Quelli in bilico su Leopolda 10: da Vittori a Caperna, in cerca del futuro

Foto © Paolo Lo Debole

Cala il sipario sulla Leopolda 10. Con assenze clamorose. E presenze inattese. Chi c'era e chi no. Quelli che stanno in bilico. In attesa di capire gli spazi. Il caso del capogruppo Dem in provincia di Frosinone. E di Luigi Vittori

In bilico. Tra presente e futuro. Tra la concretezza e l’evanescenza. La solidità è quella dei numeri in un Partito che esiste ed ha le sue strutture e la sua organizzazione. L’evanescenza è quella delle parole portate alla Leopolda da Matteo Renzi: il migliore conferenziere italiano dei Tempi moderni. E allo stesso tempo il più grande fanfarone transitato a sinistra. Lucido e visionario: capace di vedere Industria 4.0 e Jobs Act prima ancora degli Industriali. Ma del tutto estraneo alla cultura Dem.

A stare in bilico tra presente e futuro è buona parte della pattuglia del Pd andata a seguire i lavori della decima Leopolda, la prima al di fuori del Partito Democratico, la numero uno nell’era di Italia Viva.

Presenti, assenti e Vittori

Valentina Calcagni, Maria Elena Boschi e Maria Spilabotte

C’era l’ex senatore Maria Spilabotte, renziana della prima ora e rimasta fedele al rottamatore anche adesso. E c’era Valentina Calcagni, l’ex dirigente di Frosinone che è l’unica più renziana di Renzi, la sola ammessa a corte nel ristrettissimo Giglio Magico. Con loro alla Leopolda 10 è andata anche Teresa Neri già Segretario del circolo di Anagni e tra le prime ad uscire dal Pd in provincia.

Con loro c’era Andrea Ranalli di Torrice. Da Sora si è visto Giuseppe Ciraudo. Una bandiera è arrivata anche da Alatri, la città del presidente del Consiglio regionale del Lazio Buschini: Maurizio Maggi. Ma anche dai piccoli centri: come il Cason di Andrea Pantanella partito da Rocca d’Arce.

In bilico c’è Luigi Vittori, uno degli uomini forti di Ferentino e della sua amministrazione comunale: la città dell’ex senatore Francesco Scalia che ha contagiato il renzismo in provincia di Frosinone e che ora si è ben guardato dal mettere il naso nell’ex stazione Leopolda trasformata in centro congressi quando Matteo era sindaco di Firenze.

Ferentino è la città di Antonio Pompeo, sindaco e presidente della Provincia: in bilico tra renzismo e zingarettismo, con l’eterno dubbio di non poter incassare né dall’una ne dall’altra parte: perché dal fronte renziano gli rinfacciano di avere votato Zingaretti al Congresso; nel fronte zingarettiano c’è Pensare Democratico di Francesco De Angelis che può vantare risultati bulgari.

Resta da capire se Luigi Vittori sia andato a Firenze per sua curiosità personale o in missione per conto di Antonio Pompeo. E quindi il presidente della Provincia stia preparando la transumanza in Italia Viva.

Germano e Cristina

Il capogruppo Pd in Provincia, Germano Caperna

Un sospetto che aumenta se si tiene conto del fatto che a Firenze sono andati anche Germano Caperna e Cristina Verro. Lui è il capogruppo Pd in Provincia di Frosinone e consigliere comunale di Veroli (nella short List dei prossimi aspiranti candidato sindaco); lei è stata fino alle scorse elezioni il vicesindaco della città ed ora presiede il Consiglio Comunale.

Sono entrambi tra le colonne di Antonio Pompeo. Nessuno di loro ha lasciato il Partito Democratico: non fino a questo momento.

La foto di Salvatore

Matteo Renzi e Salvatore Fontana

Discorso a parte per Salvatore Fontana: già componente dell’Assemblea nazionale in quota Emiliano, uscito dal Pd a ridosso delle scorse elezioni comunali di Cassino nelle quali non ha sostenuto il candidato ufficiale Enzo Salera individuato con le Primarie di coalizione.

In serata è circolata sul web la foto di Salvatore Fontana con Matteo Renzi. Anche l’immobiliarista di Cassino è andato alla Leopolda? Nessuno dei locali se n’è accorto. La foto è scattata sul treno per Milano: «Si c’ero, sono stato alla Leopolda ma non intendo fare dichiarazioni politiche adesso». In bilico anche lui.

Il Matteo senza truppe

Leopolda 10 Matteo Renzi © Imagoeconomica, Paolo Lo Debole

In bilico perché è chiaro che al di là delle parole e degli effetti scenografici, Italia Viva e Matteo Renzi ora non hanno né numeri né struttura di Partito. Un movimento che esiste ma non c’è. Come è spesso la politica di oggi: gassosa, capace di dissolversi in un attimo o aggregarsi in pochi giorni, volatile e volubile. Capace di infiammare o isolare.

La migliore sintesi è come sempre quella di Alessandre De Angelis, il vice direttore di HuffingtonPost Italia.

Il senso di megalomania è grande quanto quel simbolo di Italia Viva che plana dal cielo di alluminio, nel frastuono di una musica da colossal americano. Alla Ben Hur.

