Poteva essere Il Trionfo di Marcello. Il film andato in scena giovedì scorso al multisala Sisto di Frosinone invece è stato Il Suicidio (politico) perfetto.
Ora che i riflettori in sala sono stati spenti, le luci al quarzo si sono raffreddate ed il pubblico ha lasciato i divanetti turchese, c’è il tempo per riavvolgere la pellicola. E rivederla con tutta calma. Solo così è possibile osservare sotto altri punti di vista le sequenze dell’assemblea convocata dalla Camera di Commercio per discutere il futuro del contratto tra Acea e Comuni. E finita nel caos. Con le guardie private che salgono sul palco per portare giù il sindaco di Frosinone che si è allungato oltre i tre minuti concessi. Con il presidente dell’ente camerale che minaccia di gonfiarlo di botte. Con i sindaci di Cassino e Ceprano che urlano ai vigilantes di non toccare il primo cittadino del Capoluogo. Con il presidente della commissione Riforme della Regione Lazio che prospetta di «rompere il culo» (sic) al presidente Pigliacelli. (trovi qui la cronaca della riunione di giovedì)
Il Trionfo di Marcello
Il titolo del film visto fino ai dieci minuti finali è Il Trionfo di Marcello. Perche la riunione al Multisala Sisto si avviava ad essere un insperato successo politico del presidente della Camera di Commercio Marcello Pigliacelli. Perchè in tredici anni di contratto tra Acea ed i Comuni della provincia di Frosinone non c’era mai stato un confronto così diretto tra gestore e sindaci. Un confronto mai avvenuto non per resistenza dell’uno o dell’altro firmatario del contratto. Non si era mai fatto perché conveniva a nessuno. Perché così Acea si mette in cassa un pozzo di soldi non previsti dal contratto tra penali, rivalutazioni, risarcimenti e conguagli. Perché così i sindaci non si debbono assumere responsabilità che passano attraverso scelte che fino ad oggi raramente hanno dimostrato di saper fare, paralizzati dalla paura dei comitati e della piazza che deve poi votarli.
Il Trionfo di Marcello era già tutto qui. Avere messo nella stessa stanza, virtualmente attorno allo stesso tavolo, i due contraenti. E di averlo fatto nel momento in cui si avviano al punto di non ritorno: la risuluzione del contratto. Che – vuoi o non vuoi – per entrambi sarà un bagno di sangue economico: per i mancati introiti di Acea e per le spese che dovranno sostenere i Comuni per riorganizzarsi il servizio.
Il dono del Cielo
Marcello Pigliacelli è un uomo fortunato. A questa situazione, che già da sola poteva essere considerata un successo, si è aggiunto in apertura di lavori un vero e poprio dono del cielo. Lo ha portato il presidente della provincia Antonio Pompeo. salito sul podio ha srotolato la lettera appena arrivata dall’Autorità per l’Energia. E’ l’ente che deve decidere la tariffa dell’acqua, sentite le richieste del gestore (Acea) e dei Comuni. Acea da mesi ha fatto le sue richieste (77 milioni). I sindaci a settembre si sono spaccati (il centrosinistra diceva che a conti fatti spettavano solo 34 milioni ad Acea; il centrodestra diceva che era inutile votare perchè tanto si andava verso la risoluzione). Ed aveva vinto la posizione sostenuta da Nicola Ottaviani (leggi qui la riunione del 2 settembre). Cosa c’era scritto nella lettera sventolata da Pompeo? Che la decisione presa dai sindaci capitanati da Nicola Ottaviani il 2 settembre è carta straccia. Che o la smettono di fare chiacchiere oppure tra un mese l’Authority ci piazza altri 77 milioni di euro di conguagli da spalmare sulle bollette. In aggiunta ai 70 milioni già provocati dalle decisioni dei sindaci prese ai tempi del governo Iannarilli.
Due a zero per Marcello. Primo gola fatto: l’assemblea in atto; secondo goal fatto: l’odiato Ottaviani sconfessato dall’Authority per l’energia. Dal successo al trionfo il passo è breve.
Il ramoscello d’olivo di Acea
Non basta. La vera strada della vittoria, riservata solo ai Cesari, sta per essere lastricata sotto i piedi di Marcello Pigliacelli dal presidente di Acea Ato 5 Paolo Saccani. Sta per declinare le offerte da porporre ai sindaci. Da mesi sta dicendo in ogni intervista «Parliamo, ripartiamo, conviene a tutti: a noi perchè i soldi li prendiamo subito senza aspettare cause che durano anni. A voi perchè pagate meno e avete un servizio migliore». Saccani viene al Sisto con una serie di offerte che non si sono viste in tredici anni di Acea.
