Top e Flop, i protagonisti di sabato 27 maggio 2023

Top & Flop. I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di sabato 27 maggio 2023

TOP

GIOVANNI RUGGERI

La diga Santa Francesca

Giovanni Ruggeri è un tecnico di rango che non ha voluto smentire il ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin sul delicato tema della tremenda alluvione in Emilia Romagna. Ma che ha voluto fare il suo mestiere. E il suo è il mestiere di chi prende massimi sistemi e grandi enunciazioni e li spezzetta a tranci cartesiani, fino a tirarci fuori una verità meno roboante e più completa.

Il ministro aveva commentato la tragedia puntando tutto sulla “defangazione” delle dighe. Molte di esse sono per metà riempite dal fango accumulato negli anni, perciò in caso di emergenza accolgono l’acqua in eccesso con poca capienza. Ecco, per il ministro la soluzione starebbe tutta lì. Non è così. Delle circa 360 grandi dighe operative del Paese e delle 10mila minori si è detto tutto meno quello che veramente sono.

Quanto invasano in tutto su carta a contare i volumi teorici? 13,6 miliardi di metri cubi. E contando i detriti di cui sono zeppe? 9 miliardi. Ergo, in assenza di detriti ci sarebbero quindi circa 5 miliardi di metri cubi in più. Giovanni Ruggeri, presidente del Comitato nazionale italiano per le grandi dighe (Itcold), non la pensa così ed a ragion vedutissima: “L’impatto sul problema rimane limitato, in quando soltanto le dighe di grandi dimensioni possono permettersi di mantenere in parte vuoto il serbatoio per avere spazio in caso di emergenza”.

Poi l’ha spiegata meglio: “Ogni invaso infatti ha lo scarico posto a una determinata distanza dal fondo, proprio per evitare che i sedimenti lo otturino subito. Per questo motivo, nel calcolo dell’effettiva capacità del serbatoio, non va tenuto conto della differenza tra il volume massimo e volume utile”. Che significa? Non che non vadano pulite le dighe, ci mancherebbe, ma che pulirle non è la medicine finale per scansare le tragedia. Non lo è perché i detriti che si trovano al di sotto di quella soglia “non vanno a incidere sul quantitativo di acqua utilizzato”.

Due conti spicci.

FRANCESCA CERQUOZZI

Francesca Cerquozzi

Quando una donna vuole mandare un segnale al mondo, c’è poco da fare: si affida al parrucchiere. Shampoo, balsamo, colore, piega… e se ci mette pure il taglio è segno di grosse rivoluzioni interiori. Quando un politico cambia la sua pagina Facebook è il segnale che sta per lanciare un grosso input al suo elettorato. Nuovi colori, impianto grafico luminoso, foto rigorosamente con il sorriso, solo i post che testimoniano l’impegno di sempre… C’è qualche elezione in arrivo.

Francesca Cerquozzi, consigliere delegato agli eventi culturali in una città che della cultura ha fatto il suo must in questi anni, è andata sia dal parrucchiere e sia dal social media manager.

Il risultato è un netto cambio di marcia sul social: colore, primavera, ottimismo, competenza. Tutti messaggi subliminali trasmessi dalla scelta grafica. Ottima scelta. Poi però dietro l’angolo ci sono le elezioni Comunali. E se questo sia propedeutico solo a celebrare l’arrivo della nuova stagione o l’arrivo della nuova tornata di voto, lo potranno dire solo i prossimi giorni.

Negare che il suo nome da mesi circoli come quelli dei papabili successori di Simone Cretaro sarebbe negare l’evidenza; negare che la nuova veste primaverile del sito sia caratteristica dell’imminente lancio di una candidatura, sarebbe altrettanto una negazione dell’ovvio. Se lei lo vorrà fare davvero è altra faccenda: che prescinde da parrucchieri, social e gossip come in questo caso.

Ma quel semplice cambio di grafica ha messo in allarme buona parte del mondo politico verolano. E questo è già un segnale.

Segnali infallibili.

FLOP

ANDREA RUSPANDINI

Massimo Ruspandini

Nella vita ti puoi scegliere tutto o quasi. Finanche le malattie: spesso dipendono da come decidi di comportarti a tavola, quanto tempo stai seduto, se cambi compagno/a con la stessa frequenza con cui sostituisci la biancheria. Non puoi sceglierti i parenti: quelli come sono te li devi tenere. Puoi decidere di frequentarli meno, tenerli distanti: ma il nome è il nome, il sangue è il sangue, il parente è per sempre. Come sta scoprendo in queste ore Andrea Ruspandini, fratello del più noto Massimo Ruspandini.

