Remo Tagliaferri, l’eroe nascosto di Collepardo

La Banalità del Bene la raccontò Giorgio Perlasca ad Enrico Deaglio che ne ricavò lo splendido libro grazie al quale ora conosciamo la storia di questo straordinario uomo comune che salvò migliaia di ebrei. Anche a Collepardo, in maniera del tutto naturale, ritenne fosse suo dovere salvare le vite degli internati. Si chiamava Remo Tagliaferri

Fernando Riccardi

Historia magistra vitae

Remo Tagliaferri, classe 1916, nativo di Collepardo, agente di pubblica sicurezza, fin dal 1939 era tra le guardie (12 carabinieri e 15 poliziotti con 3 sottufficiali) preposte alla sorveglianza del campo di internamento di Campagna, località del salernitano molto vicina ad Eboli.

Il campo allestito in due vecchi conventi, (San Bartolomeo, oggi sede del museo civico, e Immacolata Concezione), di proprietà del comune, già utilizzati dagli allievi ufficiali del Regio Esercito, poteva ospitare 800 persone. Le condizioni di vita erano accettabili: in tre anni morirono solamente, e di tifo, due reclusi.Gli internati – racconta Tagliaferri – potevano uscire tre volte al giorno, mattina, mezzogiorno e sera, ed erano liberi di camminare per il paese, entro i confini delimitati da strisce di calce e da cartelli scritti in cinque lingue”.

Pur in semilibertà, i prigionieri devono attenersi a precisi orari e a itinerari segnati da strisce di calce. Ma Tagliaferri concede più ampia libertà e la possibilità di entrare in paese. Alcuni reclusi sono medici e Remo li incarica di occuparsi della salute delle famiglie più povere e disagiate.

Il campo ospitava ebrei rumeni, russi, boemi, iugoslavi e, almeno all’inizio, anche un piccolo contingente di italiani. Fu soprattutto un luogo di transito con deportati che andavano e venivano. Nell’estate del 1943 lì si trovavano 150 reclusi: i più provenivano dalla Germania e dall’Austria. Gli altri erano cechi, polacchi o ebrei di Fiume.

Tutto cambia l’8 settembre ’43

L’annuncio dell’armistizio sul Corriere

Con l’armistizio dell’8 settembre le cose cambiarono radicalmente. I militari italiani dovettero cedere il posto ai reparti tedeschi. Tagliaferri intuì subito la minaccia.

Una sera, viene a sapere che il trasferimento dei prigionieri in Germania è fissato per il giorno successivo. È allora che. d’accordo con il direttore del campo, lascia segare le inferriate di una finestra e tiene aperto durante la notte il cancello di San Bartolomeo. Permette così ai circa 150 ebrei di fuggire sulle montagne limitrofe. Nell’ex convento rimasero soltanto due anziani reclusi che non potevano muoversi.

Al mattino i tedeschi iniziano con i cani lupo le ricerche degli evasi. E soprattutto di Tagliaferri. Il guardiano dal cuore buono ha trovato rifugio sul campanile del convento della Madonna d’Avigliano, poco distante. I militari perquisiscono il monastero ma tralasciano il campanile. Remo riesce a scappare sulle montagne di Acerno dove sopravvive per diversi giorni, sfamato dai pastori per tre mesi “brancolando come un animale che fugge”.

Nel 1953 il Parlamento d’Israele incaricava l’istituto Yad Vashem di Gerusalemme di accordare il termine di ‘Giusti tra le Nazioni’ a coloro che avevano rischiato la vita per salvare gli ebrei dalla repressione nazista. In questo corposo elenco il Comune di Collepardo ha chiesto di inserire anche Remo Tagliaferri. Anche perché la sua, al di là dell’atto in sé, non fu una storia marginale. E adesso vediamo il perché.

Il caso Palatucci

Giovanni Palatucci

Negli ultimi tempi, grazie anche ad una bella fiction televisiva, è stata riscoperta la figura del Commissario di Pubblica Sicurezza Giovanni Palatucci e il suo eroico impegno nel sottrarre gli ebrei al carnefice nazista.