Le proposte sono riuassumibili in quattro punti. E riguardano la tariffa, le due letture annuali, il piano degli investimenti, l’iter di risoluzione. Insomma Acea scende a patti, discute, vuole salvare il salvabile. E’ dai tempi di Francesco Scalia che non succede. All’epoca l’avvocato – presidente della Provincia mise con le spalle al muro la multiutility, costringendaola ad un accordo tombale che azzerava tutto. Imponeva 100 milioni di lavori più altri 100 messi dalla Regione, tariffe calcolate per i 30 anni successivi. Tutto poi mandato all’aria. Ora si tornava a discutere.
Il suicidio politico perfetto
Il suicidio politico perfetto matura in dieci minuti. Per rancore personale, astio reciproco. Marcello Pigliacelli non sopporta Nicola Ottaviani (centrodestra) . Ha già detto che appoggerà Nicola Zingaretti (centrosinistra) alle prossime Regionali. E nei giorni precedenti alla riunione del Sisto c’è stata la rottura chiara e palese dei rapporti tra sindaco e presidente della Camera di Commercio. Marcello è convinto che la Camera sia una sua giurisdizione esclusiva, una enclave nella quale il Comune non può mettere piede. Come il Papa in Vaticano, oltre le porte della Camera di Commercio comanda la legge di Marcello. Che per farla applicare si è portato le guardie private.
E’ un invito a nozze per Nicola Ottaviani. Avvezzo alle aule di tribunale, plasmato da anni di di scontri dialettici in politica, sa che il primo fronte sul quale attaccare l’avversario è quello dei nervi. E al Sisto lo ha fatto in maniera magistrale. Ha sbattuto in faccia a tutti che anche lì dentro è sempre lui il sindaco di Frosinone. Anche con Marcello Pigliacelli presente con le sue guardie private. Sfora i tre minuti concessi per l’intervento. Ad altri avevano tolto il microfono. Lui sfida la presidenza, fingendo di essersi dilungato. Arriva a sei minuti. E’ palese che sta stabilendo la sua autorità su quella sala, il capofila dei sindaci è lui e lo sta dimostrando.
Sei minuti e 40 secondi., Scatta l’ordine di prelevarlo. Chi ha dato quell’ordine è appena caduto nella trappola scavata da Ottaviani. Nel momento in cui le guardie sono sul palco, il sindaco è libero di scatenare la cavalleria, sulle due ali del fronte. Quello istituzionale e quello politico. Al vice prefetto Ernesto Raio che tenta di conciliare, sbatte in faccia una realtà evidente: quella riunione non ha alcun fondamento giuridico, è paraginabile ad una chiacchierata tra amici fatta in salotto. Perché l’organo giuridicamete deputato a decidere dei rapporti con Acea non è il cinema di Frosinone ma l’assmblea dei sindaci. Umilia Pigliacelli quando dice alla sala «Il presidente della Camera di Commercio non ha nessuna competenza su questo tema». Passa all’artiglieria pesante. E mette in condizione il vice prefetto di alzarsi e lasciare la seduta: «Basta con il pittoresco! Passiamo all’istituzionale». E di istituzionale in quella riunione c’è nulla. Appena le guardie lo toccano urla: «Non vi permettete nemmeno!».
E’ il regalo più grande che si potesse fare ad Ottaviani. Gli permette di far saltare il tavolo. Ribaltarlo. Trasformare i vincitori in sconfitti. E gli sconfitti in vittime. I sindaci di centrosinistra e centrodestra si alzano (D’Alessandro e Galli) e si lanciano verso le guardie urlando che nessuno può permettersi di togliere il microfono ad un sindaco. Ma soprattutto scatta Mario Abbruzzese: il dominus di Forza Italia è stato in silenzio fino a quel momento. Aspettava che il fianco fosse coperto per azzannare. Urla «Lasciatelo parlare. Vergogna. Lasciatelo parlare».
Marcello è finito nella trappola. E c’è finito per intero. Non poteva pensare di dichiarare il suo appoggio a Zingaretti e la sua guerra a Ottaviani, aspettandosi che Forza Italia restasse a guardare e magari gli battesse pure le mani.
Per un attimo c’era quasi riuscito. Nessuno avrebbe potuto dirgli nulla. Anzi lo avrebbero dovuto applaudire se il film fosse finito senza i dieci minuti finali. Quelli che hanno cambiato il titolo da Il trionfo di Marcello al Sucidio politico perfetto.