Caro Ministro quando hai fame tutto è buono. Parola di nonna

Una generazione cresciuta a costole in bella vista e Ferrochina Bisleri che oggi deve ascoltare un ministro che non pesa il valore delle parole

Lidano Grassucci

Direttore Responsabile di Fatto a Latina

Quanto pesa una lacrima?
La lacrima di un bambino capriccioso
pesa meno del vento,
quella di un bambino affamato
pesa più di tutta la terra

Gianni Rodari

Brutto non avere il senso delle cose. Non avere sulla pelle, nei ricordi, il senso profondo del bisogno e guardare gli altri dalla posizione che hanno le aquile rispetto al piano. Solo che non parlo di aquile ma di tacchini che rovineranno al primo tentativo di volo e la botta sarà incredibile.

Si parla di poveri che mangiano meglio dei ricchi, ne parlano a pancia piena. Una pancia che ha la possibilità di mangiare senza dover fare i conti su come arrivare a comporre la cena. Per loro mangiare non è “nutrirsi” ma “una esperienza”. Lo dice il ministro dell’agricoltura italiano Francesco Lollobrigida, seriamente. Evidentemente non sapendo.

Lo “pano n’fusso” e il vino d’aceto

Ho conosciuto uomini arsi dal sole che la mattina buttavano il pane raffermo nella bolla d’acqua di un pozzo. E alla mezza ci schiacciavano sopra sue pomodori, un pugno di sale e mordevano ogni tre morsi di pane uno ad una cipolla. Il piatto? Si chiamava “pano nfusso”, per gli italiani “pane bagnato”. Poi il vino, ma non quello con il retrogusto, ma quello con l’uva, poca cantina e tanto spunto d’aceto, che dava il suo contributo a non morire. Quando Mario Merola diceva ai signori “ho mangiato pane e pane”, io ne capivo l’anima.

Sono figlio di gente salvata per secoli dal vino che ci ha nutrito e fatto illudere di impossibili rivoluzioni. Pane e pane ha mangiato la mia gente. Forse l’intenzione del ministro era quella di dire altro: così gli è venuta davvero male. Perché ci sono poveri che nel Paese governato dal signor ministro mangiano non quello che scelgono: si nutrono con quello che gli passa la Caritas o il banco Alimentare. E dire ai poveri che esserlo a tavola è meglio di essere ricchi suona francamente male.

Perché diventare ricco è difficile, farlo in maniera onesta impone rinunce e sacrificio: quelli con i quali un’intera generazione è riuscita a tirare su casa, far studiare i ragazzi, vederli sistemati. E spesso rinunciando a molte cose a tavola: il gelato una volta al mese, la mortadella era il prosciutto dei poveri. Diventare povero è facile… se si mangia meglio fatelo.

Gestire le parole prima ancora dei problemi

Una classe dirigente incapace di gestire le parole, di attribuire loro il senso delle cose. Sono nato nel 1961, eravamo tanti bambini, ci dovevate vedere tanti e magri: cosi magro io che non servivano i raggi X, si vedeva tutto ad occhio nudo.

I genitori nostri erano preoccupati, cercavano di rimediare, e mettevano il marsala nell’uovo sbattuto. Poi “integravano” il ferro con la Ferrochina Bisleri. Per salvarci dalla fame ci facevano alcolizzati, per tacere del vino rosso che faceva sangue. Ho saputo in tarda età che esistevano pesci commestibili oltre al baccalà e alle alici.

Dire che i poveri mangiano meglio significa non sapere cosa vuole dire mangiare solo pasta perché quella c’è che costa poco; non sapere cosa vuole dire usare l’olio di sansa perché quello d’oliva è un miraggio. Parlare così significa essere superficiali. E’ da tacchini che si sentono aquile su rupi dalle quali prima o poi dovranno prendere il volo.

I ricchi satolli e quel “tutto è buono” di nonna

I ricchi, anche quando sono stati poveri, dimenticano gli altri semplicemente. Nonna mia diceva “quando hai fame tutto è buono”. I ricchi non mangiano peggio, mangiano satolli.

Prevedo la spoliticizzazione completa dell’Italia: diventeremo un gran corpo senza nervi, senza più riflessi. Lo so: i comitati di quartiere, la partecipazione dei genitori nelle scuole, la politica dal basso…”

Ma sono tutte iniziative pratiche, utilitaristiche, in definitiva non politiche. La strada maestra, fatta di qualunquismo e di alienante egoismo, è già tracciata. Resterà forse, come sempre è accaduto in passato, qualche sentiero: non so però chi lo percorrerà, e come”.

Pier Paolo Pasolini