Il diritto al giudizio non allineato che De Angelis ha il dovere di esprimere

Il negazionismo sugli autori della Strage di Bologna dell'uomo della comunicazione di Francesco Rocca e lo sdegno giusto ma "sbagliato"

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

Adesso che ha accontentato la piazza, che ha presentato le sue scuse a chi s’è sentito offeso, Marcello De Angelis ritratta i toni ma non i contenuti. Ed è qui ed ora che vale la pena di fare la riflessione. Perché a prescindere dal contenuto, a De Angelis va riconosciuto di avere diritto al dubbio. Un diritto che gli deriva non dalla cittadinanza: ma dalla militanza.

Cioè dall’essere stato sulla linea del fronte dove e quando si sparava e quindi di avere visto ciò che altri hanno solo letto. Ha il diritto di dire “mi sembrava diverso”. Tanto quanto lo hanno avuto quelli che a suo tempo hanno dubitato di altre sentenze. Altrettanto urticanti per la Repubblica. Come le prime sul delitto Moro, le prime sull’abbattimento del Dc9 di Ustica, sull’assassinio di Carlo Alberto Dalla Chiesa.

Un diritto che gli deriva anche da un insegnamento che diede il giudice Rosario Priore: non un insabbiatore e nemmeno un estremista ma un giudice che con pazienza, fino alla fine, ha cercato di riannodare i fili di uno dei più grandi misteri italiani. Ebbe a dire che “ una cosa è la verità giudiziaria, cosa diversa è la verità storica, cosa diversa ancora è la verità dei fatti accaduti”.

“Un terrorista è una persona schifosa”

Marcello De Angelis (Foto: Daniele Scudieri © Imagoeconomica)

Partiamo perciò dalla fine, cioè dalle parole di Marcello De Angelis: il responsabile della comunicazione istituzionale della Regione Lazio, con un passato in Terza Posizione. Non in retrovia e nemmeno in fureria. E per questi si è fatto la galera.

Oggi Marcello De Angelis ha scritto: Un terrorista è una persona schifosa e vile. Ho servito e rappresentato le istituzioni democratiche per anni e ne ho il massimo rispetto. Così come per tutte le cariche dello Stato, che da parlamentare ho contributo ad eleggere e che oggi sostengo come cittadino elettore. Fra queste e prima di tutte, la Presidenza della nostra Repubblica”.

E ancora: “Negli ultimi giorni ho espresso delle riflessioni personali sul mio profilo social, che sono invece diventate oggetto di una polemica che ha coinvolto tutti. Intendo scusarmi con quelli – e sono tanti, a partire dalle persone a me più vicine – a cui ho provocato disagi, trascinandoli in una situazione che ha assunto dimensioni per me inimmaginabili’.

”In merito alla più che quarantennale ricerca della verità sulla strage di Bologna, l’unica mia certezza è il dubbio. Dubbio alimentato negli anni dagli interventi autorevoli di alte cariche dello Stato come Francesco Cossiga e magistrati come il giudice Rosario Priore. E da decine di giornalisti, avvocati e personalità di tutto rispetto che hanno persino animato comitati come ‘E se fossero innocenti’. Purtroppo sono intervenuto su una vicenda che mi ha colpito personalmente, attraverso il tentativo, fallito, di indicare mio fratello, già morto, come esecutore della strage. Questo episodio mi ha certamente portato ad assumere un atteggiamento guardingo nei confronti del modo in cui sono state condotte le indagini.

Merito fortissimo ed accortezza linguistica

Francesco Rocca (Foto: Regione Lazio Press Service)

Chiariamola subito: il portavoce della Regione Lazio Marcello De Angelis non ha scritto cose leggere sui social. Le sue non sono state parole light su cui poggiare la speranza che andassero a fare come la gazzosa nel vino. E c’è un’altra cosa da mettere subito in chiaro. De Angelis avrebbe forse dovuto tener conto con maggior accortezza linguistica del fatto che lui ha un ruolo contiguo ad un ganglio istituzionale.

