Migranti, il Calenda pragmatico che va oltre gli spot e ne fa uno suo

Meloni e Salvini in modalità spot e offensiva centrista sulle soluzioni concrete: come quando D'Amato lasciò il Pd

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

O si affrontano le questioni con pragmatismo oppure si è Fubar. Il modo di dire in acronimo nacque durante la Seconda Guerra mondiale e prese tanto piede tra le truppe alleate di ceppo anglofono che divenne più famoso del disegnino di Kilroy. L’acronimo Fubar sta per “Fucked Up Beyond All Repair/Recognition”, cioè “fottuti oltre ogni possibilità di recupero”. Pare che quel modo di dire abbia origini “nobili” e che sia attribuibile all’arcigno generale Usa Lucien Truscott, uno a paragone del quale perfino George Patton sembrava Paolo Brosio.

Spesso le truppe alleate si trovarono di fronte a scelte tattiche che preannunciavano solo guai, con concentrazioni di nemici note e talmente ben messe sul campo che andare contro di loro era preannuncio di guai da macello. Eppure si doveva andare lo stesso, masticare amaro ma andare. Perché più in alto della tattica c’è sempre la strategia e dietro quella ci sono i piani, non certo le urla belluine prima dello scontro.

L’alternativa alla narrazione corrente

Carlo Calenda (Foto: Andrea Panegrossi © Imagoeconomica)

Ora, va da sé che Carlo Calenda con la mistica bellica c’entri poco e che anche quello che Calenda pensa sul tema dei migranti è roba vista dalla sua angolazione. Ma il dato è un altro: è quello per cui il leader di Azione ha proposto un’alternativa al modo di affrontare il tema da parte di destra-centro e Pd. Un modo pragmatico che consente di recuperare quanto di operativo si può davvero fare per sciogliere un nodo che a suo parere è solo spunto elettorale per Euro 2024. E se non si va in quella direzione si è tutti “Fubar”, appunto.

Cerchiamo di capire dove voglia andare a parare Calenda partendo da un assunto: in politica chiunque sollevi obiezioni su una scelta propagandistica magari non se ne accorge, ma fa propaganda anche lui. E la fa esattamente nel momento in cui prova a smantellare la narrazione propagandistica di terzi. Questo accade perché da tempo in Italia la politica è ridotta ai minimi termini.

E vive proprio e quasi soltanto di spot: parole, paragoni, iperboli, scenari esacerbati, immagini figurate. È tutta pastura da offrire alle strozze di elettori-utenti social che ormai non sono più effetto di quella degenerazione, ma che per gran parte ne sono causa e parte attiva. E l’emergenza migranti non ha fatto certo eccezione.

Totem, doveri e slogan

Giorgia Meloni

Da un lato c’è il destra centro, con Giorgia Meloni che prova ad equalizzare la narrazione di un’Europa finalmente ricondotta ai suoi doveri tolte le schegge impazzite socialiste con a capo Josep Borrell. Ricondotta da lei che punta a mettere assieme Ecr e Ppe e vincere alle Europee.

Dall’altro c’è Matteo Salvini, che da Pontida si è riappropriato di un inossidabile claim di quando al Viminale comandava lui. E che spinge elettori ed iscritti a puntare su uno scatto di Identità (come Partito e come valore-totem) per vincere alle Europee o quanto meno resistere alla fagocitazione da parte dell’amica-avversaria.

Lo fa invitando la sola persona che chiuderebbe le porta in faccia a Meloni in tema di un dialogo transazionale: Marine Le Pen.

In mezzo ci sono loro: i migranti e i cittadini lampedusani ed italiani che vorrebbero una soluzione umana e pragmatica al contempo. Una cosa che stia a metà strada esatta fra l’etica di accogliere e la pratica di non ingolfare spot e paese di disperati.

Meloni, Salvini e le ricette urlate di entrambi

Matteo Salvini (Foto: Vincenzo Livieri / Imagoeconomica)

Me le soluzioni mediate non fanno il gioco del consenso proprio perché sono mediate, perciò quello che Calenda ha ravvisato è solo un immenso palcoscenico dove ognuno recita la sua brava particina. E sono brogliacci infidi che prevedono anche che, raccontando la tua versione, tu possa additare arbitrariamente la versione “dell’altro”.

Creando così spauracchi ad hoc. Con il destra centro che stuzzica sinistra e Pd al punto da formattarli verso la tesi-slogan dell’accoglienza a tutti i costi. E con Pd e sinistra che premono in replica per nutrire la mistica di un destra centro pronto tutto a salire sulle cannoniere e sparare a chiunque fenda acque nostrane.

Un casino insomma, a cui Calenda ha risposto con un lungo post social. “Sull’emergenza migranti la nuova linea Meloni è uno spot elettorale per le europee per scavalcare Salvini a destra. Tutto ciò che state ascoltando in queste ore non accadrà”. Il leader di Azione non è immune dalle lusinghe pubblicistiche e ha dato al suo pensiero un titolo accattivante: “Rimpatriamo la retorica”.

