L’urlo di Miriam: «Così le imprese non restano»

Il presidente di Unindustria Miriam Diurni auspica un cambio di marcia «Non si possono aspettare tre anni per un’autorizzazione ambientale. Le aziende resistono ma ci vogliono riforme strutturali»

di Pietro Pagliarella per Ciociaria Oggi

C’è un’Italia che resiste al Covid-19 con le unghie e con i denti. Lo fa con le armi della programmazione, dell’ingegno percorrendo percorso accidentati disseminati da ostacoli di una pubblica amministrazione non sempre all’altezza. Miriam Diurni è il presidente degli industriali della provincia di Frosinone. Racconta come gli imprenditori stanno affrontando l’emergenza sanitaria e chiede al “pubblico” di fare di più, soprattutto sulle autorizzazioni ambientali che sono un vero nervo scoperto

Presidente Diurni, da un anno la pandemia si è abbattuta sulle vite di ognuno di noi e, di riflesso, sull’economia. Come è la situazione della nostra imprenditoria? Come ha reagito il territorio? 
Foto di Kateryna Babaieva da Pexels

«Il Covid-19 ha imposto una situazione emergenziale che ha determinato cali di fatturato, anche consistenti, sia nell’industria sia nei servizi. Nel 2020 c’è stata una contrazione della produzione industriale dell’1,2% e una calo stimato del 12%, invece, nei servizi. Nella nostra provincia una parte dell’imprenditoria ha risentito molto dell’incertezza della curva epidemiologica che ha avuto un immediato riverbero sulle attività economiche. Da noi ci sono molte realtà che si occupano di servizi, poche di turismo, e si capisce bene quale possa essere stata l’evoluzione della curva economica.»

«In ogni caso ci sono state anche delle note positive nel senso migliore del termine: il farmaceutico, il metallurgico, il manifatturiero, l’It, l’e-commerce hanno fatto registrare buone performance. Non a caso, un recente studio della Uil ha evidenziato come nella nostra provincia, nel 2020, l’occupazione sia aumentata invece di diminuire come, invece, è accaduto nel resto della regione e come l’industria abbia contribuito con un buon 20% a questo andamento virtuoso».

Il farmaceutico, poi, ha aiutato molto la tenuta del mercato del lavoro. La Catalent, solo per fare un esempio, ha assunto per l’infialamento di Astrazeneca e lo farà per quello di Johnson&Johnson. Poi ci sono Acs Dobfar e Biomedica Foscama che probabilmente lavoreranno allo Sputnik, la Thermo Fisher, la Sanofi, che sta sviluppando il suo vaccino, che stanno trainando il lavoro. Si tratta di eccellenze di livello mondiale che stanno recitando un ruolo strategico nella campagna di vaccinazione internazionale e che stanno veicolando un’immagine positiva del Frusinate a livello mondiale».

Foto: Archivio Astrazeneca

«Avere avuto, quindi, una crescita occupazionale in questa situazione è un risultato eccezionale. È eccezionale perché questa crisi non ha molti precedenti nella storia. Non è stata dovuta a fattori congiunturali di riduzione della domanda o dell’offerta bensì a un elemento esterno, imprevedibile che ha creato uno shock nell’economia. In generale le nostre aziende hanno saputo reagire bene con dinamismo e ristrutturandosi con business plan adeguati». 

Lei ha parlato di capacità di reazione. Noi, però, non sappiamo quanto durerà l’emergenza sanitaria. Quale è il giusto modo di organizzarsi per affrontare una situazione di medio-lungo periodo? 

«Le aziende solide hanno già capito come agire con nuove modalità di espletamento delle attività e trovando canali di sbocco del mercato alternativi. È evidente che ci sono delle problematiche nuove che stanno emergendo e a anche noi, come Unindustria, stiamo intervenendo assistendo i nostri associati».

«A livello locale stiamo monitorando le piccole e medie imprese per intervenire a sostegno cercando di fornire loro gli strumenti per strutturarsi e per far fronte ad eventuali difficoltà e per programmare la ripartenza e farsi trovare pronti quando anche la domanda interna tornerà a crescere. Come Confindustria, poi, ci attendiamo molto dagli investimenti che arriveranno con il NextgenerationEu e nel Lazio con il Por Fesr 2021-2027. E aspettiamo sempre quelle riforme strutturali che agevolerebbero una ripresa più veloce». 

La ripresa e la crescita sono inevitabilmente legate all’appetibilità del territorio. Un recente studio della Liuc, che ha elaborato un indice di fermento imprenditoriale, vede la Ciociaria fuori dalla top 50, in 52a posizione. Cosa manca a questa provincia per stare tra i migliori? 
Il piano di infrastrutture Asi è stato fondamentale

«Negli anni la provincia di Frosinone ha pagato pesantemente un gap infrastrutturale e digitale rispetto a buona parte del resto del Paese che non le ha permesso di esprimere tutto il proprio potenziale, anche se ultimamente le cose stanno cambiando. La presenza di un Sin, poi, la cui bonifica è una necessità ineludibile sotto molteplici aspetti in primis per la salute pubblica, ha contribuito a rendere più macchinose le procedure».

