Troppo grave per dividerci su slogan, la guerra di Israele è una cosa seria

Politica ed istituzioni italiane ricadono nel "trappolone" di piegare la storia di luoghi instabili alle esigenze ideologiche nostrane

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

Le premesse c’erano tutte e il dato è che nessuno le ha colte, ma è dato geopolitico in finezza e da questo punto di vista l’Italia sta alla guerra in Israele come uno spettatore di settima fila sta al maxischermo di un cinema. Solo che non è un film e qui i morti non hanno vesciche di sangue finto appiccicate sul petto. E’ sangue vero, quello che vediamo ed è giusto che esso inneschi non solo reazioni etiche, ma precise linee politiche. Siamo Occidente, siamo una democrazia e siano tra i Paesi che non hanno riconosciuto Hamas come interlocutore accreditato.

Non lo abbiamo fatto perché Hamas è un’organizzazione terroristica che ha preso in mano le redini politiche e militari di una lotta su cui si potrà anche disquisire, ma su altri piani e con altri interlocutori. Soprattutto non in un contesto come quello dell’attacco casa per casa e della pioggia di razzi che hanno colpito la fascia di Israele tangente alla Striscia di Gaza.

La percezione superficiale del problema

Non dobbiamo rivangare le (scarne) conoscenze di un quadro geopolitico che risale al 1948, non dobbiamo googolare i video sulle guerre dei sei giorni, del Kippur, su Golda Meir e su Moshe Dayan.

Saremmo ridicoli e lo saremmo perché noi in Occidente abbiamo sempre avuto una percezione gigiona ed approssimativa della questione arabo-israeliana. Crediamo che ci siano due blocchi contrapposti, che le ragioni di uno prevalgano su quelle dell’altro perché usiamo il timing di insediamento e su quello gettiamo le basi di un grossolano diritto ad esistere prima e più degli altri. Insomma, sono decenni che la più parte di noi inserisce in macro categorie quella che è una galassia impazzita di istanze.

Non facciamo eccezione neanche quando andiamo a ricoprire ruoli istituzionali o politici di rilievo, perché quando questo accade non è che scatta la Magia del Genio Geopolitico e all’improvviso diventiamo tutti Herry Kissinger. La giornata di oggi ha una sua valenza italiana, valenza tragica: Il 9 ottobre 1982 un commando terrorista palestinese attaccò la Sinagoga di Roma, uccidendo il piccolo Stefano Gaj Taché, che aveva due anni.

Valditara e il “vero antifascismo”

Giuseppe Valditara

No, restiamo quel che eravamo e con cui ci siamo formati ma dall’altro di posizioni molto più determinanti in scala di ruolo. Perciò diventiamo o neutri o pericolosi e, nel dubbio, meglio essere i primi. Sull’attacco di Hamas ad Israele ad esempio Giuseppe Valditara ha scritto su Twitter: “Non possiamo essere indifferenti di fronte agli atti di terrorismo scatenati in queste ore ai danni di Israele, baluardo di democrazia e libertà. I veri antifascisti sanno con chi stare e condannano questa brutale aggressione”.

In linea di principio non fa una grinza, ma come al solito in quelle parole ci si coglie la sottile usta per non rinunciare ad uno spottone politico. Non ci vuole un genio per capire che andare ad intortarsi nella vecchia diatriba tutte italiota del fascismo, fascismo di ritorno, fascismo al contrario è un vespaio. E cadere nel gioco dei ruoli che la Storia ha assegnato via via agli ebrei prima ed agli israeliani contemporanei oggi significa mestare su cose complicate e di maniera in un momento in cui la “maniera” ha ceduto il posto alla morte data dai terroristi. Ripetiamolo: terroristi.

Fratoianni e le colpe di Netanyahu

Di contro il segretario di Sinistra Italiana Nicola Fratopianni ha ritwittato un post di Luca Telese che solenne proclama: “Il disastro che si è abbattuto su Israele durante la festività di Simchat Torah è chiaramente responsabilità di una sola persona: Benjamin Netanyahu.

Intervistato al corteo romano della Cgil Fratoianni aveva condannato l’attacco terroristico di Hamas ad Israele ma l’aveva chiosata in linea di principio generale. “Dobbiamo garantire due cose fondamentali: i diritti del popolo palestinese martoriato e la sicurezza dello stato di Israele. Fino a quando non ci saranno interventi come questi continueranno a crescere gli estremismi: l’estremismo di Benjamin Netanyahu e quello di Hamas.

