«Vedi Compagno, la battaglie si fanno sempre dall’interno. Uscire dal Partito solo perché sei in minoranza è un piacere che si fa all’avversario: a quello interno perché levi il disturbo, a quello esterno perché indebolisci il Partito. Ricordati sempre una cosa: non ci si candida per andare all’opposizione. Ci si candida per governare i processi di cambiamento. Se ti candidi per finire all’opposizione cosa speri di poter cambiare? E’ per questo che le battaglie si devono fare sempre dall’interno. Anche se sei minoranza».
Lucido e concreto. Achille Migliorelli teneva salda la rotta anche nei giorni drammatici in cui il Pci si stava sfaldando. I più ortodossi si preparavano a dare vita a Rifondazione Comunista, la prima grande scissione dopo quella di Livorno del 1921. Molti contavano sull’ortodossia dello storico dirigente Regionale e Nazionale: speravano che li seguisse nella nuova formazione politica. Lui li gelò con la sua analisi tutta fondata sulla concretezza di Partito: «Il Partito non si divide, si cambia dall’interno»
Per tutti, nel Partito Comunista Italiano, Achille Migliorelli era l’avvocato. O, al limite, il sindaco. La sua ferratissima preparazione nel campo del diritto amministrativo aveva trasformato il proprio studio legale in un punto di riferimento per tutti gli amministratori comunali eletti nel Pci. Prima di presentare un ricorso contro una delibera o un atto, nel loro Comune, chiedevano un parere a lui. Anche perché Achille non si faceva pagare.
E non lo faceva solo per aiutare il Partito (fosse pure del più sperduto paesino). Nemmeno la povera gente era tenuta a pagare. Ciascuno dava in base a quanto poteva. Lui era fatto così. Anche per questo, quando si candidò a sindaco del suo paese, San Giorgio a Liri, lo elessero a furor di popolo. Rimase sindaco per 16 anni di fila: dal 1964 al 1980. Poi per altri 14 anni, dal 1990 al 2004. Trent’anni in tutto.
Comunista dell’ala Migliorista non divenne mai deputato perché in quel Pci Achille Migliorelli era un eretico. Fu lui a coordinare la ribellione contro il rigido centralismo burocratico che governava il Partito negli anni Settanta. Fu nel ’72: bisognava eleggere la delegazione da inviare al Regionale: riunì a Cassino le sezioni del circondario ed in quella sede denunciò il metodo autoritario con cui si imponevano alla base le decisioni; tentò di sovvertire gli ordini che erano stati calati dal centro.
Gli costo l’elezione a Montecitorio. Il conto gli venne presentato alle elezioni successive: Achille Migliorelli era una delle intelligenze più brillanti sulle quali il Pci potesse contare in provincia di Frosinone. Ma il Partito inviò alle Sezioni la ‘quaterna‘ che doveva essere votata. In modo sistematico. I candidati erano quelli ai numeri 1 – 9 – 15 – 19. Non c’era il numero dell’avvocato Migliorelli.
Aveva un rispetto sacrale per le minoranze. Anche quelle che gli erano più avversarie, come gli operaisti di Ingrao e gli stalinisti di Cossutta. Al Congresso Provinciale del 1976 bisognava eleggere i delegati che entravano nella Federazione Provinciale del Partito. Achille si rese conto che proprio l’ala di Cossutta rischiava di restare fuori dal Comitato Federale, perché troppo risicata. Non esitò ad avvicinare l’allora giovane dirigente di Aquino Oreste Della Posta e dirgli: “Se avete problemi vi faccio dirottare qualche voto e rinuncio ad uno dei miei delegati“. Di fronte allo sguardo stupito dell’ala estrema, per quel gesto proposto dal rappresentante dell’anima più liberale del Pci, Migliorelli disse «Il dibattito nel Partito non può essere completo senza che ci sia anche la vostra voce». Tutto lui.
Arguto, provocatorio, eretico e moderno anche ora che si era dedicato a fare il nonno, aveva collaborato con Alessioporcu.it. Micidiale il suo articolo di esordio: “Non ci resta che chiedere scusa a D’Alema” (leggi qui). Con la sua esperienza giuridica e politica, con una serie di articoli, aveva difeso in maniera inappuntabile la Costituzione dal tentativo di riforma proposto da Matteo Renzi.
L’uomo della grandi battaglie morali nel Pci da questa sera non c’è più. Si è spento a Roma in un letto dell’ospedale Sant’Eugenio. Era stato operato venerdì scorso: un intervento programmato, riuscito alla perfezione al punto che già sabato si valutava se dimetterlo all’inizio di questa settimana. Ma domenica aveva iniziato a non reagire ai farmaci. Avrebbe compiuto 79 anni tra pochi giorni. Ha raggiunto i grandi di quel Partito nel quale, negli ultimi tempi, giurano non si riconoscesse più. Anche se era minoranza.
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