La logica dell’aragosta e la Schlein pragmatica che “cuoce” Azione

Perché l'assemblea del partito di Calenda potrebbe diventare laboratorio per un Terzo Polo con innesto pragmantico dem

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

Quando in America erano popolate solo le colonie orientali e l’Ovest era un budello nero ed ignoto l’aragosta era una considerata una schifezza da povery. A dire il vero nella parte bassa della hit di padri pellegrini e discendenza ci era finito l’astice. Cioè un “mostro cheluto” che sulla coste del Maine era talmente abbondante da finire a tonnellate sulle spiagge, spinto da risacche giganti.

Quei crostacei giganti erano brutti e sottostavano ad una legge di mercato inesorabile: quando una roba è tanta costa pochissimo e se costa pochissimo allora è robaccia, fosse pure… aragosta. Le tribù native usavano gli astici interi come fertilizzante o esca per i pesci e gli americani li davano ai servi di casa. E a Boston una libbra di fagioli costava 35 cent, mentre l’equivalente di astice solo 11. Quando divenne preziosa l’aragosta? Quando le compagnie ferroviarie che via via si imbucavano tremebonde verso Ovest la iniziarono a servire sui treni perché costava pochissimo e molta gente la trovò “deliziosa”.

La nuova appetibilità di Carlo Calenda

Elly Schlein (Foto: Andrea Calandra © Imagoeconomica)

Il che significa, a volerci tirare fuori una mezza morale, che le cose diventano preziose a seconda di chi fa il prezzo, di dove le quoti e del perché si mangiano. Come con Elly Schlein ed Azione, e con la Segretaria dem che ha scoperto durante il suo viaggio all’opposizione che la formazione di Carlo Calenda forse una sua prelibatezza di fondo ce l’ha. Bisognava solo allontanarsi dalla “costa” delle singole botteghe partitiche, dove il paniere dei prodotti era diverso.

E soprattutto bisognava interagire con un Partito “spurgato” dal renzismo ma non da un certo buon senso dello stesso, senza impronte digitali perciò.

Ci sono cose su cui Elly e Carlo divergono in purezza, cose su cui convergono timidamente e cose per le quali l’accordo è praticamente perfetto. E dalla percentuale di incidenza di ognuna dipendono fattori e possibili scenari, di club, non più solo di parrocchia stretta. Si tratta di elementi non solo legati all’intervento della Dem all’assemblea di Azione, cioè ad una doverosa e sterile conta delle affinità elettive tanto per dire qualcosa “dai cugini prog”. No, nella polpa dell’aragosta calendiana la Schlein oggi ci vede la possibilità di afferrare ogni maniglia possibile per tenere una rotta compatta contro un governo Meloni forse mai debole come in queste settimane.

Ciao massimalismo, oggi si va giù pratici

Carlo Calenda (Foto: Andrea Panegrossi © Imagoeconomica)

Anche a costo di scordarsi che lei è più massimalista che centrista, e di farlo a discapito di una convergenza che ricorda molto il Pd che a Schlein proprio non piace, quello riformista. AdnKronos riporta ad esempio che “l’unità delle opposizioni si è registrata sul salario minimo, sul quale a breve Giorgia Meloni dovrà finalmente rispondere ai 3 milioni e mezzo di lavoratrici e lavoratori poveri su cosa intende fare il governo e la maggioranza”.

Schlein lì ha fatto l’ussara di prima fila ad ogni costo: “Noi andiamo avanti. Stiamo dialogando con le opposizioni anche sul tema della sanità pubblica, siamo preoccupati dalle prospettive di tagli previste in questa manovra”. Poco da fare però, quando devi puntare le convergenze la cosa migliore da fare è toglierti subito il dente delle differenze.