Fratojanni dimentica che non c’è stato un solo premier con la Stella di Davide che non abbia condotto linee nettissime contro l’estremismo palestinese. Rabin formò gli accordi di Oslo ma era stato un soldato ed un comandante sul campo tra i più efficaci di sempre.

Analisi per certi versi impeccabile ma sbagliata a monte, quindi assolutamente inutile nel suo tondo raziocinio scodellato a valle. Insomma, neanche di fronte ai morti stanati casa per casa, alle donne violate ed al cecchinaggio di strada la politica italiana riesce a fare quadrato sulla coerenza che deriva da buon senso e conoscenza del quadro che si presenta. Manca solo l’ironia amara sul rave a cui hanno fatto irruzione i terroristi ammazzando decine di giovani ed i rave che hanno diviso l’Italia nel primo step legislativo “forte” del governo Meloni.

Il presidente Rocca, non della Pisana: della Cri

Francesco Rocca ha voluto dire la sua non come uomo al vertice della Pisana, ma Presidente della Croce Rossa Internazionale. Lo ha scritto in inglese, quel che provava. “Sconcertato dalla preoccupante escalation di violenza armata in Israele e nella Striscia di Gaza. Bisogna proteggere vite e infrastrutture civili, operatori e strutture della sanità, gruppi umanitari. Neutro, sul pezzo e senza dito nel tritacarne ideologico a cui la faccenda ha dato birra.

Il dato è che sono posti malemalissimo i presupposti per esercitare quel diritto di opinione, quelli e il principio per cui la politica dovrebbe saper riconoscere i momenti austeri in cui abdicare dalla faziosità subliminale è atto dovuto. Hamas non è lo “stato” di Palestina, Hamas è il braccio armato ed illegale di un sistema complesso di istanze che nel momento in cui sono state appaltate da Hamas hanno perso ogni spendibilità ideologica e storica.

Sono decenni che noi italiani (e noi occidentali in genere) ci troviamo a leggere delle distinzioni tra sunniti e sciiti ma sul tema non abbiamo raggiunto nulla più che una beota conoscenza a pelle in modalità barbabietola da zucchero e confini dell’Umbria. Quella per cui “sono tutti uguali, scannatori, estremisti e pronti ad ucciderci tutti”.

Lunghi decenni di luoghi comuni

Antonio Tajani (Foto: Sergio Oliverio © Imagoeconomica)

E sono decenni che di Israele sappiamo solo che fa la guerra da oltre mezzo secolo, che è il paese nato dai cascami terribili dell’Olocausto e che lì all’occorrenza sono tutti o soldati cazzutissimi o spioni a 24 carati. Non funziona così e in politica attiva servono posizioni generali più nette e linee che presuppongano competenza. Antonio Tajani in questo senso si è distinto. Alla Farnesina non ci stai senza sapere quel che dici, altrimenti sono guai serissimi.

“Va sventato il rischio di una escalation che avrebbe conseguenze incalcolabili e incontrollabili sul piano regionale, che andrebbero a sommarsi a un quadro già difficilissimo in altre aree del mondo, a partire dal conflitto in Ucraina. E ancora: “In Medio Oriente vanno tenute debitamente presenti le complesse dinamiche di una regione in movimento. (…) Ho già parlato sia con il ministro degli Esteri israeliano Cohen che con il mio omologo egiziano Shukri e il ministro degli Esteri giordano Ayman Safadi, per auspicare un dialogo che porti a un abbassamento della tensione, e mercoledì sarò in visita ufficiale in Egitto per incontrare il presidente Al-Sisi”.

Il Tajani che ci voleva e che la mette giù bene

E i partner per evitare il peggio di quel che già è peggiore di tutto quello visto in passato in quei territori? “Contiamo molto sull’Arabia Saudita, sulla Giordania e sull’Egitto, quest’ultimo ha canali di comunicazione efficaci con Hamas, affinché possano compiere un’opera di mediazione”.

