La testa sotto la sabbia di Alatri

Nessuno provi a dire che lo sparo di Alatri è stata una questione tra bande di ragazzi. Non lo consente il contesto, non lo permettono i precedenti. C'è un malessere più profondo. Che non c'entra con il covid. Che non è isolato alla città. E non possiamo continuare a tenere la testa sotto la sabbia

Alessio Porcu

Ad majorem Dei gloriam

Se non avesse premuto il grilletto, se non avesse sparato e poi fosse fuggito su uno scooter scomparendo nel buio della nella notte. Saremmo ancora qui a prenderci in giro, al caldo della nostra copertina e con il caffè in mano raccontandoci che tutto va bene. Invece no. A sbatterci in faccia la realtà è un assassinio compiuto a sangue freddo nel pieno centro di Alatri a duecento metri dal posto in cui cinque anni fa venne massacrato Emanuele Morganti: pestato a morte per una banalissima discussione nata in un locale su chi dovesse essere servito prima.

Stessa Alatri, stesso film

Ci sono dettagli che faranno la differenza nel corso di un processo. Quegli stessi dettagli fuori dal tribunale non cambiano le cose. Ad esempio: le perizie balistiche e quelle cinematiche diranno se chi ha ucciso dalla sella di un T-Max scuro ha mirato alla testa di un ragazzo di 18 anni attraversandola da parte a parte per uccidere; oppure se lo ha fatto solo per mandare un avvertimento con il piombo: sparando da un parcheggio e mirando verso l’alto dove c’era il gruppo di avversari, colpendo solo per un caso. O se abbia sbagliato obiettivo.

In udienza fa differenza. Fuori no. Perché al San Camillo di Roma c’è il corpo di un diciottenne in stato di morte cerebrale; c’è qualcuno che gli ha sparato ed ha le ore contate, se questa volta le telecamere avranno funzionato meglio di quelle messe cinque anni fa. C’è soprattutto un elemento incontrovertibile: non è stato un caso, non è un delitto nato dal nulla. No: non andava tutto bene ad Alatri. Come non va tutto bene negli altri Comuni della provincia di Frosinone. Non va bene negli altri centri di buona parte dell’Italia.

Ma quale fulmine a ciel sereno

Tutto si potrà dire: non che è stato ‘un fulmine a ciel sereno‘. No perché giovedì poco prima della mezzanotte ci sono stati calci e spintoni davanti ad un locale tra ragazzi di Alatri ed altri di Frosinone. E sabato in pieno pomeriggio, sempre in centro, un gruppo arrivato da Frosinone ha sfasciato i tavolini di un bar e picchiato due ragazzini di Alatri. Che avevano più o meno la stessa età del diciottenne assassinato ieri. Non una scazzottata di quelle che a diciotto anni possono succedere: perché c’è chi racconta che uno è rimasto appeso nel vuoto, aggrappato ad un parapetto mentre gli altri picchiavano con una spranga sulle mani per fargli mollare la presa e cadere tre metri più giù.

Non va bene perché nessuno ha taciuto. Perché nessuno è stato zitto ed ha nascosto. Non c’è stato chi ha messo la testa sotto la sabbia. L’allarme è stato lanciato. Messo nero su bianco dal sindaco di Alatri: che ha inviato una Pec ai carabinieri segnalando tutto, esprimendo la sua preoccupazione, chiedendo di fare il possibile.

Sta tutto qui lo sfascio di un Paese. Sta tra quella Pec e quello che è stato possibile fare a degli uomini in divisa per mettere una pezza ad un mondo che sta marcendo. Non può arrivare dai carabinieri la risposta ad una città nella quale un ragazzo viene massacrato all’uscita di un locale semplicemente per un bicchierino servito prima ad uno o ad un altro. Non possono essere le divise a farsi carico di un fallimento che è di dimensione nazionale. Nemmeno se avessero l’aiuto delle telecamere, dei satelliti spia, dell’esercito a cavallo.

Le fondamenta marce

Foto Claudio Papetti

Non si dia la colpa al Covid, nessuno provi a dire che ci siamo risvegliati più cattivi dopo due anni chiusi dentro. Perché Emanuele Morganti è stato assassinato prima che i pipistrelli finissero tra le carni selvatiche nel mercato di Wuhan. (Leggi qui La Deposizione di Emanuele, l’Innocente ucciso dalla cattiveria degli uomini).

Sono le fondamenta ad essere molli. E non conta se ci sia un ministro dell’Interno o un alto, non conta se a palazzo Chigi ci sia una donna o un uomo, non conta se sia di destra o di sinistra. Il caso di Alatri è identico a quello di tante altre piazze. Nessuno finga di non ricordare i colpi di pistola esplosi tra ragazzi in strada a Cassino. Nessuno provi a dire che c’è il controllo dello Stato. Non c’è. Non c’è ad Alatri, non c’è a Cassino, non c’è in tantissime piazze d’Italia. E chi pensa sia un’esagerazione, prima di parlare digiti su Google le parole derubato polizia impossibile recuperare campo rom‘.

Il luogo dello sparo (Foto Claudio Tofani)

Sono fondamenta marce se a dare l’esempio sono insegnanti che picchiano ed insultano insegnando il linguaggio della violenza anziché quello delle lettere, della poesia, della pazienza. Sono putride se negli uffici dello Stato c’è chi non è capace di risolvere un tuo banalissimo problema ed è più facile respingerti l’istanza, mandandola avanti al prossimo grado di valutazione sperando che lì ci sia uno competente. Marcio è un sistema che non si corregge: perché dappertutto c’è qualcosa che può essere migliorato o deve proprio essere cambiata. Ma noi mettiamo la testa sotto la sabbia e preferiamo dire che va bene così. Che va tutto bene.

Questo Paese ha le fondamenta marce e sta affondando. Perché a diciotto anni dovresti avere in testa solo il futuro, quello che vuoi costruire con la rabbia e con le tue mani, studiando o lavorando poco conta. Ma dovresti avere voglia di un domani. Che non è un colpo di pistola con cui uccidere o spaventare. Solo premendo un grilletto.