Non ci sono più gli stagionali di una volta, ma Cacciari non lo sa

Il paradosso di un filosofo che a Veroli incantò tutti ma che sul salario minimo è disincantato al punto da apparire cinico

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

“La differenza fra il sistema comunista e quello capitalista è che, se ti danno un calcio in culo, sotto un sistema comunista devi applaudire, sotto il capitalismo puoi gridare”. Lo scrive lo scrittore dissidente cubano Reinaldo Arenas nel suo potente Prima che sia notte. Ecco, magari se a gridare si fosse in più, male male non farebbe.

Nel 2021 lui era arrivato a Veroli ed aveva offerto il meglio di sé in purezza. Nell’ambito di quel Festival della Filosofia che della Ciociaria è ormai cardine estivo, Massimo Cacciari aveva spiegato il Cacciari-pensiero. E non lo aveva fatto con la mise dimessa ed enunciativa del docente o perito di filosofia.

No. Lui, di fronte ad una (f)colta platea e con un sindaco Simone Cretaro legittimamente gongolante, ne aveva parlato da filosofo. La consigliera delegata alla Cultura Francesca Cerquozzi aveva fatto centro e sudato le proverbiali sette comicie(tte). Ed era riuscita a mettere Cacciari in cartellone. E al filosofo era toccato il compito, per certi versi ostico per gran parte della platea, di parlare di ‘Cos’è reale’.

La differenza tra concetto ed esperienza

L’occasione era stata più unica che rara ed anche a fare la tara ad un preambolo ruvido ed al contesto molto tecnico, quella era stata una lezione splendida. Il cardine era stato la differenza fra essere ed essente, fra “inconcepibile alterezza ontologica e partecipazione dinamica”. Teniamocela stratta questa parola muscolare e bellissima: “partecipazione”.

Senza cadere troppo nel “latinorum” di ciò che allora venne sciorinato in maniera quasi sacerdotale era passato un concetto. Quello per cui la misurazione di ciò che è reale non prescinde mai dall’esperienza. Cioè dal personale vissuto di chi misura la realtà e le dà i triliardi di volti che triliardi di circostanze determinano.

Insomma, vivere e pensare sono atti che risentono di dove si vive, di come si pensa e di molti altri fattori. Da Parmenide ad Eisenberg Cacciari aveva tracciato un quadro della realtà dinamico. Quadro dove è più importante capire il contesto che puntare dritti alla giugulare del merito. Come per il salario minimo ad esempio, dove però il Cacciari politico sembra essere caduto in contraddizione palese. Come dovrebbe esistere infatti una soglia minima di retribuzione così dovrebbe esistere una soglia minima sotto la quale il pensiero umano non può scendere. E’ utopia in entrambi i casi ma val la pena sperare che un giorno sia così.

Meloni, le opposizioni e i summit estivi

Premessa: i giochini un po’ scemi con cui si accostano due piani di pensieri servono per creare situazioni di contrappasso, non sono poi così strettamente legati. Tuttavia essi servono a mettere in risalto una cosa che scema non è: la distanza siderale tra il pensiero in purezza e le cose che accadono nel mondo dei sistemi complessi. Cose in cui il pensiero dovrebbe servire a “leggere” meglio una scelta, una situazione.

E magari a dare alla stessa quel giusto abbrivio per cui possa migliorare il cammino umano. Dopo il summit che Giorgia Meloni ha “concesso” alle opposizioni sul tema del salario minimo il quadro è delineato in maniera abbastanza netta. Quella è è stata una vetrinetta di intenti. Ci sono margini di dialogo per parlare di una sua concessione ma non sembrano esserci margini operativi reali perché quella scelta normativa si faccia qualcosa di più che accademia tardo estiva. Le posizioni di Cacciari nella sua veste di “pungolatore” a volte scomodo dell’universo dem sono invece note.

Tuttavia qui non si rimarca il distinguo peloso tra due fra i cento modi di interpretare gli sguardi volti al Nazareno. No, qui si parte da un cameriere stagionale. Da un qualunque “Gianni” nostrano cioè che, magari ex percettore del Reddito di Cittadinanza, arriva a beccare un lavoro para-balneare in un ristorante di una della tante zone di mare dello stivale.

Gianni va al lavoro, come cameriere stagionale

Gli orari sono tremendi, non ci si ferma mai, il server è anche busboy, cioè quintessenza dell’uomo di fatica, e il titolare gli molla magari 50/60 euro a serata. Se va bene, sia chiaro. Vale a dire intorno ai 7 euro l’ora contando che si comincia alle 19.00 e si finisce non prima delle due del mattino. Ecco, il “noumeno” che Cacciari potrebbe prendere in considerazione è quello del lavoro in sé. Del semplice fatto cioè che Gianni lavori e che abbia pane da portare a casa.

