Essere o apparire? Salvini e Landini non lo sanno ancora, e scioperano entrambi

Perché sia il leader del Carroccio che il segretario della Cgil hanno sbagliato ad alzare il volume "politico" di un diritto sociale

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

Carlo Franchi definisce l’Italia come “il paradiso degli scioperi interrotto qualche volta dal lavoro” ed ovviamente va in iperbole. Tuttavia e senza saperlo sposa una delle due linee che oggi vanno a massa critica e cortocircuito nel paese. Scenario: domani, venerdì 17 e per carità mettiamoci un po’ di oculatezza nello scegliere le date ché siamo italiani, ci sarà uno “sciopero generale parziale”.

Definiamo l’ossimoro: è sciopero generale per Cgil, Uil, Pd, sinistra e M5s. Invece è sciopero parziale (e semi precettato con prescrizioni) per il governo Meloni ed in particolare per Matteo Salvini. Definito il ring siamo a posto con le cose mediamente italiane, dove cioè polarizzazione e “guelfighibellinismo” sono presupposto di ogni faccenda complessa.

La Cisl, l’elefante bianco e la Bolloli

Luigi Sbarra (Foto: Leonardo Puccini © Imagoeconomica)

Ora il titolo in palio nella scazzottata, che ovviamente è anche quello duplice. Da un lato Cgil e Uil vogliono protestare contro la Legge di Bilancio dell’Esecutivo, dall’altro lo stesso condanna e depreca quella protesta. Fin quando si resta nel campo delle legittime opinioni va tutto bene, i guai sono cominciati appena si è messo piede in quello delle prerogative a traino. Non serve ricordare che quello allo sciopero è un diritto costituzionale e che anche solo passarci sopra la mano in contropelo equivale a toccare una cosa santa. Come non serve ricordare che quel diritto non è brado, ma regolamentato per tipologia, congruità e finalità.

Insomma, sta tutto scritto ma malgrado ci siano le regole di gioco Matteo Salvini e Maurizio Landini hanno fatto di tutto per invocarsele come amicone piuttosto che limitarsi a rispettarle. Piccolo inciso mediano: la Cisl. Il sindacato guidato da Luigi Sbarra non mette becco, e manifesterà di suo. Poi suggerisce una critica più sorniona e settoriale all’operato di Palazzo Chigi e rilascia spiegoni soft. Come quelli per cui, secondo Sbarra, le regole vanno rispettate e la responsabilità è di chi cerca il confronto, non lo scontro.

Tutto chiaro, condivisibile o meno che sia. Anche al netto delle affermazioni di Brunella Bolloli di Libero, che liscia Sbarra come se fosse l’elefante bianco. Sono quasi 20 anni che la Cisl, a torto o a ragione, va per conto suo. Tuttavia la giornalista ad Otto e Mezzo ci ha tirato fuori l’eccezione virtuosa per stare in scia con la linea editoriale. Non va benebenissimo ma anche questo ci sta, a denti stretti ma ci sta dai.

Ruspandini e il caso di Ferentino

Nella categoria ossimori recenti e per far capire che anche uno sciopero può diventare totem politico oltre che strumento sociale basta guardare al 2020. Quando cioè scioperarono, ma più settorialmente, i lavoratori della Samami Spa di Isola del Liri. In quell’occasione l’allora senatore Massimo Ruspandini di fece sentire, in termini di vicinanza ed impegno, con i 160 operai che da 4 mesi non ricevevano lo stipendio. “Purtroppo, situazioni come questa, sono lo specchio di un Paese mal governato, che non tutela le fasce più deboli”.

“Il lavoro stabile e ben pagato, ormai è diventato un utopia, con tutte le ripercussioni che queste problematiche hanno sulla vita dei cittadini. La nostra provincia paga un prezzo altissimo nell’ambito lavorativo, frutto di una politica troppo distante da quelle che sono le reali problematiche dei lavoratori.

Che significa anche a fare la tara a due situazioni completamente differenti in quanto a dimensioni ed ambito delle rivendicazioni? Che lo sciopero è strumento riconosciuto da tutti, ma che a volte e quando gli si vogliono dare i “galloni da generale” la faccenda tracima. E, con equa distribuzione di torti e ragioni, passa di categoria e diventa appalto della politica. Fondamentalmente non è neanche una super aberrazione: i sindacati, i governi, i gruppi decisori, sono tutti sotto giogo della politica. Basta saper dosare, ecco.

