Partito Democratico come il Grande Fratello Vip

Oggi si conclude l’esperienza come segretario di Maurizio Martina, che però potrebbe rientrare. Matteo Renzi pensa soltanto a come rovinare lo show di Nicola Zingaretti, mentre Dario Franceschini tratteggia una lista europea larga nella quale il simbolo Dem non sia da solo. E Marco Minniti non scioglie il nodo.

Oggi al Forum di Milano Maurizio Martina annuncerà la fine di questa sua esperienza da segretario del Pd. Sta valutando se candidarsi al prossimo congresso, nel quale potrebbe essere decisivo considerato il numero dei “papabili”, ma soprattutto il probabile scontro tra Nicola Zingaretti e Marco Minniti.

Perché resta l’ex ministro dell’Interno il nome più gettonato da parte di quel che rimane del Giglio Magico renziano per cercare di fermare il Governatore del Lazio. Nell’ambito di uno spezzettamento pensato a tavolino per evitare che lo stesso Zingaretti possa superare la soglia del 50% + uno.

 

Intanto Dario Franceschini, leader di AreaDem, esce ulteriormente allo scoperto in un’intervista a La Repubblica. Dice che alle prossime elezioni europee il Pd deve presentarsi con una lista che abbia un nome nuovo. E che rappresenti “il campo largo europeista e di opposizione a questo governo”.

Con il simbolo del Partito Democratico che naturalmente deve esserci, ma non da solo. Insomma, non siamo ad una nuova svolta della Bolognina, ma poco ci manca. Infine, particolare non trascurabile, Franceschini aggiunge che soltanto Nicola Zingaretti può unire. Non altri.

 

Nel frattempo, in un’intervista pubblicata ieri dal Corriere della Sera, Nicola Zingaretti risponde così alla domanda se non si vedrebbe bene anche come sindaco di Roma: “Forse a qualcuno farebbe piacere, ma io mi candido alla segreteria nazionale del Pd”.

In effetti, le azioni politiche di Virginia Raggi sono in caduta libera, ma quello che emerge è la volontà di molti esponenti del Pd, di area renziana, di provare a bloccare in ogni modo l’avanzata di Zingaretti nel Partito.

Fra le altre cose appare abbastanza evidente che a Roma ci sia una sorta di opa sulla candidatura a sindaco da parte della Lega di Matteo Salvini.

 

Ma perché Zingaretti è così indigesto al Giglio Magico? Forse perché esprime il concetto di una leadership condivisa e plurale, l’esatto contrario della logica dell’uomo solo al comando dotato quasi del crisma dell’infallibilità papale.

Però adesso il presidente della Regione Lazio deve cercare anche di scongiurare rischi di una scissione. Non si sa mai. Lo scenario del bambino capriccioso che porta via il pallone quando perde, ci sta. Per questo bisogna creare le condizioni di un terreno condiviso all’interno del Partito Democratico.

Sui programmi innanzitutto, su temi come la solidarietà, la redistribuzione del reddito, le politiche di equità sociale e fiscale, la gestione dell’immigrazione, le politiche economiche, i rapporti con l’Europa.

Ma pure sui rapporti interni, con gli altri candidati alla segreteria e con i leader.

 

La domanda però resta la stessa: Matteo Renzi accetterebbe di restare nel Pd in minoranza e da semplice senatore? Oppure guarderebbe nella direzione di un centro lasciato orfano dalla crisi senza ritorno del berlusconiano?