La team manager Raponi è l’anima dell’Anitrella, storico club del Lazio, secondo in Promozione. La giovane dirigente racconta la sua avventura nella società neroverde tra tradizione, ambizioni e qualche difficoltà. “Gli ostacoli sono legati ai preconcetti di un mondo ancora maschilista”, ha detto
Non è una “lady di ferro” glaciale ed implacabile come Marina Granovskaia, per oltre vent’anni plenipotenziaria del Chelsea. E’ figlia d’arte al pari di Rosella Sensi, presidente della Roma dal 2008 al 2011. Giovane e social (oltre 4000 follower su instagram ed altrettanti su facebook) stile Rebecca Corsi, vice presidente dell’Empoli e consigliere della Lega Serie A. Paragoni a parte, Martina Raponi è semplicemente una donna determinata ed appassionata di calcio al quale dedica tanto del suo tempo come team manager dell’Anitrella in Promozione, storica società (è nata 67 anni fa) del calcio laziale che rappresenta una contrada di poco più di mille anime.
Martina è una delle poche dirigenti-donne in un mondo prettamente maschile ed a volte maschilista. Svolge il suo compito con grande impegno, umiltà e professionalità. Ammette di essere stata agevolata dalla presenza del papà ma rivendica con orgoglio di aver lavorato sempre sodo. I riconoscimenti non mancano: nell’ultima assemblea del Comitato regionale della Lega Dilettanti è stata eletta delegata assembleare. Idem i risultati sportivi che sono sotto gli occhi di tutti ed in questa stagione la squadra neroverde sta volando ad un passo dalla vetta e sogna il ritorno in Eccellenza.
L’inizio per gioco, la sfida ai pregiudizi
Martina Raponi racconta la sua storia di dirigente e la passione per il calcio. E per i colori dell’Anitrella. “Ho iniziato a svolgere il mio ruolo dirigenziale a soli 18 anni un po’ per gioco – ha ricordato – Mio papà Alfredo è stato uno dei presidenti di questa storica società, scomparso nel 2018 pochi mesi dopo il ritorno in Promozione con mister Bottoni dopo anni “tranquilli” in Prima Categoria. Per me è stato il momento più bello e nello stesso tempo il peggiore vissuto”.
La Raponi riconosce che la presenza del papà gli ha consentito l’ingresso in società senza problemi ma poi nessuno gli ha regalato niente. E si è conquistata tutto con il lavoro quotidiano. “E’ vero che non mi sono sudata il “posto” avendo mio padre nel club, ma mi sono impegnata come se non avessi nulla e chi vive la nostra realtà da vicino lo sa bene”, ha aggiunto Martina.
Ma nel suo percorso le difficoltà non mancano. Inutile nascondersi o usare il politicamente corretto: nel calcio i preconcetti nei confronti di una donna esistono ancora. Eccome. “Gli ostacoli sono i pregiudizi da superare in un mondo che viene visto ancora come “una cosa da uomini “ – ha continuato la team manager – Devo comunque dire che sono stati fatti dei passi in avanti come l’esordio in Serie A dell’arbitro Maria Sole Ferrieri Caputi. La strada per superare la disparità è ancora tanta. Ma spero che questo debutto sia l’inizio per noi donne di un nuovo corso che ci consenta di prendere lo spazio che meritiamo senza essere più sottovalutate”.
La maglia neroverde una seconda pelle
Il legame con l’Anitrella è molto forte. Quasi viscerale. Martina è più di un team manager, segue passo dopo passo la vita del club e della squadra. E’ anche la memoria storica, custodisce con orgoglio la tradizione ed i valori di una società che si è sempre distinta sul campo e fuori anche al cospetto di realtà più grandi.
“L’Anitrella calcio è nata nell’ottobre 1955, fondata da Aldo Bonomi importante industriale affittuario della rinomata cartiera Lucernari e dal maestro Pietro Traversari papà dell’attuale presidente Francesco – ha precisato la Raponi – Il conte Lucernari donò un appezzamento di terreno sul quale fu realizzato il campo “Liri” così battezzato per la vicinanza all’omonimo fiume. Il 26 ottobre 1955 fu disputata la prima gara contr Alatri. In questa data, ogni anno, festeggiamo l’anniversario ormai per tradizione. L’Anitrella ha infatti disputato 67 campionati senza saltarne mai nessuno e conserva ancora la prima e unica matricola di affiliazione Figc composta da sole 4 cifre, la numero 2280”.
Martina Raponi rivela un importante aneddoto. “L’Anitrella è stata la prima società sportiva fondata nel comune di Monte San Giovanni Campano – ha aggiunto – Se si considera che siamo una frazione di 800 anime, si tratta senza dubbio di un miracolo sportivo quanto fatto finora. Non a caso siamo stati paragonati da varie testate giornalistiche al Chievo. Ci siamo scontrati in categorie importanti contro grandi centri e non solo in Eccellenza. Negli anni ‘60 in Prima divisione contro Isola del Liri e Frosinone ed abbiamo sempre detto la nostra”.
Un pensiero alla tifoseria
La team manager sottolinea l’apporto dei sostenitori presenti in tutte le partite con coreografie e cori. Una tifoseria vicina alla squadra nel bene e nel male. “Il mio grazie va a tutti, ma proprio a tutti: dai presidenti ai dirigenti, dai custodi a tutti quelli si sono adoperati affinché questa piccola grande realtà non sparisse e conservasse quelle quattro cifre che compongono la matricola – ha puntualizzato Martina – A quelli che non ho conosciuto, a chi non c’è più. Vivono comunque nel mio cuore”.
“Mi sento fortunata a rappresentare questa fantastica e importantissima storia – ha proseguito – Sono grata alla Brigata Manicomio, il cuore della nostra tifoseria, che è un gruppo di ragazzi fantastici con in testa Lorenzo Caldaroni e Stefano Santaroni. Fin da bambini seguono l’Anitrella. Nel 2015 ufficialmente sono arrivati a fondare questo importante gruppo ultras ben noto ormai per le loro indimenticabili coreografie, e come intona spesso la brigata il nostro motto è “orgoglio appartenenza e identità”.
“Il mio futuro è qui accanto ai tifosi”
La dirigente per adesso non si vede da nessuna parte se non in neroverde. Ed è concentrata sul campionato che ripartirà domenica dopo la sosta di Natale. L’Anitrella affronterà in casa il Torrice. “Abbiamo costruito una squadra prevalentemente di giovani – ha aggiunto – Grazie al mister Marco Cione che ha ottenuto 5 vittorie consecutive, nessuno come lui ci è riuscito. Il nostro obiettivo era quello di salvarci il prima possibile dopo la beffarda esperienza vissuta lo scorso anno, (mi riferisco ai play out) ma adesso siamo lassù e non ci dispiace affatto. Sognare non costa nulla”.
Ma Martina guarda oltre l’Anitrella. E fa il punto sul calcio dilettantistico che ormai ha imparato a conoscere in tutte le sue sfaccettature. “Mi preme ad esempio parlare della questione premi preparazione che sarebbe da rivedere – ha osservato la team manager – Tanti giovani infatti vengono bloccati ed alcuni alla fine smettono di giocare. Ho apprezzato, invece, che gli allenatori esonerati possano ritrovare squadra nella stessa stagione. Penso che sia un grosso passo avanti”.
Idee chiare e passione: Martina sfida i pregiudizi.