Top e Flop, i protagonisti di mercoledì 27 dicembre 2023

I fatti, i personaggi ed i protagonisti del 2024. Per capire cosa ci attende nell'anno che è ormai alle porte.

I fatti, i personaggi ed i protagonisti del 2024. Per capire cosa ci attende nell’anno che è ormai alle porte.

TOP

SARA BATTISTI

Sara Battisti

Il 2023 è stato un anno di cambiamenti. Radicali. Il Campo Largo che ha governato il Lazio per dieci anni è finito dal rigattiere, rimpiazzato da una sorta di suicidio politico collettivo del centrosinistra che ha avuto il merito finale di consegnare la Regione al centrodestra. Il Partito Democratico si è ritrovato sulla rotta che Nicola Zingaretti aveva profetizzato prima del Covid: rinnovarsi per non ridursi ad un club. Che poi il rinnovamento chiamato Elly Schlein sia arrivato dall’esterno e non da quadri ed iscritti è materia di discussione. Non lo è il fatto che Sara Battisti sia tra le poche vincitrici di ciò che resta dopo tsunami e mareggiate.

Ha iniziato l’anno affrontando le elezioni Regionali degne de L’Aereo più Pazzo del Mondo. Con un candidato governatore coltivato per cinque anni che viene cecchinato da un Partito che nulla ha imparato dalla Gioiosa macchina da Guerra di Achille Occhetto. (Traduzione: convinti di vincere a mani basse se ne sono tornati a casa carichi di tanta meraviglia da saziare le prossime generazioni). All’atto pratico: il M5S finge di non avere governato con Nicola Zingaretti e disdice il Campo largo, Azione e Italia Viva convinte che due debolezze facciano una forza impongono di candidare Alessio D’Amato (che ben altri titoli accumulati durante la lotta al Covid aveva per imporre il suo nome), Enrico Letta pensa di essere ancora a Parigi e nessuno si accorge che sia Segretario di un Pd nel quale tutti si comportano come se a tenere lezione sia un bidello di lingua straniera.

Sara Battisti viene da lontano. Nel Partito milita dai tempi in cui per essere ammessi occorreva superare un test di dottrina politica ed avere due che garantissero per l’iscrivendo. Conseguentemente, canta e porta la croce. Giocando una partita all’ultima preferenza contro Antonio Pompeo. Che in termini di masochismo politico potrebbe fare il Segretario nazionale Pd: litiga con il suo storico vicesindaco Luigi Vittori che gli fa mancare i voti per la Provincia, per il Comune e infine per la Regione. Peggio era difficile fare.

Sara Battisti resta in regione. Anzi. Conquista la rielezione in Regione. Ma le donne non si saziano di gloria come gli uomini. Preferiscono la sostanza. Nel suo caso, quella politica. Nemmeno il tempo di troneggiare sulle macerie Dem che mette nel mirino il Congresso Regionale Pd 2023: è uno dei momenti fondamentali per la resilienza del Partito Democratico. Infatti, dal Lazio viene messo a terra in modello di Pd alternativo: nel quale ci si conta e gli equilibri si costruiscono sui numeri effettivi, non sugli accordi di Segreteria. Ne deriva che Daniele Leodori viene acclamato Segretario Regionale e Francesco De Angelis viene eletto, per merito di preferenze, Presidente Pd del Lazio. Conseguentemente, Sara Battisti assume il timone politico della componente maggioritaria in provincia di Frosinone: Pensare Democratico che per opportunità il fondatore Francesco De Angelis deve affudare.

Segue l’attività d’Aula. Grazie al lavoro fatto in queste ore (9 giorni) e soprattutto su richiesta delle opposizioni, la notte scorsa la giunta Rocca ha deciso di riaprire il tavolo di confronto con i sindacati sul fondo “taglia tasse” ovvero sui soldi da mettere a disposizione delle famiglie con reddito inferiore a 35 mila euro, per alleggerire la pressione fiscale regionale. Nei fatti: azzanna un polpaccio del centrodestra regionale. Il resto lo dirà il 2024.

Democraticamente pervicace.

MASSIMO RUSPANDINI

Lezioni di democrazia con i Fratelli d’Italia in cattedra. Piaccia o meno nel 2023 l’unico Partito Politico che abbia celebrato il proprio Congresso in provincia di Frosinone è stata la formazione di Giorgia Meloni. Per onestà intellettuale andrebbe aggiunta anche Italia Viva ma le dimensioni consentono di soprassedere.

È stato il trionfo di Massimo Ruspandini. Politico ed elettorale. I numeri dicono che nel 2023 Fratelli d’Italia è cresciuta tanto. Non solo in termine di voti. Ma di adesioni. Il che significa allargare il Partito ma al tempo stesso anche dover affrontare il fisiologico problema dell’amalgama. Che in politica è meno che semplice: perché è l’eterno gioco ad incastri del potere. Nel quale nessuno ci sta a perdere e tutti lottano per avere un centimetro in più del loro effettivo ingombro in termini di cubatura politica.

Massimo Ruspandini ne è uscito vincente, a prescindere dai contenuti margini di simpatia che produce il suo essere sovranista della prima ora. Vincente in quanto il Congresso lo ha acclamato Segretario e successore di sé stesso. Vincente in quanto è riuscito nella non scontata impresa di tenere tutti sotto la stessa cappa. E non con il collante dei numeri. Ma delle idee. Non con l’obiettivo del Congresso ma della gestione del Partito. Cosa significa?