Funziona, perché Azione è nato esattamente come sistema in cui la retorica pare sia bandita e perché la praticità è da sempre il suo mantra. Una praticità che a suo tempo aveva spinto figure del Pd note proprio per essere “terragne” e poco retoriche a passare con Calenda. Elly Schlein è troppo “ugola” e poco lapis. Attenzione: a questo pragmatismo non corrisponde una ricusazione di ogni etica di base, ci mancherebbe.

Perché ora D’Amato sta (bene) con Calenda

Foto: Paola Onofri © Imagoeconomica

Solo che quelli che stanno con Calenda cercano di mettere l’etica a servizio dei risultati e ricorrono poco alla simbologia. Figure anche di spicco, come Alessio D’Amato. L’ex assessore alla sanità laziale ai tempi del Covid oggi è responsabile Welfare della Segreteria Nazionale di Azione. E solo qualche giorno fa aveva partecipato al corteo in ricordo di Mahsa Amini.

Si tratta, come tristemente noto, della donna iraniana uccisa il 16 settembre dello scorso anno in un centro di detenzione di Teheran dalla polizia morale perché non indossava il velo in modo corretto. Sul tema migranti Calenda ha spiegato che “ciò che la destra vuole è una sinistra che risponda ‘accogliamo tutti’ spaventando il paese. E la sinistra come da copione ci sta cadendo invece di presentare soluzioni più umane ma realizzabili”. Quali sarebbero per Azione le soluzioni che possono essere realizzate nel concreto?

C’è un principio che non è né di destra né di sinistra, ma è di buon senso. “Non possiamo accogliere tutti e quindi le frontiere vanno presidiate”. Particolare rilevante ed urticante per lui: sulla stessa lunghezza d’onda di Calenda c’è Matteo Renzi, che dal palco della kermesse di Italia Viva ha ironizzato sul fatto che Salvini e Meloni si “sono fatti i dispettucci”. Per Calenda quindi “un fenomeno strutturale come questo si gestisce con realismo, non con marketing elettorale. Giorgia Meloni ha trovato la soluzione sui migranti. Centri di detenzione temporanea fino a 18 mesi e rimpatri”.

Le obiezioni di Azione, punto per punto

Carlo Calenda (Foto: Carlo Lannutti © Imagoeconomica)

Ed è a quel punto che parte il Calenda geometra, quello che prende gli ingegneri da tavolino e li porta a sporcarsi il bordo dei pantaloni fighi in cantiere. “Ora, per un secondo, lasciate perdere la questione umanitaria e costituzionale e concentratevi sulla fattibilità di una tale soluzione. Il primo appunto è quello sui centri di detenzione temporanea”.

Edificarne per decine di migliaia di migranti è cosa non fattibile e non gestibile. Del resto a Lampedusa non si è riusciti neppure ad equipaggiare il porto per un’accoglienza decente. Con un grande sforzo si sta costruendo un campo vicino a Ragusa per 84, dicasi 84, migranti per i quali è previsto il rimpatrio. E lo status di rifugiato? Altro tilt annunciato. “I tempi medi per accertare la sussistenza o meno dello status di rifugiato sono 12 mesi. Ma in un anno, come ho già spiegato, i migranti/rifugiati avranno tutti lasciato l’Italia. Il che tiene costante il numero di irregolari.

Poi i costi: quelli “dei rimpatri sono elevatissimi. Intorno ai 10.000 euro. Poi la sferzata politica alla premier: “I paesi europei dove i migranti vanno dopo essere stati in Italia, sarebbero felicissimi di vedere il nostro paese trasformato in un grande campo di detenzione di migranti. Meloni sta facendo il gioco dei suoi alleati sovranisti. Il che porta all’accordo con la Tunisia “fatto presto e male, a favore di telecamere più che per la sostanza”.

Tunisia mon amour, ma con Sophia di mezzo

Foto Malavolta © Imagoeconomica

Accordo che “va reso operativo anche solo bilateralmente. Non siamo messi così male da non poter sostenere con cento milioni di euro il paese nord africano. Perciò “la missione Sophia va ripristinata. Controlli ai limiti delle acque territoriali, respingimenti, distruzione dei mezzi, accordi per rimpatri volontari dai paesi nord africani”. Il sunto è che quello che nei giorni scorsi si è visto in questo strano toponimo, “Pontedusa”, sarebbe solo o in gran parte un gran calderone pre elettorale. Un “non luogo” che doveva essere ben localizzato proprio perché da esso non dovevano uscire soluzioni vere, ma scenari appetibili.

Per Giorgia Meloni che punta a vincere, per Matteo Salvini che punta a non scomparire e per Marine Le Pen che intinge la brioche nel cappuccino di altri. Ed anche per Ursula von der Leyen, che annuncia di essere entrata in mood solidarietà. Però fingendo di ignorare che l’Italia non è altro dall’Ue a cui dare appoggio, ma parte dell’Ue su cui dispiegare forze corali.

Qualcosa di più e meglio che slogan per restare in sella alla Commissione l’anno prossimo.