L’estinzione dell’Automotive iniziata sotto i nostri occhi

L'agonia dell'Automotive è già cominciata. Ma c'è chi preferisce fingere e non vedere. Cosa sta chiudendo. E dove. Cosa c'entriamo noi. E le domande che non sono state fatte da una politica distratta

Alessio Porcu

Ad majorem Dei gloriam

Un po’ come gli orsi polari, i rinoceronti di Giava, gli elefanti di Sumatra: un intero settore dell’industria italiana si stanno estinguendo lentamente. Sotto gli occhi di tutti, nel silenzio di tutti, con la complicità di troppi. Non è una questione di energia o di costi dei materiali: c‘è di molto peggio nell’estinzione dell’Automotive italiano.

È in atto una specie di congiura del silenzio. Perché la dissoluzione dell’industria automobilistica italiana è colpa di tanti. Che hanno ignorato i segnali, non li hanno capiti, li hanno interpretati male ed hanno preso le decisioni sbagliate.

I numeri dell’estinzione

Foto © Can Stock Photo / microolga

Solo così si giustifica il silenzio sotto cui si sta nascondendo la fine di un comparto che ha tenuto in piedi l’economia del Paese del Dopoguerra. Si sta frammentando il propblema affinchè, un pezzo alla volta, nessuno capisca l’estinzione di massa che invece sta avvenendo.

Proviamo a mettere insieme i pezzi. Cominciando da Gianetti Ruote di Ceriano Laghetto, cuore della Brianza che produce. E che invece questa volta licenzia. In blocco: 152 licenziamenti. Tutta gente specializzata nella produzione di ruote per camion, tir, mezzi pesanti e moto cult come le Harley Davidson.

Basta scendere a Brescia per trovare un’altra capitale della tragedia. È la Timken, azienda statunitense dell’indotto automotive, specializzata nella produzione di cuscinetti a rulli conici a fila singola. Li ha realizzati per decenni fornendo buona parte del mercato fuoristrada e ferroviario. Chiude e lascia a casa i suoi 110 operai specializzati.

Non basta essere grandi, non serve avere il nome grosso: anzi è peggio. Perché sei parte di un sistema. E se va via uno vanno via tutti i pezzi del sistema. Si spiega così l’abbandono di Caterpillar che a Jesi produce cilindri per macchine movimentazione terra. Chiuderà. Tagliando i suoi circa 250 addetti tra fissi ed interinali. 

Non li sta schiacciando la crisi, non sono i costi ad obbligarli a fare le valigie. Come conferma il caso di Speedline di Santa Maria di Jesi. Qui produce ruote in lega leggera. Fa parte della multinazionale svizzera Ronal, va via e delocalizza, si posta in Polonia. Dove hanno iniziato a prendere le misure anche le più grosse aziende del polo elicotteristico della provincia di Frosinone. Perché c’è un polo della meccanica avanza di vera eccellenza.

Via anche Bosch. Ha annunciato la chiusura dello stabilimento di Bari dove produce componentistica per motori diesel. Per i quali i giorni sono contati: l’Europa lo ha capito e l’Italia non ancora, aggrappa ai tempi supplementari. Invece di prepararci alla transizione prolunghiamo l’agonia, ignorando che dal 2022 in Norvegia è scattato lo stop alla vendita di auto che non siano elettriche: non basta, il Governo norvegese ha deciso che le vetture dotate di motori tradizionali dovranno sparire completamente entro il 2025.

Chi ha capito e chi no

Un momento della manifestazione (Fotocronache Germogli)

Tra le protagioniste dell’estinzione c’è anche GKN Driveline di campi Bisenzio, fabbrica di semiassi con tecnologia powertrain.

Ad evitare la chiusura totale è stato solo l’intervento dell’imprenditore Francesco Borgomeo, il profeta della Circular Economy nel Centro Italia. I numeri ci sono, gli ordini pure: ma il fondo Melrose ha deciso di vendere e cessare la produzione. Borgomeo ha acquistato ma ci farà altro: insieme ai suoi soci convertirà lo stabilimento. Sta ancora decidendo in cosa: o produzione di macchinari per l’industria farmaceutica o nuove energie.

È il segnale che l’Automotive in Italia è al tramonto. Borgomeo lo aveva annunciato un anno fa, spegando che siamo già nell’era della Mobilità Sostenibile. E chi non si attrezza subito sparirà come stanno già facendo decine di fabbriche in tutto il Paese.

La provincia di Frosinone ha il principale stabilimento metalmeccanico nel lazio: Stellantis Cassino Palnt dove una volta uscivano Giulia, Stelvio e Giulietta. Ora le auto escono con il contagocce, la produzione è ferma. Stellantis per ora intende continuare a contare su quel Plant. Come conferma la richiesta di spostarsi li fatta ad uno dei suoi fornitori di fiducia come HT&L Fitting. Ma per quanto?

Il piano di marzo

Nei prossimi anni le auto cambieranno in modo radicale. Sapranno tutto di noi, riveleranno tutto di noi. Stanno andando in pista i primi test con le vetture senza volante ed al suo posto un monitor. Lo si è intuito dalle anticipazioni fatte poche settimane fa dal Ceo di Stellantis, carlos Tavares. (Leggi qui: Stellantis annuncia la svolta: a marzo il piano).

A marzo verrà presentato il piano. E quando un’azienda globale presenta le sue linee guida per il futuro non c’è modo di cambiarle: perché coinvolgono centinaia di altre aziende collegate, banche e miliardi di investimenti.

Cosa è stato fatto per rendere attrattivo il territorio del Cassinate per un’industria come Stellantis? Di cosa aveva bisogno per restare a produrre a Cassino? Cosa tratterrebbe qui un’azienda nonostante le convenga più tenere fermi gli impianti che produrre auto?

Sono le domande che la politica di questo territorio non ha fatto. Mentre l’estinzione è già cominciata.