Casnar - Casinum - S. Pietro a monastero - Eulogimenopoli - San Germano - Cassino: le denominazioni topografiche di una città trimillenaria. Come siamo arrivati a chiamarla Cassino.
Il primo insediamento umano relativo al territorio dell’odierno Comune di Cassino risale all’età del ferro. Al rinvenimento di tracce della presenza dell’uomo paleolitico a Cassino, con una necropoli in località Campo di Porro, ha fatto seguito il ritrovamento di reperti dello stesso periodo. Su monte Puntiglio, alto circa 300 metri e sovrastante un «burrone noto sotto il nome di “burrone di Santa Scolastica”».
Un’area limitrofa all’Albaneta e a confine con Villa S. Lucia. Si tratta di una zona sacra i cui «oggetti appartenenti ad una stipe votiva» vennero rinvenuti casualmente nel 1917 dai soldati dell’Esercito austro-ungarico. Poi inviati a Cassino come prigionieri di guerra allo scopo di svolgere un’ampia opera di rimboschimento.
La Casnar dei Sabini
Tracce archeologiche testimoniano che il territorio di Cassino iniziò a essere popolato almeno fin dal VII secolo a.C. Primi furono gli Osci che si stanziarono alle falde di Montecassino e vi fondarono un agglomerato urbano. I Sabini (vittoriosi sugli Osci e subentrati a loro) chiamavano quella città con il nome di Casnar (in latino Cascum). Che, come scrive Marco Terenzio Varrone (ma è l’unico per la verità), nella loro lingua significava «antico». A loro volta i Sabini furono vinti dai Volsci.
Questi ultimi, dopo aver occupato la città, realizzarono un «poderoso sistema difensivo» che giungeva fino all’imponente acropoli di forma rettangolare. Era ubicata sulla sommità del monte Cassino e costruita «con mura poligonali o ciclopiche». Un centro religioso formato da vari templi dedicati ad Apollo, Giove, Venere.
Arrivano i Romani: ecco “Casinum”
La città e il territorio subirono quindi la dominazione dei fieri Sanniti e poi la conquista romana. L’ultima città latina (verso sud-est) del Latium adiectum o Latium novum (Lazio aggiunto o Lazio nuovo, l’area di espansione coloniale a sud di Roma) era il preesistente agglomerato urbano osco-sabino-volsco. Agglomerato che i romani definivano con il nome di Casinum. Era un importante centro attraversato dalla via Latina. E per oltre sei secoli (dal 272 a.C. fino alla caduta dell’Impero Romano nel 476 d.C.) ha fatto parte dell’Impero Romano. Fu elevato anche al rango di municipium che raggiunse il massimo del suo splendore tra il I secolo a.C. e il III secolo d.C.
A partire dal V secolo la città visse un periodo di grave declino causato dal susseguirsi di invasioni barbariche con annesse devastazioni. Casinum subì la semidistruzione da parte di Goti di Teodorico nel 410. La città fu trasformata in un oppidum o castrum cioè in un abitato fortificato. Anche se gli abitanti erano pronti a fuggire sui monti al momento dell’arrivo dei nemici e a far ritorno nelle proprie case quando il pericolo era passato.
Via la gente, ecco San Pietro a monastero
Tuttavia lo spopolamento fu tale che la Casinum d’un tempo si ridusse a un piccolo centro, a un borgo, il Castrum Casini. Toponimo ben presto caduto in disuso e sostituito dalla denominazione di «San Pietro a monastero». Così nel medioevo il termine Casinum sopravvisse solo per indicare Montecassino (Mons Casini). Oltre all’aggettivo casinensis riferito ai monaci benedettini di Montecassino e alle loro opere. Invece San Pietro a monastero è un toponimo che attestava la presenza nelle vicinanze del cenobio di Montecassino di una chiesa.
Frutto di trasformazione di un precedente tempio pagano, fatto riconvertire nel 750 da Scauniperga, moglie di Gisulfo II duca di Benevento. Lo fu in edificio cristiano dedicato a S. Pietro, alla Beata Vergine e a S. Michele. Va ricordato pure che nell’edificazione successiva alle distruzioni della Seconda guerra mondiale fu eretta nel popoloso quartiere del Colosseo, all’ingresso nord della città, una nuova chiesa (e parrocchia). Ad essa fu data la titolazione di San Pietro (inizialmente in Castro poi modificata in Apostolo) proprio per ricordare l’edificio religioso originario di San Pietro e la città di San Pietro a monastero preesistenti di un millennio. E che sorgevano a pochissima distanza dal nuovo sito urbano.
Eulogimenopoli-San Germano
A metà del secolo VIII l’abate Potone (771-778) fece costruire alle pendici del monte Cassino, al di sotto del colle Janolo, sulle rive del Rapido, una piccola chiesa dedicata a S. Benedetto. Un atto che si va ricollegare con la nascita dell’odierna città. Infatti nel corso dei decenni successivi attorno alla chiesa cominciarono a sorgere varie strutture edilizie. Quelle e nuovi edifici religiosi come la basilica di Santa Maria delle cinque torri o del Riparo con ampio atrio frontale e campanile.