Il “fenomeno”, vale a dire la realtà ma non in purezza, invece è diverso. Lo è perché di fronte agli occhi del mondo c’è un lavoratore sfruttato e sfasciato in ogni fibra della sua vita. Lavoratore che non può neanche urlarlo, di essere sfruttato, perché altrimenti perde anche la crosta del poco pane che becca.

L’idea “ridicola” e il contesto che ridicolo non è

E veniamo al Cacciari pensiero sul salario minimo. “L’idea che la politica dei governi possa stabilire i livelli salariali è ridicola, patetica”. La spiegazione, come amano dire quelli “studiati”, è in eziologia con una cosa che il filosofo-politico riconosce in quanto tale. Ma di cui non riconosce la fallacità, non al punto da capire che forse va studiata un’alternativa.

“I livelli salariali sono sempre stati stabiliti sulla base di contrattazioni tra organizzazioni dei lavoratori e datori di lavoro, compreso lo stato. Laddove le organizzazioni sono ridotte come sono ridotte attualmente, come si vuole stabilire un salario minimo?”.

Luigi Sbarra (Foto: Leonardo Puccini © Imagoeconomica)

Tradotto con una venatura semplicistica che qui mettiamo in iperbole: le cose sono sempre andate così e il fatto che così vadano malissimo dipende dal fatto che uno dei due poli di azione – i sindacati – è debole come non mai. La diagnosi è perfetta, semmai è la prognosi che zoppica un po’. “I contratti nazionali hanno un valore puramente orientativo, tutto viene regolato in base a rapporti di forza che da decenni sono squilibrati a favore dei datori di lavoro. Di cosa stiamo parlando? I governi possono metterci una pezzetta…”.

Creare un modo di pensare, e farlo realtà

Andiamo a silloge: pare di aver capito che Cacciari non veda nel salario minimo una soluzione non perché esso non sia scelta giusta, ma perché quella giustezza cozzerebbe contro meccanismi ineluttabili. Un po’ il filosofo ha ragione, nel senso che a voler essere precisi il salario minimo andrebbe applicato ad una serie limitata di categorie e non a quelle che si sfasciano stagionalmente e che a volte sono sotto capestro di “master mannari”.

Tuttavia è il principio che va rivisto, ed è quello per cui se nel mondo del lavoro messo in canone di discussione venisse introdotta una somma minima sotto cui scendere è illegale partirebbe un fenomeno. Una cosa cioè che Cacciari conosce bene. Inizierebbe cioè ad autoedificarsi una nuova realtà nella quale l’approccio all’offerta di lavoro andrebbe via via a stemperarsi in una maggiore considerazione per il lavoratore.

E il paradosso del Cacciari-pensiero sta tutto in quello che il filosofo ed ex sindaco di Venezia ha detto sul Reddito di cittadinanza. Cioè sull’altro polo magnetico che assieme all’occupazione regge in piedi l’intera macro questione. Sul Rdc “lo stato e i governi devono intervenire, siamo in una fase di trasformazione tecnologica che renderà non necessarie una serie infinita di occupazioni e di professioni”. Vero, verissimo.

Addio Rdc: però ecco cosa bisogna evitare

Il che a ben vedere significa che il lavoro è soggetto ad una gamma di sfumature che non potranno prescindere da una regola di partenza. Quella cioè per cui sotto una data somma non è lavoro, è roba da negrieri. “Siamo all’inizio di una trasformazione epocale, o creiamo masse di puri disoccupati con frustrazione e odio o dovremo garantire redditi decenti per tutti”. E qui salmi e musica alta partono in tuning da auto tamarra. Lo fanno perché garantire redditi decenti per tutti è esattamente la realtà come dovrebbe essere in questo dato momento e non quella com’è in purezza.

Cioè una cosa molto ma molto simile al valore del salario minimo non come fattore assoluto, ma come ottimo incentivo di partenza. Per Cacciari tutto questo dovrebbe avvenire “a prescindere dalla collocazione nel mercato del lavoro. Questi sono i temi da affrontare con un discorso serio, non con palliativi”. E birba chi solo per un attimo pensasse che il salario minimo sia un palliativo.

Anche se a pensarlo fosse un filosofo che ama più il suo pensiero dell’utilità che ad esso dovrebbe assegnare.