Ruolo cioè che libera energia cinetica di ritorno non (solo) addosso a lui, ma anche a chi forse non condivide le sue opinioni. O che quanto meno non avrebbe voluto che le stesse diventassero foraggio per una polemica forte. Dire a chiare lettere che i responsabili in punto di Diritto della Strage di Bologna non sono i responsabili fattuali della strage di Bologna è roba fortissima.

Lo è perché ci sono presupposti e considerazioni a margine che rendono la miscela esplosiva. I presupposti sono evidenti: la strage di Bologna del 2 agosto 1980, strage censita giudiziariamente come “fascista”, è lo step più atroce della Notte della Repubblica italiana. Con 85 vittime, oltre 200 feriti tra cui molti mutilati, un Paese segnato a vita da quella devastazione alla stazione del capoluogo felsineo non si scherza.

Ed ogni volta che se ne parla si toccano corde emotive e storiche giustamente tese come budelli per archi. Lì, in quelle terra mentale dove le immagini dell’orrore escono dalla teca dei ricordi, i dardi scattano veloci e subito. E vanno a colpire l’anima di una Nazione che per rimarginare quella ferita l’ha dovuta incasellare subito in una eziologia netta.

Fu strage fascista, ma non crederci è legittimo

Sergio Mattarella durante il discorso di Capodanno

Fu strage fascista, lo hanno detto gli atti, lo ha ribadito Sergio Mattarella pochi giorni fa e lo hanno desunto le inchieste che hanno foraggiato il pensiero collettivo italiano.

Ma cosa ha scritto e come la pensa De Angelis? Inutile girarci intorno: la pensa in modo tale da fare vespaio legittimo, ma non da legittimare che la vespe non ronzino. “Il 2 agosto è un giorno molto difficile per chiunque conosca la verità e ami la giustizia, che ogni anno vengono conculcate persino dalle massime autorità dello Stato (e mi assumo fieramente la responsabilità di quanto ho scritto e sono pronto ad affrontarne le conseguenze). La differenza tra una persona d’onore e uno che non vale niente è il rifiuto di aderire a versioni di comodo quando invece si conosce la verità”.

Poi incalza: “E accettare la bugia perché così si può vivere più comodi. Intendo proclamare al mondo che Cristo non è morto di freddo e nessuno potrà mai costringermi a accettare il contrario. Così come so per certo che con la strage di Bologna non c’entrano nulla Fioravanti, Mambro e Ciavardini. Non è un’opinione: io lo so con assoluta certezza. E in realtà lo sanno tutti: giornalisti, magistrati e ‘cariche istituzionali'”.

Il pensiero non è solo “non allineato”, ma dirompente per dove va ad allinearsi. De Angelis non insinua, De Angelis dice di “sapere”.

“Accettare una bugia per vivere comodi”

(Photo /AFP/Getty Images)

“A me, con questo ignobile castello di menzogne, hanno tolto la serenità, gli affetti e una parte fondamentale della vita. Non riusciranno a farmi rinunciare a proclamare la verità. Costi quel che costi…”.

Insomma, ci sono anche le considerazioni a margine, e quelle non è che puoi metterle nella parte bassa della hit delle cose su cui riflettere solo perché son minoritarie rispetto al pensiero comune. Spieghiamola, è duro da fare ma va fatto, perché raccontare la realtà significa anche raccontare che ci sono persone che di realtà ne vedono un’altra.

Per la strage di Bologna sono stati condannati in via definitiva “Giusva” Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini. E molto probabilmente la legge ha individuato i veri responsabili di quello scempio. Tuttavia Marcello, che è responsabile della comunicazione della Regione Lazio guidata da Francesco Rocca, è cognato di Luigi Ciavardini. Cioè è membro di una famiglia che non ha dato solo un contributo cassato all’orrore, ma anche un tributo inimmaginabile a quegli anni.

Ebbe suo fratello ucciso in galera a 20 anni e vide Luigi inquisito, Luigi che all’epoca dei fatti aveva 16 anni e che ha sempre raccontato un’altra verità. Fermiamoci un attimo e riflettiamo prima di sfoderare la spada comoda dell’indignazione. Non stiamo parlando di un’altra storia accertata, ma di un’altra storia possibile in un contesto storico dove di altre storie possibili ce ne sono state a centinaia.

