Tutti i segreti del congresso Pd, raccontati da dietro le linee

Il congresso del Pd tra strane coppie e soliti intrighi, citazioni di Berlinguer e selfie

Camilla de Tourtrissac

Tagliacucitrice con gusto

Non è stato facile, intrufolarsi da Memmina a Frosinone nascondendo un borsone. «Materiale politico per il Congresso» ho azzardato con uno degli inservienti e nessuno ha sospettato. Del resto, il servizio d’ordine è un retaggio del Pci che nel Pd non trova spazio. Per mia fortuna. Altrimenti avrebbero scoperto parrucca ed abiti di ricambio.

Invece nessuno ci ha fatto caso. E sono riuscita a confondermi tra i 13.242 delegati all’assemblea del Partito Democratico riunitasi sabato scorso per eleggere il Segretario Provinciale, il Presidente del Partito, i vice e tutta la pletora di dirigenti. La mattina mi sono mescolata con le truppe di Simone Costanzo, il pomeriggio con quelle di Domenico Alfieri. Ed ho preso nota di tanti piccoli dettagli.

Il primo: non è vero che i delegati fossero per il 50% uomini e per il 50% donne. Sarebbe più onesto dire che erano per il 40% uomini, il 40% donne, il restante 20% soggetti dalla sessualità non definita. Un Partito moderno come il Pd potrebbe iniziare a prevedere la parità di genere comprendendo anche chi, come me, si sente un po’ ed un po’ a seconda delle giornate.

Arriva Sara Battisti, alle ultime ore da presidente provinciale del Partito: sembra la rappresentazione de La Caduta degli Idoli. Nessuno la nota: potrebbe girare nuda ma nessuno se ne accorgerebbe. Invece sbagliano: sia per il fisico in gran tiro che per l’intelligenza politica. Ha imparato la vecchia arte maoista del ‘massimo risultato con il minimo sforzo’: con soli 150 voti, diluendosi nella lista di Francesco De Angelis, ha capitalizzato portando alla sua componente la vice segreteria provinciale e la vice presidenza del Partito.

C’è poi il mistero di Maria Spilabotte. Per tutti è stata la grande assente al congresso: falso. Non ha snobbato la riunione, tantomeno l’ha disertata. E’ apparsa per alcuni minuti, pallida ed emaciata come una moribonda Mimì nel letto di dolore della Signora delle Camelie. Non si prepara a trasfigurare e dissolversi dopo le prossime elezioni: aveva la febbre alta e nonostante tutto ha provato a seguire i lavori del congresso. Ma dopo una ventina di minuti si è ritirata nelle sue stanze.

Tanto tutto era già stato deciso. Francesco Scalia e Francesco De Angelis il congresso lo avevano già fatto qualche sera prima, a cena: unico testimone, Corrado Trento di Ciociaria Oggi che si era mimetizzato in un paralume ed ha ascoltato tutte le loro conversazioni. Presidenza, vice presidenza, commissione di garanzia, fino a definire la casella delle scuole di formazione e dei portatori di carta dalla fotocopiatrice.

Con tutte le caselle al loro posto, i due Franceschi non hanno avuto bisogno di concentrarsi sui contenuti del Congresso. E’ per questo che, sornioni, non si sono dedicati tanto all’analisi politica ma si sono dilettati nei commenti su alcune delegate presentatesi in gran tiro, dimenticando che stavano da Memmina e non al Grand Hotel de Ville.

A riportarli alla realtà sono stati il Buono, il Cattivo e lo Smilzo, arrivati da Roma. Fabio Melilli (segretario Regionale Pd) alias ‘Il Buono’ è quello che nelle trattative ha sempre tentato di mediare ma chi è troppo buono non ottiene molto; ‘Il Cattivo’ Bruno Astrorre (senatore, anello di congiunzione con Renzi e Guerini, il reuccio di Roma) è quello che formalmente doveva rappresentare l’autorità centrale; ma il vero ‘malamente’ è stato ‘lo Smilzo’ Andrea Ferro (presidente della Commissione per il Congresso) dall’alto della sua giuliva rotondità di 180 chili è venuto a Frosinone per assicurarsi che venisse rispettata alla lettera la linea di Lorenzo Guerini (il vero Segretario Nazionale del Pd, mentre Matteo Renzi va in giro a far credere a tutti che sia lui a governare il Partito). La dottrina Guerini è stata: «Cari Franceschi o fate pace o vi sbattiamo fuori tutti e due e azzeriamo il Pd di Frosinone».

Non gli presta attenzione il presidente della Provincia Antonio Pompeo, falsamente impegnatissimo a sistemare il ciuffo ribelle, nel suo look da piacione è stato notato sia tra le linee di Costanzo che tra quelle di Alfieri: è noto a tutti che abbia amicizie su entrambi i fronti e poco alla volta si stia costruendo una sua base di consenso.

Il clou si raggiunge quando arriva Simone Costanzo: destinato a succedere a se stesso nella carica di Segretario Politico. Elegantissimo, indossa l’abituccio del testimone nel giorno delle nozze del suo migliore amico. Nonostante lo abbiano allattato con Plasmon e Politica nel biberon è emozionato: bacia tutti, De Angelis, Buschini, Battisti, Alfieri ed in un eccesso di zelo bacia pure Scalia. Poi si giustificherà: «Lo avevo scambiato per Nazzareno Pilozzi».

Arriva il momento delle votazioni: Domenico Alfieri viene eletto presidente ma non intende fare ombra al suo Segretario Politico, altrimenti non si spiega perché subito dopo l’elezione non prenda la parola, non faccia né un intervento né una relazione. Ride soltanto, beato lui.

Viene il turno di Simone Costanzo. Prende la parola e tiene il suo discorso. Ecumenicamente, in onore di entrambe le anime del Partito, cita Aldo Moro e Enrico Berlinguer. Buon per lui che non senta i commenti in sala: alcuni tra i più giovani cercano di darsi un tono dicendo «Quando giocavano loro nell’Inter vincevamo le Coppe dei Campioni e pure quella Intercontinentale».

Il futuro del Partito, per i prossimi decenni, non sono loro. Il futuro sono ancora De Angelis e Scalia. Ma sarà buona cosa reclutare un bravo avvocato matrimonialista: non per i due Franceschi, loro – dopo tanti anni – hanno imparato a convivere. Occorre per il cattolicissimo Francesco Scalia ed il suo nuovo alleato il deputato ex Sel Nazzareno Pilozzi, la nuova strana coppia di fatto nel Pd: se Scalia apre Pilozzi chiude, se Scalia tenta la strada del congresso unitario Pilozzi imbocca subito quella del contiamoci per contare, ognuno dei due nega anche l’evidenza: un buon matrimonialista è opportuno.

Il congresso finisce con i selfie di De Angelis ormai talmente affollati che occorrerà regalargli un grandangolare per riuscire a farci entrare tutti quelli che salgono sul carro del vincitore.

Il sipario cala in musica, sulle note di Donato Rivieccio, manco fossimo alla festa della Democrazia Cristiana.

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