“Abbiamo le nostre differenze, ci mancherebbe, ma al di là di esse con un approccio pragmatico tante sono le questioni su cui noi possiamo lavorare insieme”. Eccola, l’aragosta, il cibo forzosamente messo in menu di ferrovia perché conveniente e diventato da gourmet proprio grazie al pauperismo d’origine.

L’alternativa “nel merito” a Meloni

Giorgia Meloni

Qualcuno insomma non storce più il naso e forse per la prima volta nella sua vita da segretaria del Nazareno Elly Schlein ha usato l’espressione “approccio pragmatico”. Cioè la nemesi del suo idealismo primevo e l’ammissione neanche tanto indiretta che qui in Italia per avere risultati servono più i compari che le cose alla Don Chisciotte. Non contro un destracentro fiacco ma per nulla domo. E per Schlein questo va fatto “dimostrando che c’è un’alternativa a questa destra, costruendola nel merito delle cose e non chiudendoci in una stanza provando, forse senza riuscirci mai, a starci simpatici”.

Poteva mancare il claim risorgivo sulla recente medaglia garganica? “Foggia lo dimostra . Dove riusciamo a costruire un perimetro con un programma coerente e mettere in campo una candidatura credibile, noi siamo in grado di tornare a vincere insieme.

In tema di economia siamo alla categoria due: quella delle convergenze tante ma non tutte, ed infilarsi nelle prime è saggio. “Vediamo una manovra senza visione, minimalista, incapace di ridare slancio all’economia. E non basteranno i fondi del Pnrr se non ci sono accanto politiche pubbliche che investono con coraggio sulla formazione, sullo sviluppo. Una manovra fragile con previsioni di crescita sovrastimate secondo tutti gli esperti”.

La colla forte della ratifica Mes

Matteo Salvini

In certe cose però serve molto più della Vinavil, serve una leva fatta di Bostik da falegname, roba grezza e forte. Forte come il tema Mes. A giugno e sulla ratifica osteggiata dalla fiscalità bucaniera di Matteo Salvini Calenda aveva detto una cosa molto chiara. “Dopo un balletto con l’Unione europea che ci saremmo potuti evitare, ci sarà un cambio di rotta, come su molte altre promesse elettorali. E se Meloni non avrà il sì della Lega, i voti arriveranno dall’opposizione. Schlein il tema un po’ lo aveva già in paniere e un po’ lo ha sventolato come mosca da torrente.

“Trovo incredibile che questo governo non abbia ancora ratificato il Mes, ne va della credibilità del nostro Paese. Il governo abbandoni la demagogia da quattro soldi e pensi seriamente alle ricadute sulla credibilità dell’Italia mentre si siede al tavolo di riforme importanti come la riforma del patto di stabilità”. Insomma, anche a contare il nodo della teoria calendiana per cui la deindustrializzazione in Italia ha colpe divise tra certi capitani d’industria e sindacato qualcosa potrebbe muoversi.

I toni alti da Cassino e il possibile ingombro

(Foto © DepositPhotos.com)

Le parole del leader di Azione da Cassino sulla crisi Stellantis e sulla combo cupa tra famiglia Agnelli, Maurizio Landini e Repubblica sull’automotive non sono state certo di pronta beva per un certo universo dem. Quello cioè che magari a puntare il dito contro “i padroni” ci starebbe pure, ma che mai come oggi ha bisogno di una Cgil in endorsement, specie come sparring per i moti di piazza in arrivo. Tuttavia l’impressione che dal Teatro Eliseo a Roma sia emersa una nuova possibile configurazione riformista e che il Terzo Polo stia peppiando su un nuovo fuoco resta.

Al netto dei suoi trascorsi col Pd Lettiano lo ha evocato Calenda nella tigna di lanciare un messaggio all’ex amico Renzi e lo ha sottinteso Schlein nella verve di fare lo stesso con l’ancora “amico” Bonaccini.

Lo hanno fatto come si fa con le aragoste, buone da morire e che cambiano colore quando le bolli.

Non troppo rosse ma non più grigie.