La vicecapolista Elly che schiuderebbe la corsa Ue a Nicola Zingaretti

Alle Europee non basta che il Pd vinca e non sfiguri, ma che a farlo sia proprio "quel" Pd della segretaria. Che potrebbe correre ma schiudendo spazi

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

I conti amari di uno che alla Pisana c’è stato da Presidente erano arrivati in zona ernica. “1,2 miliardi di opere pubbliche sottratti al Lazio” dal taglio nazionale. Sarebbero “2500 progetti in tutto”, 600 dei quali avrebbero riguardato la Provincia di Frosinone per un importo “di 179 milioni”. Lo diceva Nicola Zingaretti intervenendo alla Festa de l’Unità a Veroli, ad inizio settembre 2023. E quello era un primo segnale. Di cosa? Della capacità quanto meno di stare sul pezzo nelle faccende di politica concreta, esattamente dove lui aveva piazzato bandierine.

Poi era arrivato il voto nazionale, Giorgia Meloni in arcione al Paese ed in questi giorni è arrivata la polemica con il ministro Giuseppe Valditara. Quella sugli atti vandalici a scuola e sulle suggestioni repressive del titolate di dicastero. Cioè una cosa molto ma molto delicata ma al tempo stesso molto ma molto funzionale ad un ritorno massiccio sul mainstream.

Il pressing su Zingaretti

Tutto questo mentre alcuni media, Repubblica in primis, hanno iniziato ad usare la parola “pressing” a proposito dell’esponente Dem. Su cosa? Sulla possibilità concreta che Nicola Zingaretti sia uomo di punta del Nazareno per le Europee nella circoscrizione dell’Italia Centrale.

Tutto quadra insomma tranne due cose, due fattori cruciali. Quello che potremmo chiamare il fattore assertivo, con il diretto interessato cioè che conferma la rotta. E poi quello che potremmo chiamare il “fattore Elly”, e qui la cosa si complica, alla maniera ormai nota del Pd che le cose facili proprio non riesce a farsele piacere.

La mission europea del Nazareno

Elly Schlein (Foto: Giulia Palmigiani © Imagoeconomica)

Andiamo di recap: il Partito Democratico, che in queste ore in Sardegna sta scommettendo sul campo largo, ha l’obbligo quanto meno di non scendere sotto il 20%. Quello assegnatogli dai sondaggi di ieri al voto di giugno. E non è solo obbligo di prammatica della seconda forza politica del paese e della prima progressista.

E’ qualcosa di molto più sottile, che riguarda la natura composita di una formazione in cui la leader è massimalista. Donna al comando cioè scelta con le primarie da una base larghissima, mentre molti degli iscritti sono riformisti, cioè fautori di una linea politica in antitesi con quella della “capa”.

Non solo il Pd deve vincere dunque, ma deve vincere anche quel Pd là, quello di Elly Schlein, altrimenti a voto archiviato di fresco spunteranno i lunghi coltelli degli avversari interni. E qui il tutto si complica maledettamente, perché preparare le liste per le Europee è di fatto il più grosso grattacapo del mondo. Lo è per una Segretaria che su ideologico e concettuale è prima della classe, ma che su tattica e bandierine puntate sulla cartina paga pegno.

Taruffi e Bonafoni: tocca a voi

Danilo grossi con Marta Bonafoni

Per questo motivo Schlein ha chiamato come luogotenenti operativi due esponenti molto vicini a lei, e molto fidati. Il primo è il master dell’organizzazione interna dem, Igor Taruffi, la seconda è Marta Bonafoni. La coordinatrice di segreteria è consigliera alla Pisana, ha come sparring l’assessore alla Cultura cassinate Danilo Grossi ed è donna molto vicina alla Schlein. Lo scenario dunque è quello di una leader che deve mettere la spunta alle donne ed agli uomini da far correre in Europa, e che deve farlo con un calibro millesimale.

Il tutto con il dato crudo per cui se Schlein non approva nulla si approva. Ed è molto più che burocrazia di vertice, è il possibile viatico ad una segreteria che duri oltre giugno, quindi è una scommessa anche interna. Roba quindi da far tremare i polsi perché ogni scelta è direttamente connessa agli umori delle correnti. E c’è un dato cardine: quello per cui una Schlein capolista nel Pd non è piaciuta quasi a nessuno. Neanche a Romano Prodi.

Capolista? “Non ci piace”

Vincenzo De Luca

Perché? Ovvio: perché in virtù delle quote rosa molte donne del partito si sarebbero trovate fuori, perché non pochi big ci avrebbero fatto la parte dei gregari. E perché Schlein non è forte dappertutto come forte lo è il Pd. In particolare al Sud, dove come spiega Il Foglio “i due governatori Vincenzo De Luca e Michele Emiliano potrebbero far convergere i loro consensi su un altro candidato facendolo risultare più votato della segretaria”. I due non sono proprio sodali con Schlein, il primo è ormai in versione barricadera e turpiloquiante da sultano autonomo e il trappolone è molto più che un’ipotesi di scuola.

Come la mettiamo dunque, anche a far la tara a quelli che vorrebbero Schlein capolista nella speranza di farla immolare su un voto deficitario e riaprire i giochi di vertice?

“L’idea, perciò, è quella di candidarsi dovunque, ma mai capolista. Un modo per dimostrare che non intende personalizzare la contesa elettorale, né tanto meno avere una gestione leaderistica del partito”.

Via il leaderismo, non siamo a FdI

Giorgia Meloni

Strategicamente la cosa avrebbe un suo peso concettuale. Una leader che non si mettesse in scia di Giorgia Meloni apparirebbe più sicura del sistema complesso che guida di quanto non lo sia del suo carisma personale, una cosa molto “dem”.

E soprattutto, con la sconfessione del “partito personale” si aprirebbero praterie per quelli che vedrebbero legittimamente il partito collegiale come un mustang a cui andare in arcione e non un cavalluccio da giostra.

Quelli come Nicola Zingaretti che, “dicono i dem romani bene informati, è pronto a cambiare idea e a rispondere di si all’offerta di una candidatura che gli verrà rivolta da Elly Schlein”.

Le voci romane sul sì di Nicola

Il guaio in casa dem e la conseguente necessità di mettere in campo gente quadrata sta anche nel trappolone delle cosiddette “candidature etiche”. Come quella di Gino Cecchettin ad esempio. Il padre della ragazza uccisa dall’ex “potrebbe candidarsi alle elezioni con il Pd nella circoscrizione del Nord Est”. E la cosa piace molto ad un profeta dei diritti civili come Alessandro Zan, che ad aprile sarà ad Anagni per “benedire” la nuova segreteria locale di Francesco Sordo.

Alessandro Zan (Foto: Sara Minelli / Imagoeconomica)

E qui le due direttrici madri della faccenda si palesano: c’è un Pd concettuale e “paladino” che vuol dare il suo imprinting alle Europee e c’è un Pd concreto e funzionalista che sa benissimo che le Europee sono scacchiera dove non sono concessi errori di idealismo in purezza. Un sì di Nicola Zingaretti ed un “si proceda” della segretaria rappresenterebbero una rotta chiara.

Quella con la quale al Nazareno hanno capito che in ballo a giugno non ci sono solo vittoria o sconfitta di un partito, ma l’esistenza stessa dei criteri con cui quel partito si è strutturato in vertice dal febbraio 2023.

Una doppia battaglia che per i dem è loop sempiterno. Una ricchezza di voci a cui però troppo spesso corrisponde una povertà di risultati. Ed essere diversi nell’unità è un lusso che puoi portarti fino ad un certo punto sulla soglia di un’urna elettorale.