Di Zazzo: cacciato con un pretesto. Firme false sui patti. Ecco come finirà

La cacciata dalla giunta comunale di Cassino? Tullio Di Zazzo fu assessore al Commercio ed all’Innovazione Tecnologica, non ha dubbi. «E’ stato un pretesto». Volevano farlo fuori, insomma. Il motivo politico? «Chiedetelo al sindaco». E tolti i panni dell’amministratore indossa quelli del preveggente. Nella Sala Restagno del municipio convoca la stampa e mostra tre buste sigillate. Contengono tre previsioni su altrettante operazioni che l’amministrazione di Carlo Maria D’Alessandro realizzerà nelle prossime settimane o mesi. «Già oggi vi dico come andrà a finire».

Sono tanti i sassolini che gli danno fastidio nelle scarpe. Non vede l’ora di toglierseli.

«Da dove cominciamo? Dall’inizio». Parte raccontando le ultime due settimane di campagna elettorale alle Comunali di Cassino. Nessuno dei candidati sindaco ha superato il muro del 50%: si va al ballottaggio tra l’uscente Giuseppe Golini Petrarcone e lo sfidante Carlo Maria D’Alessandro. Se avesse vinto il primo, l’ingegner Tullio Di Zazzo sarebbe entrato in Consiglio Comunale. Con la vittoria del secondo, il suo schieramento non avrebbe registrato eletti. «Mi hanno chiamato entrambi per raggiungere un accordo. L’ho concluso poi con D’Alessandro. Ma da subito si capiva che c’era un inganno: ha firmato con una grafia diversa da quella che usa di solito».

L’ingegnere meccanico mostra due fogli. Le firme sono obiettivamente diverse anche se riportano lo stesso nome: Carlo Maria D’Alessandro. Il primo foglio è quello con cui il sindaco lo caccia via dalla giunta. Il secondo foglio è quello con il quale a giugno gli viene garantito – in campo del suo appoggio – l’assessorato a Finanze, Tributi, Attività produttive. Alla fine gli daranno Commercio e Innovazione. Ma la cosa che sorprende è che le due firme sono del tutto differenti, come se le avessero apposte persone diverse. «Ho i testimoni, il patto lo firmò D’Alessandro: il motivo per cui abbia firmato con una grafia diversa dal solito non lo immagino»

Tullio Di Zazzo è sicuro che volevano farlo fuori. Che sia in corso una ‘pulizia etnica – politica’ in giunta ed in maggioranza, per eliminare gli elementi più esperti. «Ma non usate l’espressione Pulizia: non mi appartiene. Sta ad indicare che bisognava eliminare qualcuno che è sporco. Né io né il consigliere Peppe Sebastianelli siamo sporchi».

Perché l’hanno voluto eliminare? «Non lo so». E allora cosa gli fa credere che la cacciata sia avvenuta sulla base di un pretesto? «Perché è un pretesto». E snocciola le date. L’assessore è stato revocato per avere autorizzato la realizzazione di un gazebo annesso ad un bar in pieno centro. «Era un atto dovuto» rivendica il fu assessore.

La pratica viaggiava da sette mesi tra gli uffici. Protocollata il 26 luglio 2016 nel settore Urbanistica del Comune, è stata inviata per competenza al settore Lavori Pubblici. Qui ottiene il via libera da un ingegnere «che non è certo amico mio ma di qualcuno che frequenta quel bar ed è vicino all’amministrazione. Non dico ‘sopra all’amministrazione’ perché mi domanderebbero cosa significa» dice con ironia Di Zazzo. A tutti, nella Sala Restagno, viene in mente il nome dello stesso consigliere regionale. Che l’ingegnere non cita. E si affretta ad aggiungere: «Non dico che l’abbia firmata per amicizia: ma perché era atto dovuto». Ed è convinto, quando lo dice. Da qui la praatica va dai Vigili Urbani: sono loro a rilevare una discrepanza tra il regolamento comunale sui gazebo ed il Codice della Strada. Alla fine propendono per il Regolamento e mandano la pratica all’Ufficio Tributi. E solo alla fine torna da me al Commercio.

Quindi dopo questa peripezia? «Vengo cacciato per avere autorizzato un atto dovuto. Se non è un pretesto questo…».

Il dialogo tra Di Zazzo ed il sindaco nel giorno della cacciata è paradossale.

«Mi hai fatto diventare lo zimbello di Cassino»
«E perché?»
«Non dovevi autorizzare quel gazebo»
«E mica l’ho autorizzato io. L’hanno autorizzato tutti gli uffici. E se vuoi sapere come la penso: è un atto dovuto»
«Lo dovevi stoppare»
«E perché?»
«Perché mi dovevi informare prima di autorizzarlo e perché è brutto»
«Guarda che è in regola, rischiamo se non lo facciamo fare»
«Ho già firmato l’atto che ti revoca»

Con gli occhi strabuzzati, Di Zazzo commenta: «Pure il pagamento degli stipendi è un atto dovuto e non mi risulta che chiedano prima il permesso al sindaco. Che il gazebo sia bruttino ne possiamo pure discutere, manco a me piace tanto. Ma mica posso revocare l’autorizzazione a costruire una casa solo perché non incontra i miei gusti».

La discussione – conferma Di Zazzo – ha avuto toni molto accesi. «Chi non è capace di strillare a casa viene a strillare in municipio».

Ma i sassolini sono tanti. Accusa la giunta di immobilismo. Di avergli scippato le idee. Di non averne recepite molte altre. Di fatto lo facevano sentire un corpo sempre più estraneo.

Però non spiega perché hanno deciso di escluderlo. «Forse non volevano far scadere la bottiglia di spumante» ipotizza il consigliere Peppe Sebastianelli (pure lui defenestrato nei mesi scorsi dalla maggioranza). Il riferimento è alla bottiglia stappata per festeggiare la cacciata di Di Zazzo, raccontato dal Conte della Selvotta (leggi qui)

Rimpianti per non avere chiuso l’accordo con Petrarcone ? «Nessun rimpianto, lo rifarei».

Vi aspettate che l’assessore sia della stessa componente Di Zazzo? «E’ stato eletto con i nostri voti, se non nomina uno dei nostri diventa automaticamente un sindaco abusivo»

Il nome del successore? «Lo sanno tutti».

E tira fuori le buste, con le tre profezie. Ma per ora l’unico profeta è Il Conte della Selvotta che aveva profetizzato con largo anticipo le cacciate. E il vero mago si dimostra Carlo Maria D’Alessandro: in poche settimane ha eliminato dalla maggioranza tutti quelli che gli davano fastidio. Anzi, non ancora tutti.

(Una volta rientrato dalla giornata di caccia alla volpe, il Conte della Selvotta redigerà su queste colonne ampio e dettagliato resoconto, con tutti i retroscena)

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