La morte a via Aldo Moro vista da un prete chiamato Ambrogio Spreafico

La città sotto la cappa del crimine ed una comunità che chiede giustizia. Ma che dovrebbe anche cooperare per realizzarla

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

Ma che ne sanno i preti, che ne sanno della vita vera, della violenza? E dell’angoscia di viverle entrambe a casa tua, di sera e con i tuoi figli in giro per una città che credevi immune da quel che la televisione ti mostra nel tepore del salotto? Accade un fatto, qualcuno piange, qualcuno muore e qualcun altro ha paura ed ecco che ti spuntano loro. E ti vogliono fare “il sermone” con parole alte, troppo alte per vedere qualche accade in strada. La pensiamo più o meno così, quasi tutti.

Siamo rabidi ed affamati di soluzioni terrigene, pratiche e immediate. E come al solito sbagliamo. Lo pensiamo dentro, in quell’intimo solone che ognuno di noi si tiene accovacciato sul petto ogni volta che la cronaca nera esce dai media ed arriva a dare testate improvvise ed agghiaccianti alla nostra vita. La nostra, non quella degli altri a Macerata, Gela o Sirmione. No no, proprio qui, a Frosinone, in centro, dove pensavamo tutti di poter continuare ad essere spettatori delle pistolettate di altri.

Sei spari proprio in mezzo a noi

Poi qualcuno spara sei volte in mezzo a noi, ci svegliamo tutti e quel sangue a terra ci spara in faccia le cose come stanno e non come sarebbero potute essere. E’ l’indicativo dell’orrore a tre dimensioni che prende il posto del condizionale disegnato. (Leggi qui: Gli spari allo Shake ed il sepolcro di Frosinone).

E loro no, i preti proprio non lo sanno quanto possa far male accorgersi che hai cambiato modo verbale. Perché non hanno gli strumenti per risolvere e perché ad essi noi non attribuiamo le skill per analizzare il fenomeno. Questo, più o meno, ci diciamo in pancia.

Certo, preghiamo più o meno tutti, ma qui, adesso, non è il momento di pregare, è il momento di agire. Soggetto, predicato e complemento: la politica sconfigga la violenza. Tutto qua, troppo stretto per farci entrare un prete, anche se è vescovo. Anche se si chiama Ambrogio Spreafico ed è capace di equalizzarsi con i dolori della gente molto più di quanto la gente stessa non sappia.

L’esempio del poverello di Assisi

“Dove è tristezza, che io porti la gioia; dove sono le tenebre, che io porti la luce”. E’ la “preghiera semplice” attribuita a San Francesco, cioè ad uno che le strade e le loro insidie le sapeva. Uno che non guardava le miserie del mondo dall’alto, ma che se le era assorellate. Aveva capito che il solo modo per sconfiggere le brutture era chiamarle, Francesco. E che per sconfiggere il diavolo gli dovevi dire che volevi bene anche a lui, così uscivi dal suo protocollo di cattiveria e lui moriva spiazzato sul suo stesso terreno.

Quindi niente orrore? Niente giusta punizione per un criminale reoconfesso che uccidendo un suo simile ha suggellato il patto nero tra le ghenghe e la vie di Frosinone? No, affatto, non è questo il punto. Il punto è che la società ha il dovere di rispondere a certi fenomeni con ogni mezzo. E che anche un momento di preghiera è uno di quei mezzi.

Agire coralmente non è sfumatura

Il vescovo Ambrogio Spreafico

Noi abbiamo perso per gran parte il senso delle sfumature e magari questo non è (ancora) il momento dei sofismi. Troppa rabbia, troppa paura. Ma il senso è proprio quello: raccogliersi come sistema complesso al capezzale di una comunità che he perso le sue chiavi di lettura non è roba sofistica. E’ utile, è giusto. Perché mette un popolo di fronte al suo bisogno di pace. Quella pace che si invoca “nelle tue mura, sicurezza nei tuoi palazzi”. Sì, assieme ai summit in Questura e Comune, assieme al lavoro in procura anche il Salmo 122 è un mezzo.

Più sottile ma guai a considerarlo accessorio, anche per chi non crede. Perché tutti vogliamo quiete e figli al sicuro, e chiunque la invochi nel nome di chiunque è nel novero dei giusti. Spreafico, prete e uomo, lo sa. E sa anche che l’inerzia degli uomini è disvalore sociale. “Il mondo è pieno di violenza. E davanti alla violenza tante volte, oltre a condannarla come è giusto che sia e a a perseguire coloro che la compiono attraverso le persone preposte a farlo e che lo fanno bene, noi non facciamo niente.

