Le Province tornano dal 2025. Pompeo: «Fu sbagliato riformarle»

Le Province verranno riformate e torneranno come erano prima della Delrio. L'indiscrezione da Palazzo Madama. La data: il 2025. La visione di Pompeo. Gli errori commessi. I risparmi inutili

La data c’è, i soldi mancano ma è stato detto di trovarli: nel 2025 le Province torneranno come erano prima della riforma Delrio voluta con forza da Matteo Renzi. Nessuna ufficialità ma è l’indicazione politica che circola all’interno di Fratelli d’Italia a Palazzo Madama. Giurano che ha incassato il placet di Giorgia Meloni, altri si spingono ad assicurare che è stata proprio lei a volerlo.

In commissione Bilancio hanno messo in allerta il presidente Nicola Calandrini: da qui ad un anno deve trovare le risorse con cui restituire alle Province le mansioni che sono state tolte con le riforme.

La vittoria di Checco

Nicola Calandrini

Fu profetico Checco Zalone con il suo irresistibile film Quo Vado e l’esilarante difesa a tutti i costi del ‘posto fisso‘ in Provincia. Nei giorni della riforma non furono solo i ‘posto fisso‘ ad avere sconvolta la vita: ci furono decine di Presidenti eletti con il nuovo metodo che assegnava il voto. E che si trovarono a governare un immenso scatolone svuotato di competenze: una sorta di castello vuoto che attendeva solo la chiusura definitiva affidata ad un referendum.

Tra loro ci fu Antonio Pompeo, che dal suo ufficio di piazza Gramsci a Frosinone decise di percorrere un’altra via. E cioè trovare un ruolo nuovo per le province riformate. E nel frattempo provò a controriformarle: la sua proposta, cesellata dai tavoli dell’Unione Province d’Italia, non arrivò al voto in Parlamento solo per il prematuro affondamento del governo Draghi.

Presidente, 2014 – 2024  sono dieci anni di Delrio. Una riforma che in realtà affonda le sue radici ancor prima
(Foto © Stefano Strani)

Era il sette aprile 2014 quando con l’entrata in vigore la legge 56/2014 si diede inizio al percorso di svuotamento delle Province con l’intento poi, da lì ad un paio di anni, di cancellarle definitivamente dalla carta costituzionale. In realtà però la riforma di questi enti è stato il manifesto politico di tutti i Governi che si sono susseguiti a partire almeno dal 2008. In nome di quella spending review tanto in voga bisognava snellire, riformare e risparmiare e per i governanti di questi ultimi quindici anni l’abolizione di questi enti rappresentava l’unica strada per portare il nostro Paese fuori dal tunnel.

Col senno del poi, la cancellazione delle Province ha prodotto effettivamente un risparmio?

Neanche per sogno. A chi pensava che con la cancellazione degli organi di rappresentanza istituzionale delle Province ci sarebbe stato un risparmio dei costi legati alla politica si è sbagliato. Forse sapeva anche di sbagliarsi ma in quel momento c’era bisogno di quella giusta dose di populismo, che oramai da diversi anni contamina la politica italiana. Necessaria per parlare alla pancia degli italiani. Ecco allora puntare il dito contro le Province.

In pratica, fu solo uno specchietto per allodole con il quale imbrogliare gli elettori?

Riflettete su un dato: la riforma ha riguardato in effetti solo 76 Province in tutta Italia, a statuto ordinario. Settantasei a fronte dei quasi 8mila Comuni e di Regioni: veri centri di potere, che mai avrebbero permesso di essere rimesse in discussione attraverso un’azione riformatrice. In sostanza era la strada più facile per accattivarsi le simpatie degli elettori dimostrando che la politica sa tagliare anche a se stessa. Invece, venne tagliata quella parte di politica che passava attraverso la legittimazione del voto popolare, attraverso la preferenza data direttamente dai cittadini.

