Maxi debito Unicas, il rischio di dire ‘Arrangiatevi!’

Foto: © Imagoeconomica, Paolo Cerroni

La chiusura delle indagini sul maxi ritardo nel pagamento dei contributi all'università di Cassino impone alcune riflessioni. Su una cultura che oggi non ci si può permettere. Come ha dimostrato il rettore Giovanni Betta.

Alessio Porcu

Ad majorem Dei gloriam

L’inchiesta della Procura della Repubblica di Cassino e della Guardia di Finanza di Frosinone sul maxi ritardo nei versamenti ai dipendenti dell’Università mette a nudo una serie di elementi. (leggi quiMaxi buco all’università: 8 indagati ma cadute quasi tutte le accuse)

Un dato è certo: contributi Inps per un importo complessivo pari a 35 milioni di euro sono stati versati in ritardo. È un reato.

Anche se è stato fatto davvero (ma è solo un’ipotesi) per pagare in tempo le ditte che stavano completando il nuovo ateneo ed evitare così un danno maggiore (le penali previste dai contratti) resta un reato.

Se lo facesse un’impresa privata, il titolare finirebbe agli arresti.

Ma non bisogna essere ipocriti. Né fingere d’essere appena usciti dal convento delle Orsoline.

Negli anni della Prima Repubblica molti enti hanno usato questo metodo per realizzare una linea di credito parallela e clandestina. Violando in modo palese le norme basilari che disciplinano i bilanci. Ma realizzando comunque opere. Era un reato, resta un reato.

Un reato che è figlio d’un modo di concepire le cose: nel quale il primo bilancio falso è quello dello Stato, il primo bilancio tecnicamente fallimentare è quello di enti come le Regioni.

Un modo di vedere e pensare nel quale la parola d’ordine fino a poco tempo fa è stata quella esaltata con maestria dal regista Mauro Bolognini: Arrangiatevi!

E così, in questo assurdo e colossale fare ammuina, Comuni, Province, Enti vari hanno gonfiato i bilanci con previsioni di multe che non avrebbero mai elevato, con incassi mirabolanti che non sarebbero mai giunti. Fino a poco tempo fa era possibile mettere nel bilancio di un Ente pubblico, come previsione di entrata, una somma semplicemente richiesta.

Talmente incredibile che occorre un esempio per spiegarlo: il Comune poteva scrivere una lettera ad un onorevole sollecitandogli un generico finanziamento; la somma chiesta con quella lettera, che non aveva nessuna speranza d’essere accolta, poteva essere portata in Bilancio come previsione d’entrata. Immaginatevi se un privato avesse sistemato il Bilancio scrivendo: “Ho mandato una lettera al mio amico Antonio e gli ho chiesto di prestarmi un milione“.

Il fatto è che siamo permeati della cultura dell’arrangiarci. E fino a qualche tempo fa, tra enti, ognuno dava una mano all’altro. Perché ad essere fiscali, si sarebbe scoperto che tutti i bilanci pubblici erano gonfiati.

Se è accaduto questo (è bene ricordarlo, siamo di fronte ad ipotesi d’accusa che ora devono passare al vaglio di un giudice con il compito di stabilire se ci sono abbastanza elementi per sostenere un processo) all’Università di Cassino hanno fatto qualcosa di enorme. Perché nessuno è in grado di tardare il versamento di 34 milioni di euro all’Inps senza trovarsi i mastini di Equitalia a mordere i polpacci dopo il terzo mese di ritardo; nessuno è in grado di prendere per il naso una serie di revisori con un curriculum di esperienza tale da far impallidire chiunque se li dovesse trovare di fronte a revisionare il proprio Conto.

Perché un modo diverso per gestire le cose c’era: lo ha dimostrato il rettore Giovanni Betta, mettendo in campo un piano di risanamento di portata draconiana, senza spargere sul piazzale né lacrime né sangue degli studenti o delle loro famiglie. Un modo diverso c’era anche se quello applicato avesse portato a realizzare tutto senza praticamente danni alle casse dell’università (come ipotizza una stima) o di circa un milione (come ipotizza la Procura), ben di più se si tiene conto dei danni alla reputazione dell’Ateneo ed i capitali chiesti alle banche per fare fronte al piano di risanamento.

L’impressione che se ne ricava è che sia stato un colossale Arrangiatevi!. E se l’impressione venisse confermata, sarebbe anche un reato.