Simbolo che peraltro ricorda quello dell’Italia dei Valori. La megalomania di chi celebra un trionfo senza neanche un esercito che ha vinto la guerra, cesarismo senza un Rubicone attraversato, armate e vittorie. Anzi con Roma invasa dai barbari, che sono cento volte il cosiddetto popolo della Leopolda.

Matteo in bilico

È’ un Matteo Renzi in bilico quello che chiude la Leopolda 10. Sospeso tra governo e opposizione. fatta dall’interno.

Leopolda 10 Matteo Renzi © Imagoeconomica, Paolo Lo Debole

Giura che non vuole revocare l’appoggio di Italia viva al governo Conte 2. Ma le distanze che frappone sono ampie. Giura che la legislatura durerà almeno fino all’elezione del prossimo Capo dello Stato. Ma nella mente di tutti si affaccia il pensiero “Enrico stai sereno” pronunciato ad Enrico Letta pochi giorni prima di buttarlo giù da Palazzo Chigi.

«Se propongo di non tartassare le partite Iva non faccio un ultimatum. Noi abbiamo fatto il regime forfettario per le partite Iva, non siamo noi contro mano. Non è arrivato nemmeno un ultimatum al governo da questo salone».

Nel suo interventi finale, Renzi è poi entrato nel vivo della discussione sulla manovra. Non ha nascosto la differenza di vedute con il Pd. «Evitiamo i balzelli come la sugar tax, l’aumento sulle Partite Iva – ha detto -. Questo è un argomento che ci ha portato a discutere con il Pd. Io non voglio fare polemiche. Il Pd era casa mia ed era casa nostra. Ma il punto fondamentale, che ci ha portato a dividere le strade, è che su alcuni temi c’è una distanza. A cominciare dal fatto che in Italia non si può aumentare la pressione fiscale. Senza rabbia».

Spending review? A noi!

Leopolda 10 Matteo Renzi © Imagoeconomica, Paolo Lo Debole

Con falsa noncuranza chiede al Governo Conte di mettere tutto in mano a lui. Dice che sa come abbassare le tasse ed offre la consulenza gratis di 5 persone per tagliare la spesa. «Offriamo gratuitamente il lavoro di cinque professionisti per lavorare sulla revisione della spesa. Si può tagliare la spesa senza toccare i servizi. Ci prendiamo noi il compito di gestire la revisione della spesa».

Resta da capire perché non abbia telefonato ad almeno 1 dei 5 quando c’era lui a Palazzo Chigi. E resta da capire perché, se ci teneva tanto a coordinare le politiche economiche del Paese, non abbia reclamato per se stesso la poltrona dell’Economia e Finanza dalla quale avrebbe potuto chiamarli anche oggi tutti e 5 i suoi consulenti gratuiti. Assumendosi però la responsabilità della manovra.

Quota 100, andate a lavorare

Attacca poi Quota 100. Italia viva la vuole cancellare. “Al populista – ha sottolineato Renzi – non interessa risolvere il problema, interessa enunciarlo. Ma perché Salvini fa quota 100? perché deve dire che ha risolto il problema dei pensionati. E’ la politica dell’annuncio, del tweet“.

Sul contrasto all’evasione fiscale ha annunciato: “Faremo un seminario, noi vogliamo introdurre la patente fiscale a punti. Questo lavoro porterà i parlamentari di Iv a presentare delle proposte su fisco digitale e innovazione“.

Missione Quirinale

Ma il vero mastice che tiene Matteo Renzi unito a questo Pd col quale ha poco da spartire ed a questo governo giallorosso dal quale si tiene a distanza, è uno soltanto. È l’elezione del prossimo inquilino del Quirinale. Sconvolgendo quelli che secondo lui erano i piani di Salvini. Perché “il suo disegno sovranista puntava al Colle“.

Matteo Renzi alla Leopolda presenta il simbolo Italia Viva © Imagoeconomica, Paolo Lo Debole

Annuncia Matteo RenziNoi non arriveremo alla fine della legislatura perché i parlamentari non vogliono andare a casa. Premesso: i parlamentari non vogliono andare a casa, inutile essere ipocriti. Ma in questa legislatura scade il mandato del presidente della Repubblica e il presidente della Repubblica continua ad avere un ruolo che è fondamentale. E’ un ruolo chiave. Se rimane questa legislatura in vita il successore di Sergio Mattarella sarà espressione di forze che credono dell’Europa e non stanno in piazza con Casapound».

Dice di sentire il dovere di garantire «una maggioranza europeista e non sovranista per eleggere il presidente della Repubblica. Chi ci accusa di staccare la spina si guardi allo specchio».

Per Matteo Renzi «il treno della legislatura arriva al 2023, e chi vuole scendere prima può farlo, ma noi vogliamo garantire alternativa al bullismo istituzionale».

ùLa stoccata finale è per Matteo Salvini. Gli dice Renzi: «Salvini pensava di offendermi dicendomi che ho un 3%. Ti fai fregare da uno col 3%? goditi il Papete che a governare il Paese ci pensiamo noi».

error: Attenzione: Contenuto protetto da copyright