La lezione sempre attuale di Foa

E quelle sì, censite da sentenze e robustissime ricostruzioni storiche. In più si sta citando un’altra storia raccontata da un uomo che quella storia l’ha vissuta e non bene, dato che era schieratissimo in ambito di eversione.

Tradotto: non è vero che De Angelis nel negare le condanne per la strage di Bologna abbia detto la verità, ma è verissimo che De Angelis abbia il diritto di ritenere che un’altra verità ci sia stata. Si chiama democrazia, quella cosa cioè che della tutela del pensiero minoritario ha fatto mission genetica.

E che proprio dalla parte in cui stava De Angelis negavano: proprio per questo gliene va somministrata in abbondanza. Per il motivo che ebbe a spiegare il senatore comunista Vittorio Foa al senatore del Msi Giorgio Pisanò: “La differenza tra noi e voi è che se aveste vinto voi, io sarei ancora in prigione o forse fucilato. Siccome abbiamo vinto noi, tu sei senatore”.

La democrazia, per quanto scalcinata, da sempre incarna l’amabile ed amaro paradosso di dover dare spazio a chi ha messo a broda pensieri che non stanno nel calderone di tutti. Insomma, il problema è quello atavico: fare i fascisti in un regime democratico è facile, è fare i democratici in un regime fascista che è duro. Tuttavia nel primo caso se qualcuno scarroccia ci si deve stare.

Le stragi di Stato che aleggiano da sempre

Achille Occhetto (Foto: Daniele Scudieri / Imagoeconomica)

Certo, hanno tutti il diritto di non essere d’accordo e di indignarsi tra quanti nelle parole di De Angelis ci hanno visto un attacco alla democrazia. O peggio ancora, alla memoria di quei morti che pesano come ghisa. Ma questo non esclude affatto il diritto alla vita di un pensiero scomodo perché non ancora sedimentato. Anche perché in Italia di situazioni scomode in cui una paciosa verità viene messa in casella dubitativa non mancano. Che ci siano stati servizi segreti a servizio di interessi non collettivi ma settoriali e truci è accertato.

Che molte delle stragi italiane siano state (anche) stragi di Stato è accertato. Perciò Marcello De Angelis è di certo un parteggiatore “violentemente” azzardato quando nega tre condanne frutto di lavorio completo delle toghe, ma non è un pazzo. Non lo è nella misura in cui si potrebbe definire pazzo Achille Occhetto quando diceva che i servizi erano deviati e tali sono rimasti. Il dato forse è un altro. Ed è quello per cui, comunque la si pensi sulla strage di Bologna e su ogni bruttura legata agli Anni di Piombo in Italia di matrice “nera”, noi non ci siamo pacificati ancora.

Come democrazia complessa ma giovane abbiamo ancora le scosse di ritorno di una polarizzazione forte a cui non abbiano saputo dare quiete. E su cui non abbiamo saputo, potuto o voluto fare “summa” etica tale da creare un pensiero placidamente aperto al dibattito storico. Brasile, Argentina, Germania, sono democrazie che hanno fatto i conti con il loro passato. E vivono bene.

Mancata pacificazione e polvere sotto i tappeti

Noi invece abbiamo ipocritamente messo la polvere sotto al tappeto, chi da un lato del tavolo e chi dall’altro, ed abbiamo finto che non ci fosse. In Fratelli d’Italia, sul tema dei conti da fare con il passato c’è chi ritiene sia tempo di uscire “fuori dagli schemi della dittatura del pensiero unico”. Cioè dice cose che stanno a metà tra tautologia ed ossimoro, ma ha il diritto di dirle, di pensarle e di farlo sapere. La politica ha le sue polarizzazioni da cui non si può prescindere. E le sue regole etiche. Regole per cui Elly Schlein e Stefano Bonaccini ad esempio vogliono le dimissioni di De Angelis. Marta Bonafoni ad esempio, ne è divenuta totem indignato.