Salvini che nel 2015 chiedeva 3 giorni

Giorgia Meloni al Congresso Cgil

Insomma, quelli che oggi stanno scioperando davvero e che lo stavano facendo ormai da giorni sono proprio Matteo Salvini e Maurizio Landini. Il primo come al solito lo ha fatto dal lessico di contesto, il che con Salvini a ben vedere non è più una novità. Lui mediamente si astiene dalle parole giuste almeno due volte al mese e mette quelle sbagliate sui social.

Il ministro delle Infrastrutture era coinvolto come tale e come vicepremier. E non ha più un nemico da additare solo lui perché Giorgia Meloni gli ha scippato il tema migranti con il liscione albanese. Perciò l’ha messa giù ruvida. (Leggi qui: Togli Fornero, metti Fornero: ora i due nemici del Mef sono Salvini e Landini).

In perfetto mood con le sue ataviche contraddizioni poi, nel 2015 aveva addirittura invocato “tre giorni” di sciopero. Aveva invitato ogni categoria a fermarsi ed a boicottare il bieco esecutivo guidato da Matteo Renzi. Per domani invece ha semi precettato lo sciopero, che punta i trasporti alla giugulare, ed ha fatto un capolavoro di grettezza. Cioè da un lato additando lo sciopero come una cosa seria e da fare solo quando la Commissione di garanzia dà campo libero alla sua connotazione “generale”.

Dall’altro alludendo sarcasticamente a quelli che scioperando il venerdì si allungherebbero solo il weekend. Cioè perculando in maniera sfacciata lavoratori ed istanze che prima aveva pur detto di rispettare. Il Manifesto ha dedicato al Capitano uno dei suoi titoli epocali: “Pre-Cettola Qualunque”.

Le sbavature più sottili di Landini

Maurizio Landini (Foto: Carlo Lannutti © Imagoeconomica)

Con Landini, a cui sono intestabili ragioni ferree di concetto, lo “sciopero dal buon senso” si è connotato in maniera più sottile. Il segretario della Cgil, più del suo omologo Uil Pierpaolo Bombardieri, paga pegno non tanto alle ambizioni politiche che la destra gli attribuisce, quando ad una certa “inerzia colposa”. Quella che ha palesato di fronte ad un vestito da capopopolo che gli era arrivato addosso negli ultimi mesi. Come era successo? Con un meccanismo indiretto che però non emendava Landini da porvi rimedio più netto.

L’equazione è semplice: tolte le folle di sabato scorso il Pd sembra sempre in perenne credito di una leadership più “terragna”, operaia e scafata. Lo è perché Elly Schlein proprio non ci riesce, ad equalizzarsi con le genti che suo malgrado rappresenta. Lo fa benino, ma da ogni sua parola o scelta sembra colar giù una melassa borghese di ritorno che le crea scetticismo ogni volta che si tratta di scendere in campo sul serio.

Che significa? Che magari anche non volendo o quanto meno senza un “bieco” piano, quella nicchia l’ha occupata Landini. Per fisiologia, diremmo. Landini che avrebbe dovuto capire benissimo una cosa. Se voleva proclamare uno sciopero generale con il timing con cui lui stesso lo aveva annunciato, già settimane prima della Legge di Bilancio, bisognava calcare la mano. Su cosa? Sul distinguo tra fare il sindacalista a tempo pieno e diventare un ausiliario di rango delle istanze delle opposizioni.

Sfilare, imprecare e postare

Elly Schlein (Foto: Sara Minelli © Imagoeconomica)

Toccava a Landini segnare i confini di quell’ambito e non lo ha fatto benissimo, questo va riconosciuto o quanto meno è nel novero delle letture legittime. E i fruitori dello sciopero? Cioè chi lo fa e chi dello sciopero domani subirà gli effetti tra paciosa resilienza democratica e maledizioni per il bus che non è passato?

C’è chi sfilerà, chi bestemmierà e chi aprirà i social e leggerà. Ma tutto sommato nessuno dei tre ha preso d’aceto come quelli “in alto” che della faccenda hanno preso le redini. Perché alla fine l’Italia è così: conta più fare “ammuina” che fare risultato. Contano più i giornalisti di quel che i giornalisti raccontano e conta più un match sanguigno che i numeri sul tabellone finale.

Perciò alla fine ognuno se ne tornerà a casa con la convinzione di essere uscito vincitore dal ring e parte a strologare sul Tg4 o a La7. Ovviamente fino al prossimo round di un incontro che da noi è eterno. E quasi inutile. Perché quando tutto è polarizzato la vera cosa che sciopera è il buon senso.