Come si allontana il male: assieme

Un endorsement all’attacco per chi non ha vigilato sul capoluogo ciociaro? Non proprio, qui la faccenda è più sottile. “Ma poi ci siamo proprio noi, uomini e donne che vivono in questo mondo e in questa terra amata. E allora: basta condannare e giudicare? E’ facile essere giudici, ma è un tipico modo per allontanare il male. Ma il male resta!. Come fa a restare il male se noi per primi lo esecriamo e chiediamo giustizia e sicurezza quando va in epifania sanguinolenta nelle nostre strade? Perché il trucco malevolo è sempre lo stesso.

Ci accorgiamo tridimensionalmente del male quando ci bussa all’uscio ma mai o poco di quando rumoreggia dietro altre porte. E’ oggi che Frosinone vuole giustizia e sicurezza, oggi che l’ha persa lei. Ma ieri? Quando via Aldo Moro era solo vasca da struscio con sintomi, ma non con prove della violenza? “Noi invece dimentichiamo che il male esiste. E allora non possiamo restare indifferenti come spesso accade. Chi si ricorda dell’Afghanistan o della Siria? A malapena lo facciamo con la guerra in Ucraina, quando papa Francesco invoca la pace e magari si riaccende il dibattito”.

Risse e bullismo a via Aldo Moro

Perché alla fine “noi siamo così: basta che il male non ci tocca e sono a posto. Ma dimenticare e far finta di niente non è giusto!”. Ma davvero questo prete qua vorrebbe equiparare l’Ucraina a Frosinone e pretendere che si abbia la stessa empatia tra i morti della tv ed un morto ammazzato con i nostri figli a sei metri? Esatto, sì, è proprio quello che vuole quel prete là. E sa benissimo che è difficile, quasi impossibile ma urgente. Come sa che il solo modo per battere il male è combatterlo su ogni campo, in ogni luogo.

Con la stessa forza, con la stessa determinazione, con gli stessi principi. Perché il mondo è sistema e lavorare su un piano solo delle sue storia è inutile. “Bisogna fare il bene, perché altrimenti questo mondo diventa un inferno”.

Non rifugge il locale e le cose evidenti, Spreafico, non vuole fare filosofia morale e sa che non è questo il momento. “Nelle nostre città, poi, la violenza non è solo quella dell’altra sera. In via Aldo Moro non è che non succedono mai risse o atti di bullismo. E lo dico non per parlar male, ma perché bisogna essere vigili”.

La vita sociale ha questo grave difetto: va in analisi solo quando di un fenomeno si è arrivati all’akmè, al momento topico, al crimine di punta. Ma nella medietà del male potenziale per lo più ci si sguazza. Pochi denunciano eppure siamo pieni di telefonini, pochissimi agiscono per mandato pubblico e quasi nessuno si pone il problema prima che figli tragedie. A parto nero avvenuto poi sale l’onda.

Cosa succede se si perde il controllo

(Foto © DepositPhotos.com https://it.depositphotos.com/stock-photography.html)

“Per questo siamo qui, perché dobbiamo cambiare noi stessi, rispondere al male con il bene! Il male è furbo: se lo lasci entrare, poi ti prende e non ti molla più, come la droga che gira, l’alcool, il gioco d’azzardo…. Ma davvero siamo velatamente correi noi di una guerra tra bande che poteva stenderci i figli? No, quel prete là non lo ha detto. Ma ha detto una cosa ancora più grande ed impegnativa, una cosa quasi laica.

Che tra pregare dopo una tragedia ed agire prima della stessa ci sta rannicchiato l’Uomo. Giusto in mezzo. E che può fare molto di più che rammaricarsi per l’accaduto: può agire affinché non accada. O provarci di più, sempre, costantemente. Con tutti gli strumenti che la società gli mette a disposizione.

E con la guida di un’etica militante, credenti o meno che si sia. Soggetto, predicato, complemento, magari con un avverbio in più. Anche i frusinati sconfiggano la violenza. Lo diceva Emanuele Severino: c’è Dio e c’è “più di Dio”. C’è l’uomo e quel che può fare. Quel che deve fare.