L’impresa di fare impresa. E la svolta ancora non c’è

La resistenza ai momenti più duri del 2020, le paure di oggi, le speranze per il domani. L'indagine Federlazio scatta la fotografia delle piccole e medie imprese. La crescita è lenta e disomogenea. E gli imprenditori chiedono una riduzione del cuneo fiscale

Alessio Brocco

In definitiva, le parole sono tutto quello che abbiamo

Avanti adagio, ognuno un po’ per i fatti suoi e con un livello di preoccupazione che fatica ad affievolirsi. Quel che resta della piccola e media impresa italiana sente ancora addosso il peso della fatica. Colpa di un periodo lungo un anno che non ha fatto sconti a nessuno. Meno che mai ai più fragili.

Se qualcuno ha retto l’urto, qualcun altro ha dovuto chiudere i battenti. Forse per sempre. L’annus horribilis 2020 è alle spalle, ma si porta dietro gli effetti di una pandemia che rappresenta ancora uno spauracchio. La luce in fondo al tunnel, forse, è più vicina di un tempo, ma non per questo a portata di mano.

Un quadro disomogeneo

La presentazione dell’indagine Federlazio

L’indagine Federlazio, condotta su un campione di 500 imprese, ha scattato una fotografia a distanza di sei mesi dall’ultima rilevazione. Il report, realizzato con il contributo della Camera di Commercio di Roma, si riferisce agli andamenti dell’intero arco dell’anno 2020 e ai primi due mesi del 2021.

“Dopo un anno di vera e propria resistenza per contrastare gli effetti della pandemia – spiega l’indagine – le Pmi sono impegnate in questi mesi in un difficile percorso di ripresa che presenta notevoli elementi di incertezza e disomogeneità.

Chiusure, parziali riaperture, ancora chiusure. L’Italia a colori. Misure, più e meno stringenti, allo scopo di arginare l’espandersi del virus. Qualcuno ha sofferto più di altri.  

Da un lato “abbiamo avuto i comparti della ristorazione e del commercio, l’industria turistica e dell’ospitalità, lo spettacolo, il trasporto aereo, praticamente travolti dagli effetti dell’ondata pandemica”. Dall’altro “quello manifatturiero, inclusa l’edilizia, che pur investito dalla crisi, soprattutto nella prima fase, ha tuttavia registrato una parziale attenuazione di quegli effetti e mantenuto i motori accesi. Sia pur a regime ridotto”.

Per il Lazio prove di resistenza. E Frosinone…

I numeri danno una visione di insieme. E il Lazio con un saldo tra le imprese nate e cessate di +1,4% in tutto il 2020 (-0,32% il dato nazionale), ha evidenziato una particolare capacità di resistenza.

Ma, c’è un ma. Perché “questi dati devono essere considerati con particolare cautela”. In quanto “potrebbero rappresentare anche un passaggio da posizioni di lavoro dipendente e più stabile verso altre di tipo autonomo intermittenti e meno sicure”. Opzioni “determinate più dalla necessità che da una scelta di tipo imprenditoriale”.

I dati federlazio

L’elaborazione su dati Movimprese ha riscontrato, sul tasso di crescita, un timido segnale più anche per la provincia di Frosinone (+0,64%) che, di contro, ha sofferto più delle altre nell’export (-11,6% nel valore delle esportazioni tra il 2019 e il 2020). Ovviamente, le misure di contenimento alla diffusione del Coronavirus hanno inciso pesantemente sul commercio estero, generando contrazioni significative sia nel Lazio (-10%) che nel resto d’Italia (-9,7%).

Va considerato che la variazione relativa all’export regionale che si era verificata nel primo semestre era stata del -26,2%. Quindi nella seconda parte dell’anno c’è stato un recupero abbastanza significativo dei flussi del Lazio da e per i mercati internazionali. Dall’indagine ritengono “interessante notare che gran parte delle perdite di valore dell’export hanno riguardato gli scambi verso i Paesi extraeuropei dalle province di Latina e Frosinone”.

Il fattore cassa integrazione

Basta sbirciare il ricorso alla cassa integrazione per rendersi conto, d’impatto, della dimensione degli effetti della pandemia sulle piccole e medie imprese.

Nel Lazio, nel periodo tra gennaio 2020 e febbraio 2021, sono state erogate complessivamente oltre 470milioni di ore di cassa integrazione di cui il 42% attraverso i fondi di solidarietà specifici per l’emergenza Covid.

La variazione complessiva delle ore rispetto al periodo gennaio 2019-febbraio 2020 è stata del 1.495%. Si tratta di un valore in linea con quello nazionale. Il picco nel mese di maggio 2020 con oltre 81mila ore.

Il ricorso alla Cassa Integrazione

E a livello provinciale? Roma su tutti con un dato ore più di 13 volte superiore a quello del 2019 (+1.287%). Percentuali simili per Viterbo (1.318%), mentre “la terza provincia per tasso di incremento totale risulta quella di Rieti con il 703%, seguita da Frosinone con il 301%”.

