Lavori fantasma durante le elezioni: il giudice condanna gli assunti da Salvati

Il Giudice del Lavoro esamina il ricorso del primo gruppo dei 105 assunti in Comune dal sindaco Salvati durante le elezioni del 2017. Richieste respinte. E condannati a restituire al Comune le somme ricevute

Le assunzioni fatte dal Comune erano nulle. Se servivano solo a procurare consenso nelle imminenti elezioni cittadine lo valuterà un altro magistrato. Intanto c’è il concreto dubbio che quei lavori siano mai esistiti. Anche per questo il Giudice del Lavoro del Tribunale di Cassino ha respinto le richieste fatte da un primo gruppo dei 105 assunti dal sindaco Antonio Salvati al Comune di San Giovanni Incarico nel periodo delle Comunali 2017. Non solo. Li ha condannati a restituire i soldi che avevano ricevuto a titolo di anticipo.

Assunzioni sotto elezioni

Il caso è quello dei 105 assunti con contratto di lavoro a chiamata dal 24 aprile 2017 al 30 giugno di quello stesso anno. Il 13 giugno si votava per il rinnovo del sindaco e dell’amministrazione cittadina.

Tre ore di lavoro al giorno, dal lunedì al venerdì: per fare assistenza domiciliare a chi non era autosufficiente. Un’iniziativa per la quale l’allora sindaco Antonio Salvati venne accusato sui palchi di avere dato una mancia agli amici.

Vinse le elezioni la cordata avversaria, guidata da Paolo Fallone. Che tra i primi atti annullò quelle assunzioni. In autotutela, con le determine 288 – 289 e 290 dell’undici dicembre 2017: “Poiché autorizzate in palese violazione delle inderogabili norme di ordine pubblico di cui agli articoli 174 e 175 del decreto legislativo 267 del 2000“.

Si tratta delle norme contabili con cui si disciplina la predisposizione dei bilanci.

Dateci i soldi

A gruppi, quasi tutti i 105 lavoratori si sono rivolti al tribunale di cassino. Chiedendo di avere l’applicazione del contratto nazionale di categoria Colf e Badanti, l’inquadramento nella Seconda categoria Super oltre agli accessori previsti dalla Legge.

Insomma, chiedevano un inquadramento in base al contratto e soprattutto i soldi che non avevano ancora ricevuto dal Comune.

Il primo gruppo è comparso di fronte al giudice Annalisa Gualtieri. Al quale il Comune di San Giovanni Incarico ha spiegato il suo comportamento attraverso l’avvocato Annalisa Corsi. Che ha chiesto di respingere le istanze dei lavoratori e di condannarli a restituire le somme già ricevute a titolo di anticipo.

I dubbi del giudice

La sentenza è stata pubblicata nel pomeriggio. Il magistrato ha respinto le richieste dei lavoratori (il primo gruppo era composto da 4 persone). Ha accolto le richieste del Comune.

Scrive il magistrato che viene contestato dal Comune “l’effettivo svolgimento della prestazione lavorativa. I ricorrenti sostengono di avere svolto mansioni di assistenza domiciliare a portatori di handicap e persone anziane. Ma non ne hanno poi indicato, in qualità di testimoni diretti, proprio tali persone“.

Manca poi il riferimento all’esistenza “degli indici di subordinazione che avrebbero dovuto caratterizzare tale prestazione“. In pratica: se sei un dipendente del Comune allora indicami chi ti dava gli ordini e come veniva organizzato il tuo lavoro.

La richiesta fatta dal sindaco Paolo Fallone per la restituzione dei soldi già dati in anticipo dal suo predecessore Antonio Salvati? Nel caso di una Pubblica Amministrazione, spiega il giudice “qualora risulti accertato che l’erogazione sia avvenuta sine titolo” le somme devono essere restituite anche in presenza della buona fede di chi ha ricevuto i soldi.

Insomma: i 4 lavoratori devono ridare i soldi. Per loro non ci saranno conseguenze perché erano in buona fede e convinti che quelle somme gli fossero dovute. Ma devono ridarle.

Il contratto è nullo

Per il giudice “il contratto è nullo” non tanto per le violazioni ipotizzate dal Comune in autotutela. Ma perché i lavoratori non hanno dimostrato di avere svolto le mansioni per le quali erano stati assunti.

E la richiesta dei soldi “è un atto dovuto” che non lascia alcun margine all’Amministrazione. Se non reclamasse la restituzione dei soldi provocherebbe un danno alle casse civiche.

Per questo ha respinto le richieste dei lavoratori e li ha condannati a restituire gli antichi ricevuti: somme che variano dai 440 ai 470 euro. Più le spese di giudizio.

Il Comune ha segnalato il caso alla Procura della Repubblica. Sarà lei a dover stabilire se ci sia stata buona fede anche da parte del Comune mentre faceva quelle assunzioni. Oppure se servissero solo a creare consenso.