Se l’assemblea d’istituto è lo specchio della realtà (di H.D. Toro)

L'assemblea d'Istituto. È lo specchio di moltissime cose che i ragazzi incontreranno poi quando entreranno nel mondo degli adulti. Dove c'è chi si impegna. E chi non muove un dito ma critica quelli che si impegnano. Perché avviene. E come agire.

Henry David Toro

Preside frusinate in prestito all'Emilia

Uno dei momenti più delicati nella vita di una scuola secondaria di secondo grado è quello dello svolgimento dell’assemblea d’istituto.

Introdotta dall’innovativo DPR 416 del 1974, come strumento di partecipazione democratica nella scuola, al fine di realizzare “la partecipazione nella gestione della scuola dando ad essa il carattere di una comunità che interagisce con la più vasta comunità sociale e civica“, si perpetua oggi stancamente come strumento per fare un po’ di baldoria o, nel migliore dei casi, un giorno di vacanza da lezioni e verifiche in classe.

Quelli che soffrono di più per questa situazione sono, oltre ad alcuni docenti, gli studenti rappresentanti d’istituto, i quali hanno il compito di organizzare l’assemblea e condurla secondo l’ordine del giorno.

Credetemi, non è facile gestire un’assemblea di quasi mille studenti in una sala di un teatro o di un cinema mentre alcuni preferiscono non partecipare attivamente, altri si distraggono e chiacchierano tutto il tempo e una buona maggioranza gioca con lo smartphone.

Ma non è un pezzo contro i giovani d’oggi, questo. Tantomeno contro gli strumenti di partecipazione democratica della scuola (che pure andrebbero riformati radicalmente). Lo scrivente, anzi, confessa che a 18 anni partecipava distrattamente alle assemblee (sbagliando, beninteso).

 

Quello che vorrei mettere in evidenza invece è un altro concetto fondamentale: quello di responsabilità.

I rappresentanti di istituto e i rappresentanti di classe di una scuola hanno tutta la mia stima e considerazione in quanto, con la loro decisione di candidarsi e di rappresentare i compagni, compiono un gesto di grande generosità e coraggio.

Generosità, perché decidono di impegnarsi e di fare qualcosa per gli altri, per il bene della scuola (e quindi per il bene comune). Coraggio, perché sanno già (o, se non lo sanno, lo imparano presto a loro spese) che affrontare i problemi, finanche quelli di una piccola comunità scolastica, vuol dire gestire rapporti interpersonali, spesso conflittuali, risolvere contrasti, cercare compromessi, trovare soluzioni (anche nel caso che non soddisfino tutti gli attori in campo).

In poche parole: significa scontrarsi con “la durezza” della vita concreta (come direbbe il filosofo Jean Paul Sartre).

Quante volte ho sentito rappresentanti di classe o di istituto sfogarsi con i loro professori poiché tanti loro compagni neanche stanno ad ascoltarli, non mostrano interesse per il bene comune, se ne fregano o – peggio ancora – non fanno altro che criticare proprio quelli che hanno democraticamente eletto!

 

Nel mondo degli adulti (in quello dei social o nella società reale) avvengono cose non molto dissimili: alcune persone decidono di impegnarsi in un campo della società (politica, volontariato, lavoro), altre si disinteressano completamente di quello che fanno, altre ancora non si impegnano minimamente ma criticano coloro che si impegnano, parlano spesso senza cognizione di causa e senza tener conto di tutte le variabili che hanno determinato certe situazioni e che hanno portato altri ad impegnarsi.

Perché avviene questo? Perché nella vita bisogna fare una scelta di fondo (che uno sia studente o adulto): impegnarsi per sé e per il prossimo, tenendo sempre a mente che non si potrà soddisfare tutti, che bisognerà fare scelte dolorose, arrivare a compromessi che scontenteranno alcuni.

Oppure vagheggiare chissà quali mondi perfetti, senza spiegare mai però come si possano realizzare, e attraverso quali concreti percorsi.

 

Questa seconda categoria di persone non scontenterà mai nessuno, vivrà con meno preoccupazioni, anzi quando incontrerà qualcuno che gli farà notare le incongruenze della sua posizione magari lo attaccherà e lo criticherà, forse guadagnandosi l’appoggio di altre persone.

A noi la scelta. I webeti – la loro – l’hanno fatta da un pezzo.

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