I Carabinieri e Cassino: una storia lunga un secolo e mezzo

Il lungo rapporto della Benemerita con quella che sarebbe diventata poi la "Città Martire" tra fitti, equivoci ed abati "sfrattati"

Gaetano De Angelis Curtis

Università di Cassino Laboratorio di Storia Regionale Dipartimento di Lettere e Filosofia

Il 22 settembre 2023 Cervaro ha avuto l’onore di ospitare nella sua Chiesa di Santa Maria Maggiore, il generale di corpo d’armata Pasquale Angelosanto. E’ comandante del Raggruppamento Operativo Speciale dei Carabinieri e figura di spicco nel campo della lotta alla criminalità organizzata, colui che ha avuto il pregio di assicurare alla giustizia tanti mafiosi come Matteo Messina Denaro (scomparso due giorni dopo l’evento di Cervaro).

Nella sua interessantissima relazione intitolata La criminalità mafiosa come minaccia per la sicurezza nazionale il generale Angelosanto ho messo in evidenza il cambiamento prodottosi in questi ultimi decenni nella criminalità organizzata. Dalla mafia, dalla camorra, dalla ndrangheta, con una evoluzione della loro operatività che ha abbandonato lo stragismo, l’attacco allo Stato, alle sue istituzioni, ai suoi uomini più rappresentativi (magistrati, tutori dell’ordine). Per assumere anche vesti imprenditoriali.

Quindi non solo praticando attività illecite come il traffico di stupefacenti a livello globale, ma anche riuscendo a introdursi in settori dell’economia. E creando stretti rapporti imprenditore-amministrazioni pubbliche: un circolo vizioso, pericoloso, dannoso, con l’imprenditore che diventa l’intermediario. Così oggi le organizzazioni malavitose non devono essere più viste come fenomeni deleteri legati a porzioni di territorio nazionale. E cioè la mafia in Sicilia, la ndrangheta in Calabria, la sacra corona unita in Puglia, la camorra in Campania: ma possono arrivare in ogni singolo Comune d’Italia. Poiché esse hanno acquisito una forte abilità di infiltrazione.

La lezione del generale Angelosanto

Il generale dei carabinieri Pasquale Angelosanto (Foto: Sara Minelli © Imagoeconomica)

Una volta guadagnato il controllo dell’economia e del mercato del lavoro locale, queste organizzazioni aspirano a penetrare nelle amministrazioni comunali con l’obiettivo di acquisire commesse, appalti e forniture. Instaurando un processo corruttivo che permette loro di stringere alleanze con la politica locale, influenzando le decisioni e compromettendo la stabilità delle istituzioni. In un ciclo di reciproco vantaggio alimentato dalla corruzione e dalla ricerca di consenso.

A una domanda posta da uno studente della Scuola Media su come combattere questo fenomeno, il generale Angelosanto ha risposto che particolare importanza assume la formazione e l’informazione dei cittadini che deve andare di pari passo con il rispetto delle leggi. (Leggi anche qui).

La presenza di un così alto e importante ufficiale, originario di Sant’Elia Fiumerapido, offre l’occasione per domandarsi: ma quando sono nati i Carabinieri e quando sono arrivati a Cassino e dintorni? 

Le “Regie Patenti” del 1814

I Gendarmi in servizio nel Regno delle Due Sicilie

Va detto che il Corpo dei Carabinieri fu istituito a Torino con Regio Decreto del 13 luglio 1814 da re Vittorio Emanuele I. Questo speciale corpo militare che si chiamava Carabinieri Reali (denominazione che mantenne fino al 2 giugno 1946). Era formato da uomini a piedi e a cavallo e sorse con il compito di mantenere il controllo della sicurezza interna dello Stato e dei cittadini, nonché l’ordine pubblico.

Era nato nell’allora capitale sabauda del Regno di Sardegna e non aveva corrispondenza negli altri sei Stati in cui era divisa allora l’Italia. Nemmeno nel Regno delle Due Sicilie che aveva come capitale Napoli (cui apparteneva anche il territorio del Cassinate), dove operavano altre forze di polizia come la Gendarmeria.

L’istituzione era avvenuta alla fine dell’epopea napoleonica dunque in età prerisorgimentale. Negli anni successivi le guerre risorgimentali portarono all’allargamento del Regno di Sardegna e poi alla formazione del Regno d’Italia.

La missione milanese di Arnulfi

Foto © Antonio Cantalupo

Quindi dopo l’annessione delle aree dell’ex Regno Lombardo-Veneto passate al Regno di Sardegna, fu inviato a Milano l’allora maggiore generale Trofimo Arnulfi. Inviato con il compito di formare il «Comando dei carabinieri reali in Lombardia» appunto annessa al Regno di Sardegna nel 1859.

