Il senso del silenzio di Antonio Pompeo

Sette giorni fa il caso Ferentino. Usato per mettere in imbarazzo il sindaco. Soprattutto nei suoi ruoli di presidente della Provincia e leader di Partito. Le analogie con Frosinone ed il caso che colpì l'amministrazione Ottaviani.

Giusto una settimana fa esplodeva l’inchiesta sul Project per il cimitero di Ferentino. L’ipotesi d’accusa è che il consigliere comunale delegato a seguire quell’opera avesse taglieggiato l’impresa vincitrice dell’appalto: una tangente da pagare a rate e l’aiuto di manovali della malavita organizzata per sollecitare la riscossione che invece tardava. Un caso imbarazzante per l’amministrazione comunale, guidata da Antonio Pompeo un sindaco che è anche Presidente della Provincia ed è pure leader della seconda componente Pd sul territorio, con ambizioni parlamentari.

Il caso impone alcune riflessioni. La prima: il consigliere Pio Riggi, accusato della concussione, non si trova recluso nel penitenziario della Cayenna, la colonia penale dell’Isola del Diavolo nella Guyana francese, dove la Repubblica inviava i suoi criminali condannati in via definitiva. Riggi è in custodia a Regina Coeli in attesa che le indagini accertino la sua posizione di fronte ad una serie di indizi e fonti di prova che appaiono molto consistenti. Al punto che un magistrato ha chiesto di privarlo della libertà ed un altro ha convalidato. Tra la Guyana (pena accertata) e Regina Coeli (indagini aperte) c’è una sottile differenza.

La seconda. Il consigliere è l’unico amministratore del governo Pompeo ad essere iscritto nel Registro degli Indagati per una faccenda che è grave, seria, preoccupante per i suoi contenuti ed i suoi contorni.

Il terzo. Troppo ghiotta l’occasione per gli avversari. Sul sindaco – presidente – leader di componente Antonio Pompeo si sta concentrando il loro fuoco di fila. Viene giudicata troppo debole la sua presa di distanze, dichiarata la mattina stessa degli arresti al suo collaboratore. Si tenta di accreditare l’infamante sospetto che la sua amministrazione sia in mano ai clan camorristi. Dal momento che il consigliere Riggi è sospettato di essersi rivolto a manovali dei clan.

Partiamo da qui. Dall’opposizione che ha ritenuto opportuno salire al Palazzo di Governo ad esternare le proprie paure al prefetto Ignazio Portelli. Il quale ha risposto nell’unico modo che la lealtà verso le istituzioni consentiva: non c’è alcuna ipotesi di infiltrazione camorrista a Ferentino, né ndranghetista, né mafiosa, né della Sacra Corona, tantomeno delle triadi cinesi, delle cosche montenegrine. Al momento. Se ci sia stata compete a quelle indagini di cui sopra individuarlo. Ma ad ora non c’è nemmeno il sospetto.

Se domani arriverà, sarà un’altra storia. Ma, come si dice da queste parti ‘se’ avevo le ruote ero una carriola.

Il rispetto istituzionale fornito dal prefetto è un segnale che non va sottovalutato. Rispetto per la magistratura e le forze dell’ordine che stanno svolgendo nel massimo riserbo un lavoro delicato. E non vanno tirate per la giacca in una diatriba politica. Rispetto per l’istituzione Comune: non c’è un’inchiesta aperta sulla giunta o la maggioranza. Che non vanno infangate con accostamenti suggestivi. Altrimenti quell’integerrimo sindaco di Frosinone che risponde al nome di Nicola Ottaviani a quale pena avrebbe dovuto essere sottoposto dopo avere subito l’arresto del suo vice sindaco in carica (non un semplice consigliere) per una faccenda di tangenti? Situazione analoga a quella di Ferentino (tranne l’aggravante della manovalanza) e definita senza che nessun sindaco, assessore o consigliere, oltre all’interessato, siano stati poi inquisiti.

Il silenzio di Antonio Pompeo, in una politica fatta di insulti e grida, appare fuori luogo a chi vorrebbe trascinarlo per la giacca all’interno della rissa. Ad impedirglielo non è l’imbarazzo. Non è la vergogna. È quel senso del decoro che fino ad oggi le istituzioni di Ferentino (maggioranze ed opposizioni) hanno saputo conservare negli anni, lasciando pulita la faccia della città e le mani delle amministrazioni. Evitando così un gioco al massacro che è diventato di moda da un quarto di secolo a questa parte, con la fine della I e l’avvento della II Repubblica. Ottenendo un solo risultato: delegittimare tutta la politica. Di destra e di sinistra, di maggioranza e di opposizione.

Una delegittimazione che in questo momento nessuno si può permettere.