Massimo è il nome di riferimento per la destra in provincia di Frosinone, il primo a non avere dubbi quando anni fa Giorgia Meloni, Ignazio La Russa e Maurizio Crosetto strapparono con Silvio Berlusconi e fondarono Fratelli d’Italia. Chi usciva aveva tutto da perdere. Anche per questo è diventato coordinatore provinciale, senatore e poi deputato.

Un peso imbarazzante per suo fratello Andrea Ruspandini. Lo ha scoperto a sue spese: nemmeno ventiquattrore dopo essere riuscito a trovare lavoro nello staff dell’assessore regionale Giancarlo Righini. Il suo nome è finito sui giornali: tutti a sospettare che fosse il solito caso di nepotismo e che a sistemarlo lì fosse stato suo fratello; un po’ come giuravano che facesse la sinistra con la sua Parentopoli. Se non ci fosse stato tra i piedi il fratello Massimo nessuno avrebbe acceso i riflettori.

Peggio è andata nella prima settimana di lavoro. Tutti sono andati a scartabellare sulle pagine Facebook del nuovo collaboratore dell’assessorato regionale a Bilancio ed Agricoltura. Scoprendo una collezione di post contro i vaccini ed a favore delle posizioni razziste sostenute da Casapound; in sintonia con i No Vax e contro il Green Pass nella convinzione che fosse un’invenzione “di delinquenti come il governo”; contro il Presidente della Repubblica: “L’unica cosa buona fatta da Mattarella in 7 anni è stata la presenza alla finale agli Europei Italia-Inghilterra“; per concludere con saluti gladiatori.

Dicono che il governatore Francesco Rocca sia balzato dalla sedia e che l’assessore Giancarlo Righini sia cascato dal pero: nulla sapeva delle idee così nette del suo nuovo collaboratore che aveva scelto per altre sue qualità e – assicura – non di certo quelle politiche. Così si sono chiusi in una stanza per decidere: dimissioni o licenziamento. Dopo soli cinque giorni.

Certo, se non ci fosse stata la parentela con Massimo, nessuno sarebbe andato a scartabellare. Ma purtroppo… i parenti non si possono scegliere.

Più sono stretti e più fanno male.

MASSIMO BITONCI

Massimo Bitonci

Che Massimo Bitonci sia della Lega non è dato superfluo, né dato su cui incentrarci una mistica in negativo da luoghi comuni. Però è un fatto empirico e va analizzato con serenità. In ordine alla politica fiscale del Governo Meloni il sottosegretario al Ministero delle Imprese non le ha mandate a dire a Bankitalia: “E’ vicina alla sinistra perché ha bocciato la flat tax”.

In una recente audizione alla Camera Bitonci ha criticato, ed è un suo diritto sacrosanto, il parere degli esperti della Banca d’Italia che avevano espresso perplessità sulla proposta di flat tax per tutti portata avanti dal governo Meloni. Però come sempre “est modus in rebus” e lì che Bitonci non sia proprio equalizzato su una dialettica normale si sente, si vede e si tocca.

Per lui e per l’esecutivo si tratta di “attacchi prevedibili, ma infondati”, e fin qui ci saremmo, anche a contare che forse Bankitalia magari non attacca, se mai osserva, non è un reggimento di incursori. Per lui chi è contrario alla flat tax c’è sempre stato, “da Bankitalia ai sindacati“. E la summa del Bitonci-pensiero non è stata proprio uno splendore di modello tecnico di legittima dialettica.

Parlando dei tecnici della Banca Centrale del Paese lui ha detto credendo di essere sornione: “Sono bravi a scrivere libri e hanno competenze universitarie, ma non conoscono il fisco reale”. Ecco, potevamo già fermarci qui ma Bitonci ha voluto fare di più, lui è uno che se le manda a dire lo fa fino alla fine: “Mai fatta una dichiarazione dei redditi, mai predisposta una pianificazione fiscale per le imprese: sono dei teorici”.

E il tema della flat tax? C’è una moderata ripresa ma guastata irrimediabilmente dal pregresso, alla fin fine una visione politica non è una bestemmia. Su quella per Bitonci ci sarebbe una “contrarietà di fondo ai regimi speciali perché si vuole inseguire una certa visione del fisco, una visione sostenuta dalla sinistra, così come da chi gravita intorno a quel mondo”.

Detta meglio magari funzionava.