Poi Giuseppe Garibaldi con le sue Camicie rosse, partito da Quarto, sbarcato a Marsala, risalì la penisola italiana e il 7 settembre 1860 entrò a Napoli. E nominato «pro-dittatore delle provincie napoletane» dell’ex Regno delle Due Sicilie che furono annesse al Regno di Sardegna con decreto dittatoriale del 15 ottobre firmato a S. Angelo in Formis. Poi consegnate a re Vittorio Emanuele II nel famoso incontro nei pressi di Teano del 26 ottobre 1860. 

Così tre giorni prima dello storico incontro, il 23 ottobre 1860, il Comando Generale del corpo dei Carabinieri inviò nell’ex capitale partenopea lo stesso maggiore generale Trofimo Arnulfi. Lo fece con lo scopo di provvedere all’istituzione anche nelle aree ex borboniche di un corpo analogo a quello piemontese. 

l’Arma a Napoli e le prima “Legioni”

Foto: Saverio De Giglio © Imagoeconomica

Nel giro di sole tre settimane vide la luce un «Reggimento Carabinieri per la città di Napoli», formato da 62 ufficiali e 240 uomini della disciolta Gendarmeria borbonica. Poi in poco tempo sorsero le varie «Legioni» dei carabinieri tra cui la 7a legione, con competenza su Campania, Abruzzo e Molise che è quella che più interessa il territorio del centrosud. In tal modo la «capillare distribuzione sul territorio, che era stata caratteristica dei Carabinieri di Sardegna, veniva conservata anche con l’allargamento del Corpo a tutta l’area del nuovo Stato»

Capillare distribuzione significa che man mano venivano aperte delle Stazioni dei Carabinieri se non in tutti ma nella stragrande maggioranza dei Comuni ex borbonici.

Verso la fine del 1860 i Carabinieri giunsero anche a Cassino (che allora ancora si chiamava S. Germano). La Stazione dei Reali Carabinieri, che aveva bisogno di spazi adeguati, si insediò in alcuni ambienti siti nel più grande immobile esistente allora in città. Cioè il palazzo badiale ubicato al centro della città e di proprietà di Montecassino. Lo stabile era occupato in parte dagli uffici della Curia mentre altri ambienti erano utilizzati da parecchi inquilini. E i Carabinieri si installarono al pian terreno, che in parte fu adibito a stalla per il ricovero dei cavalli. 

Arrivano i Tribunali, uno a Cassino

Poi il 17 febbraio 1861 (esattamente un mese prima della proclamazione del Regno d’Italia avvenuta a Torino il 17 marzo con Vittorio Emanuele II che assumeva il titolo di re «per grazia di Dio e volontà della nazione») la Luogotenenza generale del regno nelle province napoletane emanò il primo decreto luogotenenziale. Decreto che riguardava il nuovo Ordinamento giudiziario del Mezzogiorno d’Italia.

Così i quindici tribunali già esistenti e operanti (le «sedi antiche») furono affiancati da altri quindici Tribunali (le «sedi nuove» cui si aggiunsero poi delle «sedi nuovissime»). Uno dei quindici nuovi Tribunali istituiti fu quello di Cassino. Sulla scelta della città come sede di Uffici giudiziari influì positivamente l’interessamento dell’allora abate di Montecassino dom Simplicio Pappalettere. Che peraltro aveva chiesto pure che Cassino divenisse sede di prefettura e quindi capoluogo di provincia, cosa che non avvenne né in quei momenti né mai successivamente. 

Quando la Legge “sfrattò” la Benemerita

Una volta istituito con decreto il Tribunale si venne a porre la questione di dove ubicare fisicamente la sede degli Uffici giudiziari. In sostanza si trattava di individuare uno stabile all’interno della città che potesse ospitare il Tribunale. Il luogo più opportuno fu individuato nel Palazzo vescovile, cioè il palazzo badiale di proprietà del monastero di Montecassino.

Si trattava di un edificio che «formava un vasto quadrilatero al cui interno si trovava una spaziosa corte. Vi si accedeva tramite un ingresso principale che dava su una bella piazza». Se si fa mente locale al palazzo badiale di oggi non si troveranno differenze con questa descrizione fatta dal giudice regio Fortebraccio il 7 dicembre 1861. A pensarci bene però l’immutabilità di siti e luoghi all’interno di un centro abitato è cosa normale in tutte le città d’Italia meno che a Cassino.