Nato a Montella, nell’avellinese, nel 1937, fu trasferito a Fiume e qui divenne responsabile dell’ufficio stranieri, commissario e, infine, questore reggente. Pur iscritto al Partito Nazionale Fascista, Palatucci, fervente cattolico, non aveva condiviso le leggi razziali e si adoperava per attutirne le conseguenze. Da subito si dette da fare per salvare gli ebrei (solo a Fiume ve ne erano 3.500) sottraendoli alle grinfie della Gestapo, anche se il suo impegno cozzava contro l’intransigenza del prefetto Temistocle Testa, inflessibile antisemita. Rifiutò persino il trasferimento a Caserta pur di continuare la sua opera.

È stato calcolato in più di 5.000 il numero di ebrei salvati da Palatucci nel corso della sua permanenza fiumana. Nel novembre del 1943 le cose precipitarono: Fiume passò sotto il comando tedesco e in città arrivarono le famigerate “SS”. Palatucci, pur avendo la possibilità di fuggire, decise di rimanere al suo posto. Per lunghi mesi, lì dove lo Stato italiano non esisteva più, a capo di una questura fantasma, continuò a nascondere e far scappare gli ebrei facendosi beffe dei nazisti. Bruciò gli schedari per impedire l’identificazione, dette soldi e viveri a chi si doveva nascondere, procurò il passaggio su navi dirette verso l’Italia meridionale.

Nel settembre del 1944 venne arrestato dagli agenti della Gestapo e rinchiuso nel carcere di Trieste. Fu poi trasferito nel campo di Dachau dove morì qualche mese dopo a soli 36 anni. Nel 1990 lo Yad Vashem lo nominò ‘Giusto tra le Nazioni’ e nel marzo del 2004 Giovanni Paolo II lo proclamò Beato.

A questo punto qualcuno potrebbe chiedersi: cosa c’entra Palatucci con Tagliaferri?

Palatucci e Tagliaferri

Il vescovo Giuseppe Maria Palatucci

I rapporti furono molto più stretti di quanto si possa immaginare. Quando nel 1940 scoppiò la guerra Palatucci riuscì ad inviare nel campo di Campagna, spesso anche via mare, numerosi ebrei. Proprio in quel campo dove Tagliaferri faceva il custode. Giovandosi della preziosa collaborazione dello zio, monsignor Giuseppe Maria Palatucci, vescovo di Campagna, il coraggioso avellinese fece giungere lì centinaia e centinaia di persone salvandole dai lager nazisti.

Sembra che Campagna fosse l’epicentro – scrive Sergio De Gregorio – di un gigantesco piano di salvataggio architettato da Palatucci per salvare da sicura morte centinaia, forse migliaia di israeliti”. Piano che non si concretizzava solo inviando gli ebrei nel campo: gli stessi abitanti di Campagna accolsero molti di quei profughi nelle loro abitazioni, correndo rischi gravissimi. Circostanza che ha indotto il ‘Comitato Palatucci’ ad intraprendere presso lo Yad Vashem una pratica mirante a far attribuire a Campagna il titolo di ‘Città dei Giusti’.

L’intesa con lo zio-vescovo era totale. Quando intuiva che gli ebrei correvano seri rischi li faceva trasferire nel salernitano. Stratagemma che riuscì fino al settembre del 1943 quando anche nel campo di Campagna arrivarono i tedeschi.

Ormai i due non avevano più spazio per manovrare. E fu allora che protagonista diventò Remo Tagliaferri di Collepardo. La decisione di far scappare i prigionieri rinchiusi in San Bartolomeo fu repentina quanto convinta: era l’unica maniera per sottrarre quei poveretti ad una sorte nefasta. Lasciando aperto il cancello del campo non fece altro che proseguire e completare la nobile impresa di Palatucci. Senza il suo intervento, infatti, sarebbero stati deportati nei lager nazisti.

Tagliaferri dopo la guerra

Dopo essere andato in pensione col grado di maresciallo, nella Giornata della Memoria del 2004 Remo Tagliaferri ha ottenuto un solenne riconoscimento dalla Presidenza della Regione Lazio. A consegnarglielo è stato l’allora presidente Francesco Storace.