo portava, anche in servizio, a fermarsi sul ciglio del binario. Ed a pensare alla maestra 22enne che gli aveva fatto ammalare il cuore. E Onofrio, che era un messinese romantico come una brocca di melassa, ad Inge ci pensava sempre. Lo faceva contrappuntando i suoi sospiri con le strofe di Luna, di Gianni Togni, che in quell’estate 1980 spopolava.
Il cuore lontano e il lavoro in Emilia Romagna
A Sant’Alessio Siculo, l’estate precedente, quando aveva conosciuto Inge, una canzone così gli sarebbe servita. Era l’estate del Dalek, il ghiacciolo viola che ti verniciava la lingua per una settimana. L’aveva baciata lo stesso e proprio sotto la luna, ma con quella Luna là sarebbe stato diverso. Forse con quella canzone in loop mentale avrebbe trovato la forza di restare a Copenhagen con lei, invece di tornare in Italia per fare il concorso da ferroviere e vincerlo.
Lasciando il cuore in Danimarca e portandosi il fardello del lavoro in Emilia Romagna, che a ben vedere per un messinese era comunque Scandinavia. Comunque, anche a fare la tara alla malinconia e al mondo guardato da un oblò, quello si prospettava come un giorno splendido. L’afa che faceva ombrello al suo berretto azzurro gli aveva salato gli occhi dietro il caramello scuro dei Persol. Non al punto però di ignorare quella tipa che, con un libro in mano, leggeva assorta. Stava rincantucciata su una panchina vicino al binario che portava a San Donato.
Non c’era malizia cialtrona negli sguardi timidi e obliqui di Onofrio. Lui era innamorato di Inge e basta. Tanto innamorato che il giorno dopo l’avrebbe dovuta vedere. Era riuscito a strapparle un viaggio speed in Italia e le voleva parlare. A dire il vero le voleva chiedere di sposarlo. Però quella ragazzina gli aveva messo brio. Se ne stava sola ma impunita nella sua perfetta autosufficienza libraria. Con un piede calzato ed uno nudo poggiato corrusco e bianco nell’incavo dell’altro ginocchio ripiegato.
Brigitte, la francese col cappello che leggeva
Lei si chiamava Brigitte, era francese, aveva 21 anni, un grande cappello, una vacanza da fare, un vestitino a fiori stampato e una insana passione per la poesia italiana. Passione che l’aveva spinta al viaggio dei viaggi: quello che l’avrebbe portata a Ravenna, alla tomba di Dante. Brigitte teneva in mano proprio un’edizione tascabile della Divina Commedia, quella con le illustrazioni di Gustavo Dorè.
Non ce lo ha raccontato lei del libro, ma si sa. Il fuoco dei libri non riesce mai a mangiarsi tutto, e qualche pagina bruciacchiata resta sempre per ricordare al mondo chi appiccò il fuoco.
Alle 10 e venti del mattino Onofrio Zappalà fa per avviarsi verso Brigitte Drouhard, quella parigina che combatte il caldo con terzine ed endecasillabi rimati. Vuole spiegarle che il treno in transito per Venezia probabilmente le farà volar via il cappello. E’ già successo e lui cerca una scusa per sentire che voce abbia quello scricciolo. Una ragazza con gli occhi tuffati nelle pagine di un libro che, da ex studente del classico, lui conosce fin troppo bene.
Il libro che prende fuoco all’improvviso
Vuole un contrappunto alla gioia che pregusta e lo vuole sostanziare con quel po’ di gigioneria che gli è rimasta. Probabilmente per uno che ama la sua Inge non sta bene. Ma lui è sicuro di quello che prova e si avvicina a Brigitte.
Lo fa con la stessa innocente guapparia con cui un bambino amante del gelato va un attimo a sbirciare la ricca vetrina del venditore di canditi. Non vuole una meringa, vuole la possibilità di contemplarla. Ed avere più forza in seguito per attaccare la crema in cima al cono. Perché il coraggio migliore per amare meglio ce lo dà l’amore che vediamo negli altri. Che sia per una persona o un libro poco importa.
Il vento del convoglio potrebbe essere davvero un problema. Come il vento caldo dell’estate che Alice canta praticamente da ogni juke box affacciato sul mare che tutti vogliono raggiungere. E all’improvviso il vento arriva fortissimo.
Morendo, Onofrio capisce che non può essere il diretto per Venezia, perché i treni al massimo arrivano in ritardo ma mai in anticipo. E perché i treni non fanno collassare sale d’aspetto e schizzar via le braccia della gente in fiamme come torce.
Bologna ore 10.25: il vento caldo dell’estate
Sono gambe e braccia ribelli che fanno gara coi rondoni senza che il torso le accompagni nel volo. Poi ti accorgi che fra quelle braccia che roteano impazzite nella cenere ce n’è una delle tue e arriva il buio. Il vento rovente scatenato dal Compound B e dalla nitroglicerina da cava compressi in 23 chili di morte soffia alle 10.25 di quel 2 agosto già caldo di suo.
Arriva e spazza via in una nuvola rosa di polvere e sangue pezzi e sogni di Onofrio, Brigitte e di altre 83 persone. In stazione. A Bologna. Quarantatrè anni fa. Quando la verità iniziò a correre davanti a chi la inseguiva e ancora non si è fermata. O forse a fermarsi sono stati solo quelli che la inseguivano.
Lo precisiamo: i cenni biografici su Onofrio, Brigitte e sulle altre 83 vittime della strage di Bologna sono stati raccolti e curati nel 2019 in italiano ed inglese da Catherine Sophia Hernandez. Si tratta di una studentessa del Vassar College di Poughkeepsie di New York. Il suo lavoro è stato condotto con la supervisione della professoressa Simona Bondavalli.
La loro è una storia costruita, quel che a loro accadde invece è solo storia. Storia irrisolta.