Che Massimo Ruspandini avrebbe potuto rivendicare margini più aderenti alla dimensione della sua componente. Non lo ha fatto. Ha previsto invece il riconoscimento delle altre sensibilità interne in un mutuo gioco di reciproca legittimazione interna. Si spiega così il risultato delle recenti Provinciali. Dove ha registrato un seggio in più e soprattutto ha lasciato a tutti la possibilità di competere. Fatte le dovute differenze è il gioco che ha salvato il Pd con il recente Congresso regionale: tutti hanno avuto l’illusione di partecipare, solo chi ha i voti ha vinto.

Nel 2024 Massimo Ruspandini verrà chiamato ad un passo ulteriore. È quello di disinnescare. Ci sono realtà in bilico. Come quella di Cassino. Dove l’egoista contrapposizione interna tra Gabriele Picano ed Angela Abbatecola ha avuto l’unico risultato di obbligare il Partito a mobilitare un dirigente come Fabio Tagliaferri per costruire una sintesi. Che invece il territorio avrebbe dovuto edificare in questi anni insieme al resto del centrosinistra.

Solo la capacità di coinvolgimento e di illudere tutti che stanno partecipando ad un gioco democratico riuscirà a tenere saldo il Partito. Basterà non fargli capire che è una sola l’antica regola delle elezioni: per vincerle bisogna avere i voti.

Sovranamente democratico.

FLOP

ADAMO PANTANO

Adamo Pantano

Coraggio. Ne ha da vendere. Ha lasciato il Partito Democratico nel quale aveva un ruolo ed una considerazione. Non ha caso i vertici lo avevano individuato per pacificare il bellicoso circolo di Sora e condurlo alle elezioni Comunali. Ne è uscito mettendo sulla bilancia i suoi attributi: reclamando un ruolo ed una visibilità maggiori. Connesse non tanto alla sua funzione di sindaco a Posta Fibreno ma di tessitore dell’area Dem nell’intero circondario.

Seguito, ha dimostrato di averne. Scontrandosi però con un limite oggettivo. Quello di cui sopra e cioè il fatto che le elezioni si vincono con i voti e non con la simpatia e meno ancora con l’abilità. La Democrazia ha questa basilare, fondamentale, radicata regola.

Adamo Pantano ha provato il brivido delle elezioni politiche. Si è cimentato come sostenitore e leader di Partito in quelle Regionali. Infine ha affrontato la scorsa settimana le Provinciali. Nemmeno un traguardo tagliato.

Onestà intellettuale impone di dire che il sindaco di Posta Fibreno quelle elezioni le ha vinte. Moralmente. Perché di mostrato la capacità di aggregare, unire, sintetizzare. Che all’interno della galassia Dem gli avrebbe continuato a garantire un ruolo straordinario e di valore aggiunto.

Ma essere il primo dei non eletti significa, secondo un’antica regola, essere solo il primo degli sconfitti. A meno di non voler vedere il proprio personale risultato all’interno di un’ottica complessiva. Allora cambierebbe la prospettiva. E significherebbe essere il primo nell’appello dei convocati per i premi di consolazione. Ma nelle ore scorse Adamo Pantano ha dichiarato decaduta la riedizione del Campo Largo, accusando il Pd d’avere fatto incetta di voti e chiedendoli per i propri candidati togliendoli a lui.

Il che è la cosa più naturale, normale, democratica che esista. A meno di non far parte d’uno schema più ampio nel quale si contratta un ‘diritto di tribuna‘: cioè, io ti porto quei voti in più che a te faranno scattare un ulteriore seggio tu a me garantisci un ruolo. La reazione poco composta avuta in queste ore da Pantano dice che era convinto di vincere da solo, si aspettava che il Pd non chiedesse i voti per i propri candidati, soprattutto non ha contrattato una salvaguardia. Classici errori di inesperienza.

Chi vince governa, chi perde resta a contare.

MATTEO SALVINI

Matteo Salvini

La sintesi sta tutta nella fine dell’anno. “Non penso che De Gasperi quando pensava all’Europa pensasse alle auto elettriche ed al Mes“. La filosofia tra presepe e sciampagna da San Silvestro di Matteo Salvini sta tutta qua, in poche parole farcite da un nome grosso.

Il guaio ancor più grosso è che il leader leghista pretende sempre di spiegare cose più grandi di lui in due modi, entrambi letali. O rinunciando al tentativo di portarsi alle quote di quelle cose ma senza rinunciare al rimando storico.

Oppure, spesso in sincrono e mix, tenendosi in volo radente giusto sei centimetri sopra la pancia del Paese. Sul no al Mes, che politicamente per il Carroccio è una vittoria, c’è un loop.

Ed è quello per cui, secondo Salvini, lo spread è sceso, i gufi hanno rosicato e gli italiani sono salvi. Salvi dal dover “usare i loro soldi per salvare una banca tedesca”.

E tutto questo senza “mai” aver litigato con Giancarlo Giorgetti che sul caso Mes è letteralmente colato a picco. Davvero le cose stanno come le ha descritte Salvini?

Sul serio va ringraziata la “coerenza leghista”? Anche un solo dubbio al riguardo – e di dubbi forti ve ne sono decine – basterebbe a vanificare il tono celebrativo ed elettorale del Capitano.

Ma lui, pur sapendolo, gioca a fare il timoniere che ha evitato l’impatto sull’iceberg. E che non ne vede cento altri in mare.

Mozzo ambizioso.