La Lega nel Centro Sud: da ascensore a mezzo burrone, tranne che a Cassino

I candidati solidi e pragmatici e quelli di bandiera che però adesso sono titubanti. Con Salvini che paga pegno all'identitarismo spinto

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

I conti elettorali di Mario Abbruzzese sono precisi al millimetro e sono conti che “contano”. L’ex Presidente cassinate del Consiglio Regionale in lizza per le Europee nella Circoscrizione Italia centrale punta su tre bacini per spuntarla a giugno. Cassino ed il Cassinate con gli uomini e le donne chiave che gli faranno da sparring. Poi Frosinone e province laziali con la dote aurea di Pasquale Ciacciarelli. E Roma con i serbatoi capitolini di rango. Infine un po’ in Toscana, in Umbria e nelle Marche.

Fuori dal Lazio, Abbruzzese punta sui buoni uffici delle sue amicizie politiche di lungo corso che pare riconducano direttamente al cerchio magico di Matteo Salvini. Però c’è un’evidenza all’orizzonte, che per alcuni aspetti è un guaio e per altri un vantaggio. Emendabile a contare le capacità di Abbruzzese, ma oggettivo. Ed è il possibile guaio per cui il nome di Salvini potrebbe aver ormai ben poco di magico.

La strategia del Capitano non sfonda. Al punto da spingere perfino il tridente dorato del suo dream team per il Centro Italia a chiedergli di ripensarci.

I conti di Abbruzzese e la conta del Capitano

O quando meno fare nuove valutazioni più ponderate che sono l’esatto opposto delle entusiastiche “quasi adesioni” di qualche mese fa. Il dato è che Salvini ormai sembra (di fatto è) un oppositore di Giorgia Meloni in purezza, non un suo alleato che legittimamente concorre in agonismo spinto dal proporzionale per Bruxelles. Salta sui trattori, liscia Orban e fa cose molto di pancia. E questo gioco al massacro alla fine potrebbe aver logorato più il Capitano ed il suo sistema partitico che la leader-premier. Che in Europa cala briscole molto più ruffiane. Contro una Meloni sovranista giocarsela era possibile, ma contro una Meloni democristiana che sta provando ad eludere la rogna agricoltori è praticamente impossibile farcela, e Salvini lo sa.

Solo che nel saperlo, invece di recedere e battere altri campi lui, Salvini, accelera. E lo fa proprio su quelli che alla fine, pare dai sondaggi, gli potrebbero restituire dopo il voto solo “5 parlamentari europei dei 29 attuali”, secondo quanto scrive Salvatore Merlo su Il Foglio. Cosa sta accadendo?

Semplice e terribile al contempo: a qualunque livello si giochi la partita di Bruxelles lì il campo è quello di un mezzo centrismo di ritorno che ha ammalato le strategie di quasi tutti.

Tutte cause di pancia e poche rotte concrete

Claudio Fazzone ed Antonio Tajani (Foto: Sara Minelli © Imagoeconomica)

Certo, ci si tiene in rotta con le proprie eccentricità ideologiche ma lo si fa ormai come nel burlesque. Cioè con le guepieres ed i bustini solo in palcoscenico ma con il tailleur o i pantaloni di fustagno quando si deve fare sul serio. Da Fratelli d’Italia-Ecr che ormai picchiano duro ma col battipanni, a Forza Italia-Ppe, che con Antonio Tajani sembra ormai una corazzata liberal-morotea, la Lega di Salvini è accerchiata da nuovi profeti del buon senso.

Imbonitori saggi che ipnotizzano gli elettori con ricette smart, fattibili, moderate e di pronta beva. Lui no, il segretario del Carroccio invece si mette davanti al filo spinato per solidarizzare con gli agricoltori. Poi proclama che Ilaria Salis non dovrebbe insegnare più se condannata. E una volta ogni mese e mezzo arriva nell’aula bunker di Palermo e si posta in foto moge con quell’ormai trito e tristo “a processo per aver difeso la Patria, ma ne vado fiero”.

Giorni fa aveva twittato in mood martire: “Se pensano di intimidire con attacchi quotidiani me e la Lega, si sbagliano di grosso. Alle minacce di chi ci vuole male rispondiamo con il sorriso, l’impegno e la consapevolezza di essere sulla strada giusta”. Quella “per arrivare finalmente al futuro che stiamo costruendo, insieme, in Italia e presto anche in Europa. Andiamo avanti a testa alta, Amici”. Ormai sembra Amatore Sciesa con il 5G.