La distruzione totale dovuta alla Seconda guerra mondiale ha comportato il cambiamento totale del profilo urbanistico di Cassino. Tuttavia il palazzo badiale odierno assomiglia a quello pre-bellico (c’è solo in più l’Aula Pacis). Perché è stato ricostruito sulla base del volere dicotomico dell’abate Ildefonso Rea «dov’era com’era» che non ha riguardato solo l’abbazia di Montecassino ma anche, appunto, il palazzo badiale e la chiesa di S. Antonio.

L’abate deve farsi più in là

Foto © Stefano Strani

Ritornando alle vicende del 1861, la questione che si aprì riguardava il fatto che nel palazzo badiale da qualche mese si erano installati i Carabinieri. E così come era ripartito tra i vari affittuari non possedeva al suo interno degli spazi sufficienti anche per il Tribunale. Per poter consentire l’installazione degli Uffici giudiziari non solo l’appartamento dell’abate doveva ridursi in volumetria ma era necessario che la Stazione dei carabinieri si spostasse in un’altra ala dello stesso immobile.

Cominciò allora un vorticoso giro di note di richiesta e di solleciti tra le autorità giudiziarie, i Comandi dei Carabinieri a Caserta e Napoli, il prefetto della provincia, il Comune e l’abbazia di Montecassino. L’accelerazione si ebbe in seguito al decreto del 20 novembre 1861 che rendeva effettiva l’istituzione dei nuovi quindici Tribunali.

Nel caso di Cassino bisogna giungere velocemente allo spostamento della Stazione dei Reali Carabinieri per far posto a tutti gli uffici giudiziari. Si concordò allora il trasferimento dei Carabinieri nella parte superiore dell’ala occidentale dell’immobile (oltre a piano terra) mentre l’abbazia di Montecassino si assumeva l’onere finanziario di fare «a sue spese le necessarie sistemazioni» e i «restauri necessari».

La nuova Stazione cittadina

Foto © Antonio Cantalupo

I nuovi locali della Stazione dei Carabinieri vennero approntati e ristrutturati velocemente. E quando i lavori furono completati essi erano «perfettamente all’ordine». Lo stesso comandante della stazione di S. Germano aveva giudicato la nuova sede migliore della precedente poiché era «più bella e più ampia» di quella fin lì utilizzata.

Tuttavia l’ordine di spostamento alla Stazione dei Carabinieri tardava ad arrivare. Il mancato trasloco da un lato aveva finito per ostacolare «il più che celere sviluppo delle opere» di ristrutturazione dei locali da adibire a organi giudiziari. Ma soprattutto c’era il timore che Cassino potesse correre il rischio di perdere la possibilità di essere sede di Tribunale. Finalmente il 3 febbraio 1862 intervenne il generale comandante dei CC.RR in Napoli.

Che impartì disposizioni per lo «sgombero» della brigata, quindi il 5 febbraio il colonnello comandante della 7a Legione del Corpo dei Carabinieri Reali emanò «tosto l’ordine di trasferimento» e l’8 febbraio 1862 ebbe luogo l’insediamento nella nuova caserma. La Stazione dei Carabinieri di Cassino occupava parte del piano terreno in cui vi erano cortile, scuderia, selleria, cantine e fienile. E parte del primo piano con una camera uso magazzino, sette camere per domicilio, una per ufficio, due per sicurezza, e tre per vari usi. 

L’equivoco del fitto mensile

La Torre Campanaria e piazza Umberto I prima dei bombardamenti

Il contratto di affitto di quella porzione del palazzo badiale adibito a Caserma dei Carabinieri con l’abbazia di Montecassino, proprietaria dell’immobile fu rinnovato nel 1872. Il fitto fu fissato in Lire 1.780 l’anno. Un errore di trascrizione portò anche a un impasse. Su sollecitazione dell’abate di Montecassino, il 19 febbraio 1872 il sindaco di Cassino, avvocato Benedetto Nicoletti, faceva notare al prefetto un dato.

Che sulle bozze dei documenti da firmare il fitto risultava indicato in Lire 1.708 annue. Il funzionario provinciale interpretò ciò come una richiesta di aumento e replicò che non c’era nessuna ragione che giustificasse la variazione. Alla fine il contratto, venne sottoscritto il 3 maggio 1872 dall’abate dom Nicola D’Orgemont (da poco succeduto allo scomparso dom Carlo de Vera) e dal prefetto di Caserta, Giuseppe Colucci ed aveva una durata di un quinquennio (1872-1877).

Carabinieri “Nei secoli…. assetati”

Foto: Canstockphoto / Simply

Un problema sollevato dalle autorità militari in quei momenti riguardava la mancanza di acqua potabile nella caserma. (La non potabilità dell’acqua era attestata da un certificato medico rilasciato dall’ufficiale sanitario del tempo, il dottor Gennaro Matrundola, nonché dal sindaco Nicoletti. I Carabinieri erano così costretti ad approvvigionarsi di acqua all’esterno con un aggravio di spese per il trasporto. Per cui si chiedeva alla proprietà dell’immobile di intervenire facendosi carico di risolvere il problema.

