Il decreto che non è una condanna: le vie di Natalia per salvare (la) Pace in giunta

Decreto penale di condanna per l'assessore Pace: ma è come se non esistesse in quanto l'impugnazione lo annulla. Un giudice esaminerà il caso. Si pone il problema politico. Le ipotesi al vaglio.

Franco Ducato

Conte del Piglio (ma non) in Purezza

Tanto tuonò che piovve. Alla fine lo scroscio di pioggia (politica) è arrivato a colpire la giunta del Comune di Anagni. Che si dimostra, ancora una volta, senza Pace.

Un gioco di parole facile, che ha lo scopo di mettere in evidenza come negli ultimi tempi la figura del sempiterno assessore ai Lavori Pubblici (in carica col centrodestra come lo era stato, a suo tempo, con il centrosinistra) sia al centro di polemiche e discussioni.

Solo che stavolta la pioggia è arrivata davvero. Sotto forma di decreto penale di condanna che gli è stato notificato qualche settimana fa. Per una vicenda che ha fatto molto discutere in città nell’ultima campagna elettorale.

Il decreto penale

Tutto risale a pochi giorni dalla conclusione della maratona che porterà al trionfo Daniele Natalia. Una donna accusa Simone Pace di averla spinta ad entrare nella sua lista. Paventando – disse – ritorsioni lavorative in caso di diniego. Una vicenda scottante. Che viene cavalcata politicamente dalla destra di Daniele Tasca, che ne fa il cavallo di battaglia degli ultimi convulsi giorni di propaganda. Poi la cosa sembra cadere nel dimenticatoio.

Ma evidentemente non è così, visto che qualche giorno fa la giustizia fa la sua mossa. Si chiama decreto penale di condanna. Non una vera condanna. Una sorta di avviso. Che viene emesse senza nemmeno ascoltare l’interessato. Come dire: “da quello che vedo scritto, senza nemmeno convocarti ed ascoltarti, sei colpevole. Per evitare i tempi lunghi, ti notifico il decreto. Tu puoi accettarlo, pagando la sanzione prevista, ed estinguendo il reato, o fare ricorso”. Ed quel punto comincia il processo vero e proprio. Che prevede i canonici tre gradi di giudizio, prima di arrivare alla verità processuale.

Ma è come se non ci fosse

È esattamente quello che ha scelto di fare Simone Pace. Ha incaricato i suoi avvocati di opporsi al decreto penale di condanna. Lo hanno fatto il 28 dicembre 2018 presentando il formale atto di opposizione.

Con quella richiesta scatta la revoca del decreto penale e deve essere emesso il decreto di giudizio immediato. E per la prima volta l’assessore potrà avere un confronto con un giudice, al quale raccontare la propria versione ed esibire eventualmente documenti o testimonianze a discarico.

L’aspetto politico

Fin qui la cronaca. Nella quale è sempre bene ricordare che vige ancora la presunzione di innocenza; in base alla quale chiunque è innocente fino a prova contraria, e comunque fino al terzo grado di giudizio. E che il decreto penale viene emesso senza nemmeno ascoltare la parte accusata.

Un’analisi politica richiede invece di esaminare la situazione da due punti di vista: quello dell’assessore e quello del sindaco.

Simone Pace di fronte alla notifica del decreto ne ha chiesto l’annullamento e di poter essere ascoltato per la prima volta da un giudice. Avrebbe potuto decidere di non fare ricorso, scegliendo di pagare la sanzione prevista: il problema giudiziario (eventuale) si sarebbe estinto. Non avrebbe avuto più nessuna conseguenza.

Il ricorso dimostra invece la volontà di fare chiarezza: per se stesso, per la compagine politica della quale fa parte, per consegnare alla storia una resoconto definitivo sulla limpidezza della campagna elettorale culminata con la vittoria adamantina di Daniele Natalia.

Il limite della scelta

Una scelta che, umanamente e politicamente, fa onore alla chiarezza. Ma che, politicamente, potrebbe porre un altro problema non da poco. I tempi lunghi della Giustizia potrebbero essere usuranti.

Il sindaco ha più volte fatto sapere che in un caso del genere la presunzione di innocenza va rispettata; dunque Pace rimarrà al suo posto: lo impone un principio di civiltà.

Ma l’assessore si troverebbe a lavorare in una condizione scomoda. In mezzo alle polemiche che inevitabilmente verrebbero ad alimentarsi durante le varie fasi del progetto. Non certo il viatico adatto per un lavoro tranquillo.

La via d’uscita

A meno che lo stesso Pace decida di troncarle. Facendo, da solo, un passo: non indietro ma di lato. Stabilendo di mettere a disposizione del sindaco la sua delega: non di dimettersi e non di sospendersi. Ma di chiedere un interim al sindaco in attesa della definizione del procedimento: resterebbe formalmente assessore (sotto il profilo politico) ma rinunciando all’operatività della delega (sotto il profilo amministrativo).

Lecito domandarsi perché Simone Pace dovrebbe infliggersi da solo una sanzione accessoria (quella della sospensione dal pubblico ufficio) che nessun Pubblico Ministero ha ritenuto necessaria?

Potrebbe decidere di farlo per due ordini di motivi. Il primo: la procura non ha chiesto la misura cautelare della sospensione perché ha proposto direttamente la condanna. Con la quale sarebbe scattata l’incompatibilità. Rifiutando la condanna? Pace si troverebbe con una Spada di Damocle sulla testa ed il rischio che la sospensione cautelare venga chiesta in qualsiasi momento.

Il secondo: in caso di condanna, un’ombra si allungherebbe su tutta l’azione amministrativa svolta da oggi fino al giorno della sentenza.

La via d’uscita onorevole potrebbe essere quella di congelare la delega, tenere Pace in giunta, trasferendo al sindaco l’interim in attesa del giudizio.

Un modo per troncare le polemiche che la sua permanenza sullo scranno da assessore provocherebbe. Una strategia che gli renderebbe più semplice sollecitare una giustizia rapida. E che gli consentirebbe, in caso di esito positivo, di rientrare con tutti gli onori del caso.