Il must per Bruxelles è moderato

Matteo Salvini

Il Foglio spiega che a Bruxelles, “accompagnato da un gruppo di imprenditori italiani, pare che a un certo punto, presasi la testa fra le mani, Salvini abbia sospirato: ‘Se non si candidano vorrà dire che andremo da soli’.

Ha ragione chi dice che a Salvini lo possono salvare solo i suoi elettori storici e di pancia, ed è una ragione amara. Perché ogni leader che punti in alto sa che il consenso strutturale gli deve arrivare da due canali. Cioè quello in purezza dei supporters e quello sornione dei sodali a tempo, e li devi blandire entrambi se non vuoi affondare sotto il 9%.

E quando anche la trimurti d’oro che avevi già mezza messa in vetrina ti molla, allora vuole dire che qualcosa non va davvero. Ma di chi parliamo? Di Gianni Alemanno per esempio. Premessa, le percentuali di cui oggi gode l’ex sindaco di Roma sono roba da zerovigola, ma quel suo non confermato ma molto probabile “meglio perdere da soli che con lui” è comunque sintomatico.

Il tridente d’oro che ora tentenna

Roberto Vannacci (Foto: Giuliano Del Gatto © Imagoeconomica)

Chi ce la vorrebbe mettere, la faccia, su una scommessa che considera perdente e battezzare il proprio ritorno nell’agone politico con una scoppola? Merlo attribuisce al già alleanzino una frase in ordine alla presenza della Lega al centro e al sud d’Italia. “Lì la Lega non esiste più”. Se quella su cui contava Salvini è (o era) una trimurti, di certo il suo vertice era lui: la greca con il libro facile, il generale Vannacci.

Ebbene, dopo mesi di struscio grazie al cloudworker Andrea Crippa pare che anche l’autore de “Il Mondo al contrario” che di Bibbia Pop ne ha sfornata un’altra abbia rimesso il suo mondo dritto e si sia accorto del pericolo. Quello di passare da vincente per una certa Italia di coratella facile a perdente per aver scelto il “cuoco” sbagliato per fare il soffritto.

Oggi Vannacci, piaccia o meno, è forse il personaggio più quotato tra quelli che limonano con la politica del destracentro.

Alemanno si sfila e Vannacci è guardingo

Gianluigi Paragone (Foto: Imagoeconomica / Rocco Pettini)

E perdere appeal andandosi ad immolare sul destino elettorale mezzo annunciato e gramo della Lega non è la strategia vincente, non per uno che di strategia ci campa. E che saggiamente ha vissuto di “dico non dico” per mesi.

Pare che perfino Gianluigi Paragone stia cantando quella che Merlo indica come la strofetta del possibile de profundis del Carroccio. Cioè “La musica è finita, gli amici se ne vanno” di Franco Califano. Paradossalmente questa situazione potrebbe avvantaggiare i candidati di rango ma con meno lustrini, proprio perché se dall’Italia centrale togli teste di serie di questo calibro si aprono varchi ulteriori. Ed in quei varchi, se passi con la dote dei quasi 14.500 voti accumulati alle Regionali di un anno fa sul nome di Pasquale Ciacciarelli in provincia di Frosinone, sei già a metà del percorso.

Perché accumularne altrettanti a Roma non è impossibile: lo dimostrò anni fa un magistrale Alfredo Pallone dal quale Abbruzzese ha appreso molto in materia di relazioni romane, Questo significa, in iperbole, ovviamente, che Mario Abbruzzese “se la sta ridendo” per i guai della sua casa politica? Assolutamente no, per ovvia correttezza ed al netto della sua esperienza, anche a contare certi sondaggi di possibili comparaggi socialisti per Bruxelles.

Mario Abbruzzese

Ma non sono pochi quelli che giurerebbero che quanto meno non sta piangendo a dirotto. Perché certe briscole arrivano sia dalla tua mano che dall’abbandono dei giocatori al tavolo. Abbruzzese ha sempre detto che al tavolo avrebbe voluto il meglio possibile, da Vannacci a Giuseppe Cangemi: gente capace di portare preferenze potenzialmente micidiali per il candidato cassinate. Ma al tempo stesso quelle preferenze sono accompagnate da voti di lista santi e benedetti se si spera di far scattare il diritto ad incamerare un altro seggio europeo.

E non c’è niente di male nel vedere un bluff e prendersi un piatto su cui qualcun altro ha detto “me ne vado”. Perché un analista che analizza è cosa comune, ma un analista che ci prende è cosa rara. Assai.