Top e Flop, i protagonisti del giorno: martedì 5 luglio 2022

I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire, attraverso di loro e quanto hanno fatto, cosa ci attende nella giornata di martedì 5 luglio 2022

I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire, attraverso di loro e quanto hanno fatto, cosa ci attende nella giornata di martedì 5 luglio 2022.

TOP

STEFANO MASSINI

Ha aperto la terza edizione del Festival della Filosofia di Veroli con la leggerezza e l’appeal che del pensiero speculativo sono il vero turbo. Per troppo tempo le idee sono state ergastolane in ceppi e sotto scacco di parrucconi disposti ad elargire scampoli alteri di sapere invece che sincere occasioni di condivisione. E Massini sta nella casella degli eletti che considerano la cultura un ponte e non un muro.

Sotto il cielo ernico il vincitore del Tony Award ha parlato del leit motiv del festival: la libertà. Di cui ha affinato declinazioni molto poco spicce e lontane dal mantra mainstream della stessa come oggetto della privazione della prerogativa di fare ciò che si vuole. (Leggi qui: La scomoda verità di Massini svelata alla piazza di Veroli).

Lo ha fatto partendo dall’assunto per cui la libertà è l’eterna aspirazione irrisolta della borghesia. È un sogno proibito che non germina perché la sua negazione sta tutta nella natura supina dei suoi fruitori. Borghesia che la libertà la anela freudianamente solo nei momenti in cui l’io lascia il posto all’es, quando sogniamo cioè, quando possiamo “urlare le nostre verità” .

Massini lo ha fatto citando l’iperbole barbara del dittatore guineiano Nguema, la parabola di un giovane USA sopravvissuto all’occhio di un ciclone e la mesta vicenda gotica e quacchera delle streghe di Salem.

Lo ha fatto tenendo a mente una realtà tanto elementare quanto granitica: la libertà non è un baccanale anarchico, ma l’insieme delle aspettative che una società complessa ha di sfuggire al caos, lasciando però qualche volta irrisolto il grande nodo di ciò che davvero vorremmo essere invece di ciò che essere dobbiamo.

E davanti ad una Veroli sempre più epicentrica rispetto ai grandi quesiti ha lasciato quel dubbio irrisolto a galleggiare in un’aria insolitamente vivace di brezza. La brezza dei momenti che contano in cui l’uomo lucida lo specchio e studia meglio quel che lo specchio gli rimanda.

Buonissima la prima.

LA MAMMA DI WILLY

I genitori di Willy

Non un urlo: né di gioia, né di liberazione. Non un applauso: né di apprezzamento, né di ringraziamento. Solo lacrime. E silenzio. La signora Lucia non ha emesso parola quando i giudici della Corte d’Assise di Frosinone hanno pronunciato il verdetto che condanna all’ergastolo gli assassini di suo figlio, Willy Monteiro Duarte. Il ragazzino di Paliano massacrato di botte a Colleferro un sabato sera per essersi intromesso mentre un suo amico veniva picchiato.

Lei sapeva che non c’era né da gridare e né da applaudire. Perché il suo Willy, quel ragazzino che aveva tirato su educato, studioso, corretto, per bene, non glielo restituirà nessuna sentenza, nessun ergastolo.

Soprattutto sa che in molti useranno la sentenza come un cerchio che si chiude. Per poter tornare a fare tutto ciò che si faceva prima. Fingendo che non esistano tanti altri fratelli Bianchi in giro per Colleferro e per l’Italia. Continuando a chiudere gli occhi. A differenza di ciò che ha fatto il suo piccolo Willy.

L’urlo del silenzio.

FLOP

NICOLA ZINGARETTI

I numeri hanno la testa dura. E dicono che Nicola Zingaretti è sul fondo della classifica elaborata dal Sole 24 Ore sul gradimento dei Governatori di Regione in Italia. Sulla parte più alta del podio c’è il veneto Luca Zaia mentre nella penultima casella della graduatoria c’è il suo collega del Lazio. Il governatore del Veneto riscuote il 70% dei consensi, quello del Lazio solo il 37%.

Poi i numeri vanno anche interpretati. Quelli delle cose fatte in questi dieci anni ci restituiscono una Regione Lazio profondamente diversa da ciò che era all’inizio. La Sanità era uno sfascio sotto il controllo di un commissario mentre oggi i suoi conti sono in ordine; quando Zingaretti entra in Regione gli ospedali venivano chiusi mentre in questi anni sono stati convertiti e riaperti (nelle province mentre a Roma c’è ancora molto da lavorare); i dati sull’economia e la vitalità delle imprese parlano di un Lazio che se la batte con la Lombardia; le fatture si pagavano dopo tre anni ora in tre settimane. Insomma, ha preso una Regione tecnicamente fallita e le ha dato una dimensione differente. Poi, a seconda della tribuna dalla quale si fa il tifo, il modello Zingaretti è piaciuto o è stato contestato.

Il vero dato che emerge da quella classifica è un altro. Nicola Zingaretti viene, per formazione mentale, da quella sinistra per la quale è peccato gravissimo il culto della personalità; Il Pci lo puniva imponendo l’autocritica all’accusato. Un peccato considerato talmente grave che fino alla fine nei manifesti del Partito appariva solo il simbolo e mai il volto di uno dei candidati. Nulla gli ha insegnato la rivoluzione introdotta dal ministro Bassanini, che ebbe il merito di svecchiare alcuni concetti arcaici della nostra burocrazia: se fai le cose ma non le fai sapere è come non averle fatte.

Dopo il boom di gradimento che lo ha portato alla Segreteria del Pd è iniziata la fase monacale, ancora più austera di quanto già si imponesse. In questo modo però nel cono d’ombra non c’è finito solo Zingaretti ma tutta la sua azione amministrativa. Rischiando di tenere al buio tutto il lavoro fatto.

Compagno, sei anche un brand.

GIUSEPPE CONTE

Giuseppe Conte (Foto: Leonardo Puccini © Imagoeconomica)

Ha rimediato la scissione con cui è finito il Movimento 5 Stelle, non ha ottenuto praticamente nulla dal Governo: ora rischia di dover ingranare la più clamorosa delle retromarce spaccando il cambio. Perché Giuseppe Conte sa benissimo di non per bloccare la conversione in Legge di un decreto nel quale ci sono 14 miliardi di euro per aziende e cittadini soffocati dal caro bollette. E tutto per il termovalorizzatore che Roberto Gualtieri vuole fare a Roma mentre Conte no.

Glielo ha detto anche l’elevato Beppe Grillo nella sua fugace quanto inutile apparizione romana: “non si può fare cadere un Governo per un cazzo di inceneritore a Roma

Ora si cerca la via d’uscita. Uno straccio di concessione con la quale salvare la faccia ad un alleato che è strategico per la tenuta del Governo.

Anche se gliela dovessero trovare, il risultato sarebbe devastante: un Partito dimezzato, una credibilità in macerie, una competenza mai dimostrata, mentre il Paese deve affrontare emergenze da Apocalisse: il clima ormai cambiato, l’acqua razionata, l’autosufficienza alimentare da raggiungere, il gas regalato alle trivelle sull’altra sponda dell’Adriatico.

Ma il Governo non si mette in discussione per questo: per l’immondizia lasciata a Roma.

Non la gestiamo.