Tra le due guerre il rapporto tra i Carabinieri e Cassino si fece più intenso. Infatti la città era stata prescelta alla fine del 1916 per costruirvi un Campo di concentramento. Campo che fu realizzato in una vasta area lungo la strada che conduce nella frazione di Caira. Nel campo furono internati migliaia di prigionieri dell’Esercito austro-ungarico fatti prigionieri sui fronti di guerra. (Il più famoso era uno dei più importanti filosofi europei del tempo Ludwig Wittgenstein giunto al Campo nel novembre 1918 dove ebbe modo di completare la sua più ragguardevole opera filosofica).

Nell’estate del 1920 lasciarono il Campo gli ultimi prigionieri, che erano ucraini, la comunità più viva culturalmente internata in quegli anni. Cementati da un forte sentimento nazionale che speravano si traducesse nella possibilità di costituire uno Stato autonomo. Come poi non successe inglobati, come furono, nell’Unione Sovietica passando da una dominazione all’altra.

Arriva la Scuola Allievi, ma per poco

Evacuati i prigionieri si decise di riconvertire quella struttura dell’ex Campo di concentramento, costituito da numerosi padiglioni con abbondanti spazi esterni, acqua corrente, latrine ecc. I Carabinieri che per effetto di varie disposizioni governative avevano visto aumentare il loro organico, decisero di installarvi un Battaglione della Scuola Allievi.

Così il 18 settembre 1920 giunse a Cassino un primo scaglione di 400 allievi e man mano altri nei giorni successivi. Il  distaccamento fu inaugurato l’11 novembre 1920 dall’abate di Montecassino, monsignor Gregorio Diamare. Nel mese di gennaio 1921 il contingente raggiunse la sua forza massima pari a circa 2.800 uomini. Ottimo il rapporto che si instaurò con gli allievi da parte della popolazione di Cassino ma anche di quella dei paesi limitrofi.

La struttura portò in città migliaia di giovani allievi, contribuendo a far rifiorire le attività commerciali provate dalla Grande guerra. Il rapporto non si esaurì solo in merito a tali aspetti perché i giovani carabinieri portarono a Cassino anche delle novità in campo sportivo, facendo conoscere alla gioventù locale nuove discipline come il nascente gioco del calcio e la maratona. La scuola rappresentò un modello per il suo genere, sia per le tante comodità esistenti che per l’organizzazione dei servizi.

Si sbaracca, tutti a Gaeta

Alla fine, però, dopo sette anni, fu deciso di trasferire la Scuola Allievi a Gaeta. Il 29 novembre 1927 furono completate le operazioni di trasferimento iniziate nei mesi precedenti. Quella di Gaeta fu una soluzione tutt’altro che ottimale avendo la Scuola bisogno di spazi per gli alloggiamenti. Di quelli e per le attività connesse alle esercitazioni che Gaeta non poteva garantire tant’è che nel giro di qualche tempo la Scuola tornò a Roma. Era stato il fascismo a volere il trasferimento.

Nel 1927 Cassino prima vide sfumare la possibilità di essere elevata a capoluogo di un suo territorio di riferimento amministrativo e con aggregazione alla neo istituita provincia di Frosinone. Poi per la perdita di strutture come la Scuola Allievi. Quel 1927, nonostante i tentativi di salvaguardare la città operati in più occasioni dall’abate Gregorio Diamare, potrebbe essere definito come l’«Annus Horribilis» di Cassino se poi non ci fosse il 1944, ma quest’ultimo è stato un «anno catastrofico».

Cinquantuno lapidi per ricordare

La sede dei Carabinieri a Cassino

Del rapporto tra la città e gli allievi carabinieri si è venuto a spegnere ogni ricordo nella memoria collettiva. Questo se non fosse per la presenza nel Cimitero comunale di S. Bartolomeo di due monumentini che riportano i nomi di 51 giovani allievi morti a Cassino nel periodo novembre 1920 – novembre 1927. (Lo ricorda qui il centro di Studi Cassinati).

Con la ricostruzione della città di Cassino, la caserma della Tenenza e della Stazione dei Carabinieri sono state allocate per anni in vari immobili (Via del foro, Via Sferracavalli).

Da qualche tempo però sono tornate lì dove si trovavano originariamente più di un secolo e mezzo fa cioè nel palazzo badiale anche se l’ingresso non è più dirimpetto alla «bella piazza» con la Chiesa madre ma lungo Via Marconi.