Così come al posto della piccola chiesa precedente di S. Benedetto fu edificata una nuova basilica, giudicata «splendida», munita di un «campanile bellissimo». L’ingrandito edificio religioso mutò nome in basilica del Santo Salvatore e nelle sue vicinanze vennero costruiti «molti, molto grandi e bei locali per i diversi uffici» dell’abate e dei monaci.
Tale complesso edilizio già si prestava di per sé «eccellentemente alla difesa, essendo protetto alle spalle dall’aspra roccia del colle Janolo, e di fronte dal corso del fiume Rapido». Ma l’abate Bertario, al fine di premunirsi dagli assalti dei Saraceni, iniziò un’opera di consolidamento delle difese del complesso edilizio. Lo fece «recingendolo di mura e torri come un castello». All’interno si andò sviluppando un agglomerato urbano, una nuova città.
Città che lo stesso abate Bertario volle chiamare con il termine grecizzante di «Eulogimenopoli» cioè «città di Benedetto».. Un nome inconsueto, erudito e anche di difficile pronunzia. Ma che «avrebbe certo finito coll’affermarsi, magari nella più accessibile forma latina» di Eulogimenopolis «se non fosse intervenuto un fatto che determinò il rapido prevalere di tutt’altro toponimo».
L’arrivo della reliquia
Infatti nell’873 giunse in città l’imperatore Ludovico II. Che dopo aver tolto l’assedio a Capua stava facendo ritorno in Francia con al suo seguito il corpo di san Germano, già vescovo di Capua. Giunto a Montecassino e a Eulogimenopoli l’abate Bertario chiese in dono all’imperatore una reliquia del santo in memoria dell’antica amicizia con San Benedetto. Il quale dalla sua cella di Montecassino aveva visto «impetrarsi» il vescovo Germano, cioè l’ascendere in cielo dell’anima come una palla di fuoco al momento della sua morte.
Così Ludovico II lasciò come reliquie un dito della mano e forse anche il cranio che furono poste nella basilica di San Salvatore (andate disperse un millennio più tardi con il passaggio delle armate repubblicane francesi nel 1799). Dopo la partenza dell’imperatore Ludovico II, la devozione popolare a Eulogimenopoli cominciò a indirizzarsi verso S. Germano. Questo pure con il favore, «probabilmente, dei principi di Capua, nella cui sfera d’influenza Montecassino veniva a trovarsi a quei tempi».
Gradualmente si venne ad affermare una nuova titolazione sia per la basilica che prese il nome di Collegiata di San Germano vescovo. Sia per la città con la denominazione di Eulogimenopoli che si tramutò in San Germano. Quando si sia venuta a determinare la modifica nel nome della città non è ancora stato ben chiarito. Se, cioè, si sia verificata subito dopo il transito di Ludovico II oppure se bisogna attendere circa centocinquanta anni. Cioè quando i monaci cassinesi fecero ritorno dall’esilio di Teano e Capua con l’abate Atenolfo (1011-1022).
San Germano e la Rocca Janula
Che sul finire del suo mandato dette un notevole impulso alla costruzione della città, e, racchiudendola entro mura, compresa anche l’incorporazione di Rocca Janula, la rese più sicura con conseguente aumento degli abitanti. Va anche ricordato che quando si giunse alla fondazione della città di Eulogimenopoli, poi S. Germano, il borgo di S. Pietro a monastero non si era estinto. E i due centri abitati coesistettero per circa settecento anni, «dal nono secolo» fino al 1600.
In sostanza le due popolazioni urbane di S. Germano e di S. Pietro erano distinte sul piano amministrativo. Gli abitanti di S. Pietro in taluni documenti avevano il titolo di «Civitas Casini» che non spettava a quei tempi ai componenti della «Civitas S. Germani».
Per circa nove secoli, decennio più, decennio meno, la città si attestò con il nome di San Germano. Lo fece ampliandosi e ingrandendosi (l’urbanizzazione, anche per questioni di sicurezza in epoca medievale, si sviluppò risalendo le pendici del colle Janulo e poi interessando parte della piana sottostante). Incrementandosi demograficamente, aumentando la sua importanza (fu capitale dello Stato monastico della «Terra Sancti Benedicti». Denominazione che a partire dal XVI fu sostituita da quella di «Stato della città di S. Germano» andatasi poi perdendo dopo il 1669).
Il momento di “riannodare la storia” con Cassino
Quando poi si giunse all’Unità d’Italia, ufficializzata il 17 marzo 1861, gli amministratori di San Germano decisero di avvalersi dall’opportunità offerta dalle nuove istituzioni italiane. Che, al fine di evitare omonimie dei nomi di città e paesi, avevano sollecitato le comunità locali a provvedere ad aggiungere un elemento di caratterizzazione alla denominazione del proprio Comune. Però gli amministratori comunali decisero non di aggiungere al nome del Comune un toponimo caratterizzante ma di cambiare totalmente la sua denominazione.