La consigliera regionale del Lazio e coordinatrice della segreteria nazionale del Pd è sobbalzata. “Sono gravissime le affermazioni che Marcello De Angelis ha affidato a un post sulla sua pagina Facebook, due giorni dopo l’anniversario della strage di Bologna. Non soltanto De Angelis, ex terrorista dei Nar, tenta di riscrivere la storia nonostante le sentenze passate in giudicato sui fatti del 2 agosto 1980, ma si scaglia contro chi come il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ricorda la verità storica e cioè la matrice fascista della strage di Bologna.

Le ha fatto eco anche Sandro Ruotolo, della segreteria del Pd, con un tweet. Con cui attacca Francesco Rocca che non difende una verità del Capo dello Stato, verità attaccata. “Il presidente della Regione Lazio Rocca non prende le distanze dal suo portavoce Marcello De Angelis, ex terrorista Nar, che attacca il presidente Mattarella e quanti ricordano la matrice fascista della strage alla stazione di Bologna?”.

Rocca: rispettare le sentenze non esime dall’analisi

Francesco Rocca

Ma cosa ha detto Rocca sulla questione? “Marcello De Angelis ha parlato a titolo personale, mosso da una storia familiare che lo ha segnato profondamente e nella quale ha perso affetti importanti”. E ancora, con una chiave di lettura che ha superato l’imbarazzo per una circostanza non proprio semplice: Essendo il dialogo il faro del mio operato”. In serata, il confronto con Marcello De Angelis. Che è pronto a dimettersi nel nome delle sue convinzioni.

“Partiamo dal fatto che le sentenze si rispettano e, vista la mia professione di avvocato, non posso che ribadire questo. La stagione delle stragi in Italia, di cui Bologna è stato l’episodio più straziante, è ancora una ferita aperta per il nostro Paese”.

“La bomba del 2 agosto mirava a sovvertire l’ordine democratico e i valori costituzionali a noi tanto cari. Una pagina di storia dolorosa e segnata da presenze e ombre inquietanti. Il rispetto per le sentenze non esime dalla capacità e volontà di ricerca continua della verità, specialmente su una stagione torbida dove gli interessi di servizi segreti, apparati deviati e mafia si sono incontrati”.

Se la politica vuole “riscrivere la storia”

(Photo /AFP/Getty Images)

Non ci sono praticamente più dubbi sul fatto che gli esecutori della strage di Bologna siano stati individuati, tuttavia non ci sono dubbi sul fatto che chi ha dubbi può esprimerli. Il guaio della politica è che ad essa non si può appaltare il compito di riscrivere la storia.

Lo ha detto chiaramente Giovanni Pellegrino, che ha presieduto la Commissione Stragi dal 1996 al 2003. E che ha detto: “No, non mi sembra una buona idea affidare alla politica la riscrittura della storia d’Italia: la politica tende a dividersi, perdendo così di vista la verità”.

Insomma, spesso la politica usa le Commissioni per “regolare i conti”, come con la Mitrokin per mezzo della quale il Pci andò in graticola di rivalsa dopo l’ondata liberista di Berlusconi. Ma il punto è un altro e non è quello di additare una verità vera come sola stella polare. Il punto è che c’è ed oggi parla più forte perché “comanda” una generazione di persone, la “generazione Colle Oppio”. Una fetta di persone che da sempre vive il tormento della sua identità. E che vorrebbe emendarla da brutture e storture che ne disegnarono l’incedere.

Giorgia Meloni, Fabio Rampelli, Francesco Lollobrigida e lo stesso De Angelis sia pur con un viraggio più diretto sono simbolicamente vittime. Vittime di quella stessa democrazia che hanno guardato con sospetto prima che ne conoscessero bellezza, impegno diretto e lusinghe. E doveri, come quello di ingoiare l’amaro rospo di una verità scomoda ma accertata.

Vittime dei moti ondosi di animi che in alcuni casi non hanno trovato la pace per ammettere che giustizia è stata fatta. Ed anche quello di essere ancora a metà della traversata è un diritto. Diritto che chi quella traversata l’ha già fatta deve riconoscere. Perché era democratico meglio e da molto prima di quelli che accusa.