L’autunno tiepido del governo e cosa potrebbe arroventarlo, oltre Renzi

Una premier tra le "offensive di piazza" e quelle di un'opposizione che è diventata più scenografica della piazza stessa. Quasi tutta

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

Ci sono ottimi motivi per ritenere che Giorgia Meloni non stia facendo come Bertold Brecht, per il prossimo autunno. Che cioè non sia affatto “lavorando duro per preparare il mio prossimo errore”. Se c’è un elemento che con la fine dell’estate nella mistica lessicale della politica italiana non è mai mancato quello è “autunno caldo”. Il termine sta ad indicare, in maniera decisamente generalista, che di solito dopo l’avanti adagio dei mesi estivi la ripresa delle attività in autunno coincide con un avanti tutta.

Uno scatto tanto repentino quanto periglioso, soprattutto per quei Governi che non si sono molto equalizzati sulle istanze della società. Non è più così da tempo e non lo è per una serie di motivi da cui due in particolare emergono con la prepotenza delle sentenze cassate.

Sindacati diversi e partiti “usurpatori”

A rendere caldo l’autunno infatti, almeno secondo canone, non è tanto la società, quanto piuttosto le categorie che delle sue istanze si fanno carico in delega collettiva: i sindacati. E qui le note sono in parte diverse, in parte dolenti. Giorgia Meloni è forse la leader politica potenzialmente più suscettibile di tutti alle “offensive” delle sigle sindacali.

Lo è perché è la prima di destra ed è l’ultima di una lunga serie di premier che vengono da un universo collegato con la gente solo da gargarismi dialettici di maniera. Perciò il rischio ci stava. Ma c’è un altro motivo che di fatto “inertizza” in parte l’epos dell’autunno caldo. E’ quello per cui da tempo ormai le battaglie sociali sono intestate più ai partiti che ai sindacati, con le opposizioni che, avendo perso organicità della loro mission, “invadono” il campo di chi nella piazza ci abita di suo. Tra manifestazioni, sit-in, flashmob, marce e orge cartellonistiche il centro sinistra ormai ha preso possesso di una liturgia del dissenso un po’ sterile.

Un metodo che troppo spesso serve a contrappuntare scenograficamente ciò che nelle sedi naturali non si arriva a spuntare. O dei cui protocolli in purezza si è persa memoria. In sostanza: le opposizioni hanno “sfrattato” il sindacati dalle piazze e in piazza ci scendono loro per prime, ci scendono tanto e depauperano il valore di ciò che prima non aveva mediazioni politiche tra cittadino e delegato ai suoi diritti.

La sferzata a Landini e il Pil che “cresce”

Ecco perché l’autunno di Giorgia Meloni rischia di essere tiepido, sia pur con qualche distinguo. Le grandi questioni che attendono la presidente del Consiglio al varco della storia post-balneare italiana sono note.

E Meloni in esse non ci vede micce accese. Lo ha spiegato bene in questi giorni. No, lei non teme un autunno caldo. “Se uno dei principali sindacati convoca una manifestazione contro la legge di bilancio prima ancora che venga scritta, forse esiste un tema di opposizione pregiudiziale”. L’allusione è alla chiamata alle armi del leader Cgil Maurizio Landini che aveva fatto un po’ come la futuristica polizia “Pre-cog” nel film Minority Report: aveva condannato il reato prima che il “reato” accadesse. Ed aveva proclamato la sanzione prima che ci fosse crimine, a prescindere diciamo, proclamando uno sciopero generale contro la legge di Bilancio che ancora non c’è.

Meloni non vede grane e tira dritto insomma. “Penso che gli italiani vedano che il Governo sta facendo il massimo. Il Pil, in realtà, cresce più delle altre grandi democrazie, abbiamo un record di occupazione e di contratti stabili”. Non è proprio così e Confindustria lo sa e lo dice, ma in politica il loop è sempre meglio dell’analisi verticale. Tanto per dirne una tangente, in fat-checking conclamato per il 2024 noi siamo destinati a crescere meno di Francia e Germania. “So che ci sarà sempre un’opposizione che pensa che non possiamo governare anche se abbiamo vinto le elezioni, ma andiamo avanti”.

Il benefit politico e i “lividi” alle banche

Clienti in banca © Bettolini / Imagoeconomica

Meloni all’autunno caldo che caldissimo non sarà ci arriva con il benefit della tassa sugli extraprofitti alle banche. Quella che ha prodotto sì polemiche e pelosità tecniche a bancali, ma che dalla base è vista per quella che appare. Cioè un gigantesco scossone pop all’archetipo di un potere troppo spesso parallelo quando non alleato della politica. Per lei, che fortissimamente si è intestata la decisione, si è trattato di “una iniziativa che ho voluto io. Perché ritengo che si debba mandare un messaggio rispetto all’idea di uno Stato giusto”.

Uno Stato “che fa le cose che si devono fare senza tempi punitivi. Ho massimo rispetto del sistema bancario e non ho intenzione di colpire le banche.

Insomma, se l’autunno di Meloni lo dovessimo misurare a Celsius in quanto a temperatura, c’è una lettura molto diffusa. Lettura per cui quella colonnina di mercurio potrebbe salire stancamente fino alla zona bigia tra febbriciattola e “due Tachipirine e s’abbracciamo.