Esattamente la linea che ci voleva. Perché il quadro è questo: Fatah (che odia Hamas, contro cui perse le prime elezioni) da dentro e Fratelli Musulmani da Sud (cioè l’ala egiziana dell’integralismo) sono la sola speranza di consegnare con soffiate mirate gli esponenti dell’ala “iraniana” di Hamas a Netanyahu.

Ad oggi non ci sono ancora prese di posizione ufficiale dell’ala “quatariota” di Harakat al-Muqawama al-Islamiyya, quella meno massimalista. Tuttavia già ieri l’altro trapelavano notizie su un dossieraggio furioso dei servizi giordani per valutare la plausibilità di scenario. I giordani li chiamano tutti, quando serve un lavoro ben fatto. Tutti, e Tajani che sta alla Farnesina lo sa benissimo. Non è così semplice perché non è più tensione, ma già ingaggio, ci sono morti fatti e ostaggi nascosti.

Lo “scoop” del Wall Street Journal

Il Wall Street Journal ha scritto di avere le prove di un coinvolgimento diretto dell’Iran ma gli Usa hanno fatto un netto distinguo tra la solidarietà a prescindere di Teheran con qualunque frangia che colpisca Israele e una pianificazione attiva e cooperante con Hamas.

Insomma, è plausibile ma non è ancora certo e di certo non ci si possono impalcare step politici improvvisati. Tajani ha detto una cosa molto simile a proposito dei razzi hezbollah lanciati dal confine nord dopo l’attacco a sud-ovest. Per lui bisogna capire se quelle sono state “granate di solidarietà” o effetto una strategia a tenaglia.

Oggi siamo tutti geopolitici ed esperti di sicurezza internazionale, secondo un loop per cui gli italiani multitasking non sono secondi a nessuno. Tuttavia vi vuole cautela, anche nel linguaggio dei nostri politici e nella frenesia di apparire “studiati” ed eticamente “in asse” sui social.

I servizi del Cairo: “Bibi sapeva da 10 giorni”

Benjamin Netanyahu

Il media israeliano Yedioth Ahranoth sostiene che il capo dell’intelligence egiziano avrebbe chiamato Netanyahu dieci giorni prima dell’attacco di Hamas per avvertirlo di “qualcosa di insolito, di un’operazione terribile” che stava per avere luogo da Gaza. Qualcuno sussurra in punto di malignità e non di obiettività provata che Bibi avesse bisogno di compattare il suo popolo, ma è una lettura terribile quanto inverosimile. Come quella di Roosvelt che sapeva delle mire giapponesi su Pearl Harbour, roba complottarda un tanto al chilo.

C’è una concreta possibilità, è vero: quella per cui l’Iran sciita e nuke voglia Gaza sunnita distrutta e un movente. Una scusa per agire nel nome di un panislamismo solidale che non è mai esistito ma che ad Occidente, tranne che negli uffici delle “barbe finte”, più o meno tutti credono che esista. O quanto meno per fermare la stretta di mano di Tel Aviv con Riyad, che ha i cantieri pieni di operai che vengono da Israele.

Ma le analisi hanno due piani: quello mainstream delle gente che ne può fare anche di sceme o approssimative. Noi non facciamo poi così danno, quando ci inventiamo piccoli Kissinger, al limite facciamo ridere amaramente.

Il diritto all’opinione e il dovere del buon senso

Poi quella della politica e delle istituzioni che non possono permettersi alcuna approssimazione o derapata partigiana interna. Perciò non è sbagliato parlare di servizi sbragati, di un Amman quiescente ed impegnato a fronteggiare la “minaccia” dei moti contro la riforma della Giustizia di un Paese che ha bisogno di essere compatto per essere quello che è. Non è sbagliato stare dalla parte dei “buoni” avendo cura di non cadere nella retorica un tanto al chilo.

E non è sbagliato, anzi, condannare il terrorismo, ma guai a usarlo come cartina di tornasole per mulini ideologici di un occidente quieto e stabile. E guai a fare la stessa cosa per indicare il quadro generale spiegando che le truci conseguenze dello stesso hanno bisogno duna nuova visione. Quelli che stanno macellando israeliani vicino Gaza sono terroristi e da noi il terrorismo lo si combatte e basta.

Quello ed il fascismo non li si usa mai come lente sociologica. A suo tempo noi ci provammo ed a cicli ricorrenti ci proviamo ancora, ma non è andata a finire molto bene. Basta ricordarselo.