Probabilmente ritennero che, nel momento in cui si andava ad aprire una nuova era, definita dalla fine del Regno di Napoli o delle Due Sicilie e dall’inizio del Regno d’Italia, fosse giunto il momento. Momento «di riannodare la storia del loro tempo a quella prestigiosa dell’antica Casinum». Così centosessanta anni fa, il 23 maggio 1863, il Consiglio comunale decise di abbandonare il nome medievale della città. E che per circa mille anni l’aveva definita, per riappropriarsi di quello più antico.
Nella Delibera comunale si legge che essa non poteva «prenderne altro che quello di Cassino, sì perché questi è il nome che avea la Città da cui ha origine Sangermano. Sì perché così è tuttavia chiamato il Monte alle cui falde giace la nuova Città, in ultimo perché questo nome si rannoda ai tempi gloriosi della nostra Italia, la quale col senno e con la mano seppe addivenire la Regina del Mondo». Con l’autorizzazione regia data con Decreto 26 luglio 1863 n. 1425 si venne definitivamente a perdere la denominazione di San Germano. Sostituita da quella di Cassino.
La doppia “s” e Carettoni
Gli amministratori comunali, dunque, per il nome della città optarono per la versione «“dotta” medioevale con la doppia “ss”». Cioè per «Cassino» e non per «Casino». D’altra parte, come scrive l’archeologo Gian Filippo Carettoni «Casinum è il nome usato dagli autori di età aurea. Mentre in quelli più tardi come Giulio Ossequente, troviamo Cassinum, con doppia sibilante». Parimenti la versione con doppia sibilante è utilizzata ad esempio da F. Leandro Alberti nel volume Descrittione di tutta Italia del 1550. Oppure, due secoli più tardi, dall’archivista cassinese Erasmo Gattola.
Anche se, per la verità, continuò a coesistere anche la versione di «Casino». Basti ricordare il celebre verso 37 del canto XXII del Paradiso di Dante Alighieri. Verso che nell’edizione del Codice cassinese 512 della Commedia (quello della cosiddetta vulgata) riporta: «quel monte a cui Casino è nella costa».
Cassino «città martire per la pace»
La Seconda guerra mondiale ha segnato profondamente il destino di Cassino. Fu oggetto di continui bombardamenti e cannoneggiamenti da parte degli Eserciti alleati. Lo fu dal primo del 10 settembre 1943 fino alla sua distruzione totale il 15 marzo 1944 quando si compì il suo amaro destino. Nei mesi successivi alla liberazione fu avviata l’opera di ricostruzione dell’abitato. Un’opera lenta e difficile anche per la presenza di enormi quantità di materiali bellici inesplosi. O per la recrudescenza di malattie endemiche come la malaria.
La nuova Cassino sorse solo in parte sulle ceneri della vecchia città. Infatti Cassino prebellica, continuatrice della medievale San Germano, era in parte abbarbicata lungo le pendici del colle Janulo. E in parte si estendeva nella piana sottostante. Invece la nuova città post bellica che si andava formando con la ricostruzione abbandonò il sito medioevale collinare. Questo per estendersi nell’ampia pianura alla base del sacro monte.
Nelle richieste e nelle istanze inviate alle autorità del tempo alla ricerca di aiuti e soccorsi per i suoi concittadini, fin dall’inizio della sua attività amministrativa, Gaetano Di Biasio definiva Cassino come «Città sacrificata». E «Città martire» in quanto era divenuta una «terra murata di sangue e di martirio» dopo aver conosciuto «sette lunghi mesi d’inesauribile martirio». Così per sollecitazione dello stesso primo sindaco della ricostruzione, il Consiglio comunale di Cassino nella seduta del 7 febbraio 1947 decise. Decise di affiancare alla denominazione topografica quella di «Città martire», deliberazione recepita dallo Statuto comunale che, appunto, definisce Cassino come «città martire».
Da Di Biasio a D’Onorio: Cassino Martire
Poi Cassino è stata ricompresa nell’«Unione Mondiale delle Città Martiri, Città della Pace». I delegati provenienti da tutti continenti si sono riuniti nella Collegiata di San Germano vescovo (Chiesa madre, oggi concattedrale) il 15 marzo 1994 (nel 50° anniversario della distruzione) per lanciare l’«Appello per un mondo fraterno». Appello sottoscritto nelle mani del padre abate di Montecassino mons. Bernardo D’Onorio, assumendo la titolazione di Cassino «città martire per la pace».
Francesco Acciaccarelli (1855-1896) il poeta-fabbro come si autodefiniva, in conclusione della sua poesia intitolata Uno sguardo ed un pensiero a Cassino scriveva. «Salve o Patria! [Cassino] / Possa il ciel serbarti illese / Le reliquie gloriose. / Maledetto chi non ama / Il tuo bene, il tuo decor». (Leggi anche: Montecassino, il Tesoro di San Gennaro e il suo salvataggio)