Alcuni presidenti provarono a privatizzare lka gestione delle Province…
Antonio Pompeo e Dario Nardella

All’indomani della Delrio vediamo spuntare come funghi agenzie, consorzi e aziende speciali. Perché qualcuno giustamente doveva occuparsi del vuoto di competenze lasciato dalle Province ritenute enti inutili. Ed ecco allora nuovi manager, direttori generali e consigli di amministrazione, tutti con le dovute indennità. In sostanza nessuna cura dimagrante né per i costi né per la burocrazia. Anzi assistiamo ad un estenuante ping pong tra i vari enti territoriali alla ricerca di chi deve fare cosa.

Gli italiani furono i primi a dire che la riforma era una sciocchezza.

Arriviamo al Referendum del 4 dicembre 2016 e gli Italiani decidono che le Province non devono essere cancellate. Il pastrocchio però è ormai fatto. Il personale di questi enti è stato per la gran parte trasferito nelle Regioni di riferimento. Gli uffici svuotati. Il personale rimasto fortemente demotivato e disorientato. 

Cosa determinò quel referendum?

Il referendum archivia la fase di liquidazione delle Province avviata dalla Delrio. Quest’ultime forti di una ritrovata legittimazione popolare iniziano un percorso di rilancio per convincere i governi di questi ultimi anni che su alcune competenze, in particolare scuole e strade, non si può fare a meno di esse. Anzi possono fare molto di più esercitando un ruolo di coordinamento e di sostegno ai Comuni sempre più alle prese con le difficoltà legate alla carenza di personale.

Un esempio concreto?
Foto © AG IchnusaPapers

Lo avete scritto voi nelle ore scorse. La stazione unica appaltante ne rappresenta un esempio importante e l’arrivo del PNRR consacra definitivamente la Provincia a “Casa dei Comuni”. In sostanza un nuovo modello di Provincia al passo delle mutate esigenze dei territori.  (Leggi qui: Per Anac la gara è corretta, avanti con l’appalto per i rifiuti).

Enti di secondo livello? Non si direbbe proprio.

I numeri infatti dicono tutt’altro. La Provincia di Frosinone, ad esempio, all’ottobre del 2022 è stata destinataria di risorse PNRR per 362,39 milioni di euro a cui vanno aggiunti 80 milioni  per la costruzione di sei nuove scuole e la messa in sicurezza d quelle esistenti, 40 milioni per la rete viaria e 4 milioni per le aree interne. E tanto altro…

Alessioporcu.it ha lanciato la notizia che le Province torneranno alla situazione pre riforma nel 2025. Per la precisione: oggi c’è questa volontà politica in Fratelli d’Italia e si sta lavorando in questa direzione. Il futuro di questi enti?

La linea è stata tracciata dall’esito del referendum del 2016. Da quello e dal lavoro messo in campo dalle Province e da coloro che in questi anni hanno governato questi enti non risparmiandosi e soprattutto non rassegnandosi mai al ruolo di commissari liquidatori. In diverse occasioni, grazie al grande lavoro dell’Upi, si è andati vicini ad un provvedimento di riforma, ma purtroppo il cambio repentino dei governi, da ultimo quello guidato da Draghi, non ha aiutato.

I tempi sono maturi per una riforma della riforma?

Ora i tempi sono maturi per una definitiva legittimazione di questi enti restituendo voce al popolo. Ce lo chiede con fermezza anche il Consiglio d’Europa in questi giorni raccomandando proprio all’Italia il rispetto della Carta europea dell’autonomia ed evidenziando quelle che sono le tante criticità legate all’attuale sistema, una su tutte il voto di secondo livello. A questo punto non resta, se questo Parlamento davvero lo vuole, che portare avanti l’iter incardinato su due direttrici ma che è da mesi impantanato: la proposta di legge per il ritorno all’elezione diretta che giace in Commissione Affari costituzionali del Senato e la riforma del Tuel che è in attesa di approdare in Consiglio dei ministri. E allora oggi più che mai c’è un motivo in più per credere in questa Europa.