Marangoni, quando si chiude la stalla ed i buoi ormai sono altrove (di F. Ducato)

La protesta davanti alla Marangoni. Mentre veniva effettuato un sopralluogo tecnico. Le grandi occasioni perse nel passato. E davanti ai cancelli solo poche persone.

Franco Ducato

Conte del Piglio (ma non) in Purezza

La sensazione, nettissima, è che si stia cercando di chiudere la stalla quando non solo i buoi sono scappati, ma li hanno già presi e marchiati i proprietari di un’altra fattoria. Quanto è accaduto martedì mattina ad Anagni, con il sopralluogo tecnico effettuato presso il termocombustore della Marangoni negli stessi minuti in cui, sempre davanti alla Marangoni, si teneva una manifestazione di protesta contro lo stesso obiettivo (il termocombustore, appunto), ha almeno tre chiavi di lettura. Nessuna delle quali, purtroppo, tranquillizzante.

La prima chiave è quella tecnica. 

Riassumiamo i fatti. Nell’estate del 2017 la Regione Lazio concede una prima autorizzazione, definita endoprocedurale (in pratica, una sorta di autorizzazione preliminare) alla riapertura del termocombustore della Marangoni. Chiuso oramai da anni, come del resto è chiusa da tempo un’azienda, la Marangoni appunto, che fino a qualche anno fa impiegava in città circa 400 persone.

Questa prima autorizzazione scatena ovviamente un bailamme polemico, in una zona in cui l’allarme ambientale è forte. La maggioranza dell’allora sindaco Fausto Bassetta annuncia un ricorso al Tar, che però non viene effettuato, preferendo la strada del ricorso alla Presidenza della Repubblica. Di fatto, una vera e propria opposizione al progetto non c’è. Una passività che favorisce la conclusione della pratica di autorizzazione alla riapertura.

Lo prova il fatto che martedì mattina ad Anagni è stato fatto un sopralluogo tecnico. Non una valutazione di merito. Quindi le perplessità sollevate in quella dal Comune (in sintesi; controllate bene gli impianti, fate bene i monitoraggi, attenzione, la zona è già molto inquinata) potranno, al più, far guadagnare tempo, ma non invertire il corso degli eventi.

Forse si poteva fare qualcosa prima? Forse sì. Forse una maggiore durezza tra il 2017 ed il 2018 avrebbe potuto cambiare le cose. 

In questo senso la responsabilità è politica. 

Ed è giusto che chi di dovere si assuma le proprie responsabilità. Anche se a chi in queste ore, come il centro destra attualmente al governo, ricorda che nel 2017 al governo della città c’era Bassetta, si potrebbe ribattere dicendo che la stessa passività venne dimostrata in almeno un’altra occasione. E cioè quando, dovendo difendere l’ospedale cittadino, il ricorso al Tar venne bocciato per l’assenza del Comune. Allora amministrato dalla giunta di centro destra capitanata da Carlo Noto. Una passività fatale anche quella.

La verità è che troppo spesso in questa città, nonostante le dichiarazioni di principio, le questioni importanti diventano pretesto per battaglie politiche e non stimoli per un’azione comune. Con la conseguenza che alla fine perdono tutti. 

Da ultimo, la chiave sociale.

Martedì mattina ad Anagni, davanti ai cancelli della Marangoni c’erano circa 150 persone. Almeno 50 delle quali impegnate in associazioni, comitati, politica e quant’altro. Insomma, mancava la gente comune.

Va bene tutto; il caldo, l’afa, il sole. Ma in una città di oltre 20.000 persone (400 delle quali fino a pochi anni fa lavoravano lì dentro), il dato numerico è chiaro. Della vicenda non frega più niente a nessuno. Che poi accada per effettivo disinteresse, o per stanchezza dovuta alle troppe battaglie perse, è un altro paio di maniche. Che non sposta i termini del problema.

Ad Anagni si perde anche perché ci si incazza troppo poco, almeno ultimamente.

Ultimissima nota. Al sit in di protesta c’erano praticamente tutte le forze politiche locali. Mancava il Pd. Ci fosse stato bisogno di una ulteriore prova della distanza che ultimamente intercorre tra gli elementi locali del Partito Democratico ed il resto della gente, è arrivata forte e chiara.