Se quel giocattolo che non ti danno da piccolo poi ti fa bene (di M.R. Scappaticci)

Tollerare la frustrazione si apprende fin da piccoli. È molto più facile cominciare ad imparare come gestire un giocattolo che non arriva piuttosto che ritrovarsi con le spalle coperte per tutta l’adolescenza e disarmati da adulti.

Maria Rita Scappaticci

Psicologa e blogger

Il grido continuo e unanime degli uomini di cultura è costante sulla questione. Viviamo un momento difficile. Dove definire la nostra società in termini civili è faticoso oltre che fuori luogo.

È allarme serio per le continue notizie che ci giungono dal mondo intero, da lontano.

E ritroviamo le stesse difficoltà nel nostro piccolo spazio di vita, dove rimanere basiti dura troppo poco. E nulla più ci sconvolge della diseducazione della umanità.

Eppure apparentemente abbiamo a nostra disposizione più armi per contrastare violenze, uccisioni, prepotenze, regole infrante e gesti aggressivi.

Formalmente la conosciamo tutti la lezione, sappiamo che esiste il rispetto, sappiamo che ogni essere va protetto nella sua intimità, sappiamo che esistono valori da trasmettere e siamo pronti anche a fare un passo avanti per diffondere e fare propaganda di buone azioni.

Metterle in pratica poi è tutta un’altra storia.

La risposta aggressiva a delle azioni subite, percepite come affronti personali, e ripagate con repliche di smisurata cattiveria, nasconde la debolezza più profonda della quale il mondo è vittima.

Gli psicologi la chiamano scarsa tolleranza alla frustrazione.

Il miglior modo per rispondere all’adattamento sociale sta in questo meccanismo per nulla nascosto, ma forse ignorato dalla maggior parte di noi, come persone singole, come educatori, come appartenenti ad un gruppo.

Abituarsi a tollerare che non tutto va come pensiamo, che non possiamo controllare ogni singolo momento della nostra vita e di quella di chi ci sta intorno. Significa mettere da parte quell’istinto che parte dalla regione più antica del nostro cervello e assumere come valido il concetto di limite che rappresenta il nostro genere umano.

Questo passaggio confonde la mente di alcuni che all’estremo opposto ci mettono la sopportazione del danno subito come se fosse un continuum di azioni in cui o mi difendo con mezzi distruttivi oppure subisco passivamente il volere del caso.

Entrambi gli opposti fanno parte dello stesso modo di vivere ed essere passivi non fa atro che alimentare la prepotenza rabbiosa della intolleranza verso tutto ciò che non sopportiamo.

Frustrazione è per noi tutto ciò che si distacca dal nostro volere.

Può essere frustrante un rifiuto ad un colloquio di lavoro, una persona che ti salta la fila mentre sei in attesa da un’ora, l’auto che non parte proprio quando sei in ritardo, un compagno o una compagna che non vuole saperne di tornare con te, il rimprovero a scuola dell’insegnante perché si rifiuta un’interrogazione.

Esistono azioni che possiamo controllare e che dipendono dal nostro impegno e azioni che dipendono non solo da noi ma anche dalle altrui volontà.

Per le prime possiamo fare molto, per le seconde anche ma lavorando sempre su noi stessi senza prevaricazione.

Tollerare simili situazioni significa accettare che non abbiamo potere sull’altro e non perché siamo scarsi ma perché siamo evidentemente limitati.

Abbiamo grossi poteri e la determinazione ci aiuta a raggiungere l’obiettivo di ognuno ma sapere che qualcosa può non andare come vogliamo ci aiuta a definire e sopportare la mancanza ed il rifiuto.

Tollerare la frustrazione si apprende fin da piccoli.

Anzi, probabilmente è molto più facile cominciare ad imparare come gestire un giocattolo che non arriva piuttosto che ritrovarsi con le spalle coperte per tutta l’adolescenza e disarmati da adulti.

Dire di no fin da subito equivale a insegnare questo grande esempio di vita e di benessere.
Sarà per questo che le generazioni che ci hanno preceduto, nonostante avessero ben poco, sicuramente hanno vissuto meglio di noi.

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