Il combustibile che non ti aspetti: Renzi

Elly Schlein e Giuseppe Conte a Firenze (Foto: Sara Minelli © Imagoeconomica)

Ci sono fattori esterni però, comburenti che non ti aspetti che in realtà la temperatura la potrebbero portare a fondere l’adamantio. Ma per incendiare quel focherello serve una visione politica stereoscopica, roba che oggi tra le opposizioni hanno in pochi e che è distribuita male.

Perché male? Perché chi quella roba la potrebbe mettere in griglia preferisce il barbecue dello spontaneismo di piazza pur avendo i numeri.

E’ il caso di Pd a trazione Schlein, del M5s a trazione Conte e della sinistra in purezza. E chi sa benissimo dove e come mettere a cuocere le vulnerabilità della Meloni ha tutte le skill per farlo ma coi numeri sta messo maluccio, ed è il caso di Matteo Renzi.

Che sa benissimo dove andare a fare il sicario di belle speranze e lo dice. “Sul salario minimo, hanno fatto una passerella per i social, lo si può fissare a dieci euro ma solo abbassando le tasse alle imprese”. Il leader di Italia Viva non aveva firmato la proposta di legge sul salario minimo e non è tra quelli che nel “no” del Governo ci vede un crimine ideologico.

Però sa benissimo che è proprio su quel “no” che l’esecutivo rischia, perché Meloni & co. hanno solo due strade: o essere pop a parole o esserlo nei fatti, e per i fatti in politica servono i fondi. Per Renzi la premier “rimanda la palla al Cnel, delegittimando la sua maggioranza e la ministra del Lavoro”.

La profezia: tra un anno cambierà tutto

Matteo Renzi

Un varco questo che il Pd avrebbe dovuto divaricare con gaudente perseveranza, ma non lo ha fatto. Elly Schlein “sembra più a suo agio con gli armocromisti che con i cantieri”. E Renzi è abbastanza se stesso, cioè guascone, da azzardare perfino una profezia che autunno caldo scansati. “Tra un anno Meloni sarà a capo di un governo rimpastato ma senza di noi”. Tradotto: alle Europee i nodi verranno al pettine e il conflitto interno tra Ecr e Ppe esploderà anche in Italia.

Per Renzi “Meloni fa ‘la bella addormentata nel bosco” eppure è quasi un anno che è al governo. Ha un’idea? La tiri fuori”. Sì, ma qual è il vero nodo che Palazzo Chigi deve sciogliere se vuole una termocoperta sulle ginocchia per l’autunno che non vada in corto e che non gli incendi le rotule?

Il solito: i soldi per fare ciò che si è proclamato si farà, perché mai come oggi il rapporto tra un’iniziativa politica e la sua fattibilità è su asse corto, quello dei fondi effettivi. L’elettorato è molto più mobile che in passato e la velocità di spostamento dei flussi è direttamente proporzionale all’inerzia di cassa rispetto alla potenza di ugola.

La mission frusinate di Italia Viva

Renzi ha l’impressione (da squalo) che “la premier non abbia fatto i conti sulla prossima legge di bilancio. Dai miei conti mancano oltre trenta miliardi. Dove li trova? Come finanzia la detassazione?” E in chiosa sardonica: “Qui non c’è solo il salario minimo su cui ci aspettiamo geniali idee del mancato premio Nobel Brunetta: qui c’è il ceto medio che non arriva alla fine del mese, quello è il problema”.

In provincia di Frosinone la strategia di Renzi è affiata a quanto emergerà dal Congresso di ottobre. In quel frangente sovra territoriale il coordinatore provinciale Adamo Pantano, sindaco di Posta Fibreno, dovrà tracciare una rotta in sintonia con il leader nazionale. La sua mission è infatti applicare lo Statuto su un territorio dove Italia Viva non ha attecchito al punto da essere determinante ma ha germinato al punto da essere gestito al millimetro. Una situazione delicata dunque, in cui bisognerà consolidare la rappresentanza del partito nella Provincia.

E come spiegò a maggio lo stesso Pantano “attuare le indicazioni degli organi nazionali“. E ancora: “Fungere da supporto e coordinamento degli Associati, dei Simpatizzanti e dei Comitati di Italia Viva sul territorio di competenza; svolgere funzioni di supporto e raccordo con gli amministratori del territorio; svolgere azione di controllo e coordinamento dei Comitati”.

La “casa dei riformisti”, casa ciociara

Senza dimenticare il clou: “Indicare le strategie di indirizzo circa le attività da svolgere nei loro ambiti di azione”, perriorganizzare Italia Viva in provincia di Frosinone e a costruire la casa dei riformisti.

E se l’autunno è la stagione della raccolta dei funghi quello che serve a Meloni è un cestello per metterceli dentro. Una trama di vimini che dia sostegno a ciò che lei vuole mettere in paniere. E nel cantuccio fra dire di averla ed averla davvero ci sta rannicchiato il termometro dell’autunno di Meloni, che da tiepido a quel punto potrebbe diventare rovente.