«C’è poi il problema dei problemi che è quello dei tempi biblici, inaccettabili per il rilascio delle autorizzazioni ambientali, Aia e Aua, che ha scoraggiato tanti imprenditori e che ha fatto perdere e che continua a far perdere investimenti e opportunità. C’è chi arriva ad aspettare anche tre anni. Le imprese hanno bisogno di risposte veloci, il mondo ha bisogno di tempi veloci».

«Il paradosso è che ci sono imprese che non possono usare macchinari ecologici, meno impattanti dal punto di vista ambientale, perché non riescono a ottenere la necessaria autorizzazione. I tempi di reazione della pubblica amministrazione non sono adeguati. Pensiamo agli uffici Suap, soprattutto nei piccoli comuni che soffrono di carenze di organico, che impiegano tanto tempo per fornire una risposta. Il pubblico viaggia a velocità nettamente inferiori a quella del mondo reale».

«Ecco, negli anni, chi voleva fare impresa, ha dovuto fare i conti con tutto questo per cui, in fin dei conti, il 52o posto non è poi così da disprezzare. Diciamo che deve essere uno stimolo per fare meglio, per tutti». 

Tutti, quindi, devono sapere remare dalla stessa parte. Negli anni politici, imprenditori, sindacalisti e altri hanno abusato dell’espressione “fare sistema”. Cosa vuol dire, se poi i problemi da sempre sono gli stessi? 
Miriam Diurni e Carlo Bonomi

«Innanzitutto, si fa sistema quando si ha un obiettivo comune e che si può raggiungere solo con l’impegno di tutti, ognuno per la propria parte di competenza. Diciamo che, in linea generale, è rimasto un enunciato buono per tutte le stagioni, ma che non si è tradotto in realtà. Su singoli progetti, invece, la situazione è diversa. Porto ad esempio l’esperienza del Consorzio Asi. Lì le associazioni imprenditoriali, il presidente e il Cda con un lavoro sinergico hanno saputo interpretare le istanze delle aziende. Hanno programmato e realizzato interventi e investimenti che miglioreranno la dotazione infrastrutturale e l’attrattività delle aree industriali. Storicamente il “fare sistema” ha quasi sempre fallito perché i soggetti coinvolti non sono riusciti a parlare la stessa lingua». 

Si va verso la costituzione di una Consorzio industriale unico. Perché un piccolo imprenditore, di un piccolo comune della Ciociaria dovrebbe accogliere con favore questa novità? 

«I consorzi territoriali soffrono in questa fase storica della mancanza di fondi. Dovrebbero vivere di oneri di assegnazione e attualmente ce ne sono pochissimi e su questo c’è anche un grande dibattito che esprime posizioni non univoche. Un consorzio regionale consente di attrarre maggiori investimenti, di fare una programmazione di ampio respiro, di razionalizzare e ottimizzare le risorse, di fare economie di scala e di rendere tutto più efficiente al minor costo possibile». 

Non si rischia di diventare, però, una provincia ai confini dell’impero? 

«Noi dobbiamo avere la forza di spogliarci di un certo provincialismo e di non avere paura. La differenza la fanno, come sempre, le persone. Confindustria in questo senso è un esempio lampante. Nel Lazio abbiamo costituto un’unica realtà che ha fatto fare il salto di qualità a tutti. Ha continuato ad avere una grande attenzione per i territori e che tutela i territori» 

Automotive
(Foto: Imagoeconomica)
Per il definitivo salto di qualità di cosa ha bisogno la provincia di Frosinone? 

«Un tempo avrei detto della manutenzione delle infrastrutture viarie, ma quello è un problema che l’Asi sta affrontando in maniera egregia. Oggi, considerando come sta cambiando il lavoro con un’esplosione dello smart working, c’è necessità del potenziamento delle infrastrutture digitali, senza dimenticare le grandi opere per migliorare i collegamenti tra i territori. In un’ottica di integrazione è ottimo lo sviluppo della Tav che avrà Frosinone, così come ritengo che sia importante migliorare la viabilità tra Latina e Frosinone».

«Ho sentito parlare di nuovo della realizzazione di un aeroporto a Frosinone, a Latina o a Viterbo: è un’idea, dando per assodato la fattibilità tecnica, percorribile lì dove ci siano una effettiva domanda e necessità. In ogni caso, in linea di principio, il miglioramento dei collegamenti è la chiave di volta per trainare e sostenere lo sviluppo». 

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