Sono escluse dal computo le ore di Cig erogate attraverso il fondo di solidarietà di cui non si dispone il dettaglio per provincia. Dall’indagine Federlazio emerge che “sono l’80% le imprese che l’hanno utilizzata durante l’anno. La situazione va normalizzandosi ma nel mese di marzo risultano ancora il 22% le Pmi che hanno addetti in cassa integrazione”.

Nel cuore dell’indagine

Dopo la panoramica, il report Federlazio entra nel cuore dell’indagine. Dalle domande poste nel questionario salta all’occhio, in riferimento all’intero 2020 e ai primi mesi del 2021, un calo della produzione del 55% per le imprese. Di queste circa 22% ha avuto una contrazione di circa un terzo della propria attività.

Ma non è tutto perché “il fatturato complessivo si è ridotto nel 62,8% e le aziende in cui si è verificata una diminuzione superiore al 30% sono state il 19,2%”.

Sviscerando ulteriormente i dati si registra che, dopo la tempesta della prima parte dell’anno quando 8 imprese su 10 avevano accusato una riduzione del fatturato, nei mesi successivi si è registrata una timida ripresa. Eppure le imprese che hanno subìto un arretramento, nel 2020 rispetto al 2019, sono state il 64%.

Il report sul fatturato

L’indagine evidenzia che “il recupero ha riguardato in misura maggiore le imprese più solide e con un numero di addetti superiore a 100”.

Durante il pieno dell’emergenza c’è stato un massiccio ricorso allo smartworking. Quasi 6 imprese su 10 ha introdotto questa novità nei primi mesi di lockdown. La situazione, successivamente, si è modificata e oggi le imprese con addetti che per qualche giorno alla settimana operano in condizione di lavoro remoto sono il 26%.

Le prospettive degli imprenditori

La necessità di invertire la rotta è chiaro. La premessa, emersa dall’indagine, non lascia spazio a interpretazioni: nel 30% delle piccole e medie imprese non si è ancora ritornati ai livelli di attività precedenti la pandemia. Nell’11,2% dei casi l’intensità produttiva è addirittura molto inferiore a quella dello stesso periodo dello scorso anno.

Di contro c’è un 26,2% di imprenditori che dichiara non solo di aver recuperato, ma di aver anche incrementato l’attività produttiva dell’impresa rispetto allo scorso anno.

Pessimismo per le prospettive di fatturato con il 38% che prevede ancora una riduzione, in particolare il 13% un forte calo, mentre il 23,5% ha dichiarato che sarebbe possibile una crescita. Riguardo, invece, ai mercati di riferimento, il 22% prospetta un aumento della domanda interna, il 17% delle commesse pubbliche, e ancora il 22% dell’export.

Il direttore di Federlazio Luciano Mocci

Una percentuale significativa di imprenditori, inoltre, ha espresso fiducia nel ritorno alla normalità della struttura e dell’operatività aziendale: il 20% ha dichiarato di essere già in tale condizione, il 26% dovrebbe arrivarci entro sei mesi, mentre il 31% ritiene che dovrà trascorrere l’intero anno. Il 24% dà previsioni decisamente pessimistiche.

Gli imprenditori, interpellati sulle aspettative, hanno anche dimostrato un cauto ottimismo. Sul futuro della propria impresa, infatti, il 58% dichiara che si potrà ritrovare una condizione di stabilità mantenendo gli stessi livelli occupazionali. Lo sblocco dei licenziamenti? Per l’81% non comporterà conseguenze negative sui livelli di occupazione aziendale.

Il 12% ipotizza trasformazioni radicali nel modello di business e il 3% teme di chiudere la propria attività. Il 23% esprime ancora un sentimento di incertezza.

Investimento e rilancio per l’impresa

La pandemia ha reso evidente la necessità di un cambio di passo in termini di digitalizzazione e ammodernamento tecnologico. Gli imprenditori, stando alle risposte fornite dall’indagine, hanno recepito questa esigenza. Infatti, il 63,5% delle Pmi prevede di introdurre interventi di questo tipo. Il 21,7% fin da subito. (leggi anche Popolo di navigatori (di internet). Ma a ritmo lento)

Il 19%, invece, afferma che nell’anno in corso realizzerà investimenti per la propria impresa e a questa percentuale si potrebbe aggiungere una parte di quel 32% che si dichiara possibilista qualora la situazione di mercato dei prossimi mesi dovesse consolidarsi positivamente.

Idee chiare da parte degli imprenditori anche nelle misure da adottare per l’agognato rilancio delle attività d’impresa: riduzione del cuneo fiscale (67,5%), riduzione delle tasse sull’attività d’impresa (61,3%), sostegno agli investimenti delle imprese (51,2%).

L’indagine è stata presentata a Roma dal presidente Federlazio Silvio Rossignoli e dal direttore generale Luciano Mocci. Nel corso della conferenza sono intervenuti, tra gli altri, il presidente di Unioncamere Lazio Lorenzo Tagliavanti, il vicepresidente della Regione Lazio Daniele Leodori, il segretario generale Uil Roma e Lazio Alberto Civica e Raffaello Bronzini della divisione analisi e ricerca della Banca d’Italia.